LA CORTE D'ASSISE Ha emesso la seguente ordinanza sull'eccezione di illegittimita' costituzionale degli artt. 1 e segg., legge n. 11/1998 avanzata dalla difesa degli imputati Mariano Ciro e Mariano Salvatore; O s s e r v a A giudizio della Corte la questione non appare manifestamente infondata. Preliminarmente osserva il collegio che il disposto dell'art. 24, comma 2, del dettato Costituzionale sancisce l'esistenza di un diritto di difesa che viene individuato come inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Questo principio di liberta' puo' essere legittimamente attenuato esclusivamente in presenza di altri interessi di pari o superiore grado e rilievo, e comunque assicurando la minor compressione possibile dell'interesse soccombente. Nel caso in esame il dettato dell'art. 2, comma 1, lett. C), della legge citata impone al giudice di disporre la presenza di imputati sottoposti a regime di cui all'art. 41-bis ord. penit. attraverso il sistema della multivideoconferenza. Finalita' evidente perseguita dal legislatore con l'introduzione di quest'ultima norma e' stata quella di prevedere, nei confronti di soggetti "presuntivamente" pericolosi, un sistema speciale di detenzione che ne limitasse i contatti esterni anche al fine di una maggior tutela della collettivita'. Tuttavia, a giudizio della Corte, una volta trasfuso il regime in questione nella normativa in esame quale presupposto della sua applicabilita', la suddetta finalita' di carattere preventivo, se e' posta nell'interesse sociale e come tale realizza interessi costituzionalmente protetti, appare confliggere con le disposizioni sul diritto di difesa essendo inibita al detenuto la presenza in aula, espressione chiara, evidente ed insopprimibile dell'attuazione del diritto di cui all'art. 24 del dettato costituzionale e cio' ancorche' la legge preveda al comma 4 articolo citato, sia la facolta' del difensore di assistere l'imputato nel luogo in cui si trova sia, in mancanza, quella di poterlo consultare riservatamente per mezzo di strumenti tecnici idonei. Ed invero, ad una prima lettura della legge n. 11/1998 era sembrato anche a questa stessa Corte soddisfatta l'esigenza difensiva; tuttavia un piu' approfondito esame porta inevitabilmente a concludere che solo la presenza in aula dell'imputato, indipendentemente dal reato di cui risulta accusato, puo' consentirgli di avere una piena ed ampia conoscenza degli accadimenti che si verificano e di reagire ad essi con quella tempestivita' e prontezza che la sua condizione richiede. E' questa del resto la funzione che anche le normative internazionali attribuiscono alla presenza dell'imputato in aula, che viene cosi' considerata essenziale e tale da non poter essere surrogata da una virtualita' ancorche' tecnologicamente avanzata. Del resto solo teorica appare la possibilita' di conciliare la segretezza con la contestualita' in assenza della materiale presenza dell'imputato in loco. Quanto esposto prescinde in ogni caso dalla frammentaria, macchinosa ed insufficiente applicazione della normativa citata che ulteriori difficolta' e limitazioni hanno sin qui causato. Ed invero, delle due l'una: o il difensore per tutelare la riservatezza del colloquio deve necessariamente allontanarsi dall'aula, rinunziando cosi' all'immediatezza di interventi particolarmente rilevanti in sede di assunzione probatoria, oppure deve privilegiare quest'ultima esigenza a scapito della prima, salvo dover ipotizzare ripetute ed intollerabili, sospensioni dell'attivita' processuale in corso, rinnegando una delle finalita' della norma stessa Ne' puo' non essere evidenziato come l'applicazione della norma in esame consegua con carattere di obbligatorieta' all'emanazione di un provvedimento meramente amministrativo costitutivo di un particolare status che, se appare del tutto legittimo in rapporto alle modalita' esecutive della custodia, non si ritiene possa vincolare il giudice all'applicazione di una determinata normativa; che come detto penalizza la piena esplicazione deldiritto di difesa, soprattutto in mancanza di qualsivoglia controllo e valutazione giurisdizionale sull'esistenza di ragioni superiori che giustifichino la compressione di un tale diritto. Ma anche il disposto dell'art. 3 della Costituzione puo' ritenersi violato. La normativa in esame, infatti, impone solo nei confronti di alcuni soggetti una costrizione a difendersi in modo anomalo e difficoltoso a parita' di imputazioni e presunzione di innocenza, e cio' non senza rilevare come contraddittorialmente essa vieti, solo con riferimento a specifiche imputazioni, la presenza in aula del medesimo detenuto sottoposto al regime di cui all'art. 41-bis ord. penit., il quale viene diversamente trattato in presenza di un'identica presunzione di pericolosita'. Per le esposte ragioni e ritenendo assorbiti tutti gli altri profili di illegittimita' costituzionale evidenziati dalla difesa, il processo non appare definibile in assenza della della questione di legittimita' costituzionale e, di conseguenza, va disposta la trasmissione degli atti alla Consulta con conseguente sospensione dei giudizio in corso.