IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorsa n. 1305/1998 proposto dai dott.ri Biagio Campanella, Vincenzo Zingales, Vincenzo Salamone, Rosalia Messina, Salvatore Schillaci, Luigi Passanisi, Giovanni Milana, Ettore Leotta, Pancrazio Maria Savasta rappresentati e difesi dal prof. avv. Giuseppe Barone, presso il cui studio sono elettivamente domiciliati in Catania, via Monsignor Ventimiglia, 145; Contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro-tempore; il Ministro per la funzione pubblica e gli affari regionali; il consiglio di Presidenza di cui all'art. 7 della legge n. 186/1982, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, presso i cui uffici sono ope legis domiciliati; e nei confronti dei dott.ri Renato Laschena, Alberto De Roberto, Aldo Pezzana, Andrea Camera, Carmine Volpe, Pasquale De Lise, Chiarenza Millemaggi Cogliani, Salvatore Mezzacapo, Salvatore Veneziano, Maria Abbruzzese, Mario Arosio, Mario Di Giuseppe, Maria Grazia Cappugi, Sabino Luce, Giampiero Paolo Cirillo, Bruno Lelli, Carlo Visciola; per l'annullamento del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sottoscritto per delega dal Ministro per la Funzione pubblica e gli affari regionali, in data 8 gennaio 1998, di costituzione del consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, a seguito delle elezioni svoltesi il 30 novembre 1997. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti tutti gli atti di causa; Designato relatore per la pubblica udienza del 12 maggio 1998 primo referendario dott.ssa Paola Puliatti; Uditi l'avv. Agata Cavallaro su delega del prof. avv. Giuseppe Barone per i ricorrenti e l'Avvocato dello Stato V. Maiorana; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. F a t t o I ricorrenti, magistrati amministrativi in servizio presso il t.a.r. per la Sicilia, impugnano il decreto descritto in epigrafe, col quale, a seguito di elezioni svoltesi il 30 novembre 1997, viene nominato il consiglio di presidenza di cui all'art. 7 della legge 27 aprile 1982, n. 186. I ricorrenti censurano l'atto impugnato perche', in applicazione della norma sopra richiamata, la composizione del detto consiglio risulta in contrasto con le garanzie costituzionali di indipendenza della magistratura, oltre che con i principi di eguaglianza e di buon andamento ed imparzialita' dell'azione amministrativa, essendo previsti i componenti di provenienza t.a.r. in posizione di predeterminata minoranza rispetto a quelli espressi dal Consiglio di Stato. Sospettano, pertanto, l'art. 7 della legge n. 186/1982 di illegittimita' costituzionale per contrasto con gli articoli 3, 97, 101, secondo comma, 107 e 108, secondo comma, della Costituzione, in quanto l'organo di autogoverno della magistratura amministrativa risulta privo di membri laici e con una composizione non del tutto rappresentativa, in quanto ne fanno parte componenti di diritto, appartenenti al Consiglio di Stato, in funzione della loro posizione, cio' che determina di fatto una maggioranza dei componenti facenti parte del Consiglio di Stato rispetto alla componente dei magistrati dei t.a.r. e, conseguentemente, una situazione di "governo" di una componente della magistratura amministrativa sull'altra, secondo un criterio di gerarchia, anziche' una situazione di "autogoverno" di impronta democratica. Con riferimento ai membri c.d. "di diritto", il consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e' l'unico che estende incomprensibilmente tale forma di partecipazione oltre il vertice istituzionale, giacche' ne fanno parte oltre il presidente del Consiglio di Stato anche i due presidenti di sezione piu' anziani, il che appare in contrasto anche con i principi di buon andamento ed imparzialita' dell'amministrazione. Due membri rappresentano quasi un sesto dell'intero consiglio di presidenza e risultano decisivi nella formazione della maggioranza. Per rispettare i principi di imparzialita' e buon andamento occorrerebbe, invece, che i componenti di diritto, diversi dall'organo di vertice del Consiglio di Stato fossero essi stessi rappresentativi di tutti i magistrati amministrativi che hanno la funzione di governare. L'Avvocatura distrettuale dello Stato ha eccepito l'inammissibilita' del ricorso, per difetto di un interesse concreto e attuale in capo ai ricorrenti, e l'infondatezza della questione di costituzionalita' sollevata per inconferenza del richiamo all'art. 3 della Costituzione, non essendo l'organo in funzione di interessi contrapposti dei magistrati e trovando giustificazione la composizione dell'organo nelle parziali diverse funzioni dei t.a.r. del Consiglio di Stato. D i r i t t o 1. - Preliminarmente, va rigettata l'eccezione di inammissibilita' del ricorso, per difetto di interesse concreto e attuale in capo ai ricorrenti all'impugnazione dell'atto de quo, sollevata dall'Avvocatura dello Stato. I ricorrenti derivano una lesione concreta ed attuale dall'atto di nomina impugnato, che conferisce in concreto ai componenti del consiglio di presidenza il potere di "autogoverno" della magistratura amministrativa, essendo essi soggetti, in qualita' di magistrati amministrativi, alle decisioni dell'organo che li riguardano in tale veste, analiticamente indicate dall'art. 13 della legge n. 186/1982 (tra le quali si rammentano, esemplificativamente, i provvedimenti concernenti le assegnazioni di sedi, di funzioni ed ogni altro relativo allo status giuridico, i provvedimenti disciplinari, il conferimento di incarichi extragiudiziari, i criteri di massima per la ripartizione dei ricorsi nell'ambito dei tribunali divisi in sezioni, etc.). Ad avviso del Collegio, la concretezza e attualita' dell'interesse al ricorso sussiste anche se non viene impugnato alcun specifico provvedimento, adottato dal consiglio di presidenza nei confronti dei ricorrenti, nominativamente individuati, rientrante nelle sue attribuzioni, perche' la complessiva attivita' istituzionale di "autogoverno", svolta dall'organo in questione, li riguarda in qualita' di soggetti che esercitano la funzione magistratuale da essa regolata, e questa attivita' si sospetta in radice che non possa essere svolta in conformita' ai principi costituzionali, in conseguenza delle modalita' di composizione del consiglio previste dalla normativa denunciata. 2. - La questione di costituzionalita' dell'art. 7 della legge 27 aprile 1982, n. 186 con riferimento agli articoli 3, 97, 101, secondo comma, 107, terzo comma e 108, secondo comma, della Costituzione, prospettata in ricorso, appare rilevante e non manifestamente infondata. 3. - Quanto alla rilevanza, si osserva che il ricorso e' affidato esclusivamente alla sospettata incostituzionalita' della norma concernente la composizione del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, sicche' dall'esito del giudizio della Corte costituzionale consegue l'accoglimento o la reiezione del ricorso. 4. - La questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge n. 186/1982, con riferimento agli articoli 101, secondo comma, 107, terzo comma e 108, secondo comma, non appare manifestamente infondata. Il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e' l'unico organo di autogoverno delle magistrature di cui non fanno parte membri "laici", il che fa ritenere non sussistente in forma adeguata quella forma di controllo "esterno" che la presenza di componenti non togati dovrebbe assicurare. Inoltre, e' l'unico organo di autogoverno delle magistrature la cui composizione non si basa sul criterio della rappresentativita' dei magistrati appartenenti alla giurisdizione, privilegiandosi la presenza di componenti "di diritto", tutti provenienti dal Consiglio di Stato, a dispetto della prevalenza numerica dei magistrati dei t.a.r. (circa trecento) rispetto a quelli appartenenti al Consiglio di Stato (circa cento) e vanificandosi, per questa via, la stessa funzione della modalita' elettiva di una parte dei componenti del consiglio, essendo praticamente minoritaria la componente eletta dai giudici dei t.a.r. rispetto a quella espressione dei giudici del Consiglio di Stato. Cio' fa dubitare della effettiva capacita' del consiglio di presidenza, nella sua attuale composizione, di garantire la reale indipendenza della magistratura amministrativa e la conformita' al principio secondo cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge, venendosi a determinare, all'interno dell'organo di autogoverno, una sorta di "oligarchia". La stessa Corte costituzionale, con sentenza 17 luglio 1987, n. 230, occupandosi della composizione del consiglio di presidenza della Corte dei conti, proprio con riferimento alle modalita' di composizione ispirate al criterio gerarchico e dell'anzianita' ed alla mancata rappresentanza di tutte le categorie dei magistrati, ebbe a precisare che "la lettura delle disposizioni impugnate, inquadrate nelle normative in cui sono inserite, dimostra che non e' sotto alcun aspetto garantita la indipendenza dei magistrati della Corte dei conti". 5. - Val la pena sottolineare che inspiegabilmente fanno parte di diritto del consiglio di presidenza, oltre all'organo di vertice istituzionale, anche i due presidenti di Sezione piu' anziani, il che aumenta di fatto il peso relativo della rappresentanza del Consiglio di Stato, assicurandole la prevalenza su quella dei t.a.r. Il che fa ragionevolmente dubitare che l'organo di autogoverno sia in grado di assicurare oltre che l'indipendenza della magistratura, anche il buon andamento e l'imparzialita' dell'azione amministrativa, per il fatto che una componente maggioritaria in seno al consiglio di presidenza e' espressione di una componente, invece, minoritaria della magistratura amministrativa. Al di la' del concreto esercizio imparziale delle funzioni da parte dei singoli componenti di diritto, si vuole sottolineare che la legge in astratto dovrebbe prevedere meccanismi di composizione dell'organo di autogoverno idonei a garantire l'osservanza del principio di imparzialita', onde escludere in radice la possibilita' di "patologie" nell'esercizio della funzione di autogoverno. Ne' la squilibrata composizione del consiglio di presidenza puo' trovare giustificazione in una pretesa diversita' dei due ruoli dei magistrati del t.a.r. e dei magistrati del Consiglio di Stato, giacche' si tratta in realta' di ruolo unico, come dimostrato inequivocabilmente dalle previsioni dell'art. 14 e dell'art. 23 della legge n. 186/1982, che disciplinano per l'appunto il ruolo dei magistrati amministrativi, distinguendoli nelle qualifiche di presidente del Consiglio di Stato e Presidente di t.a.r., consigliere di Stato e consigliere, primo referendario e referendario di t.a.r. E del resto non potrebbe essere altrimenti, pena negare l'unita' della giurisdizione amministrativa. Per tali profili la norma denunciata e' sospettata di contrasto anche con gli articoli 3 e 97 della Costituzione. 6. - Pertanto, ritenutane la rilevanza e non manifesta infondatezza, il collegio solleva la questione di costituzionalita' dell'art. 7 della legge 27 aprile 1982, n. 186, con riferimento agli articoli 3, 97, 101, secondo comma, 107, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione e rimette gli atti alla Corte costituzionale per la relativa decisione. Sospende il giudizio in attesa della definizione della questione incidentale di costituzionalita' e fino alla comunicazione della sentenza della Corte costituzionale, riservando ogni altra decisione in rito, nel merito e sulle spese.