Il giudice per le indagini preliminari dott.ssa Carmelita A.  Russo
 all'udienza   del   16  febbraio  1997  ha  pronunciato  la  seguente
 ordinanza.
   In data 12 ottobre 1995, il pubblico ministero ha chiesto il rinvio
 di Arlacchi Giuseppe, nato il 21 febbraio  1951  a  Gioia  Tauro,  al
 giudizio del Tribunale di Roma per rispondere:
     1)  del delitto p.p. artt. 595, commi 1 e 3 c.p. e art. 13, legge
 8 febbraio 1948,  n.  47,  per  aver,  e  nel  contesto  di  articolo
 intitolato  "Che  Carnevale ..." apparso nell'edizione 14 maggio 1995
 del quotidiano "La Repubblica"  offeso,  con  attribuzione  di  fatto
 determinato  la  reputazione  di  Carnevale  Corrado  indicandolo  al
 pubblico (pur in difetto di definitivi accertamenti dei fatti in sede
 giurisdizionale) quale "magistrato che per ambizione di carriera  non
 si  faceva  scruooli  di  chiedere  appoggi  e  sostegni ad esponenti
 politici. Un uomo capace di mentire, capace di indossare in  pubblico
 la  maschera  dell'irreprensibile  magistrato e disponibile poi ... a
 ricevere e fare raccomandazioni al fine di condizionare  l'esito  dei
 processi  ...  privo  di qualsiasi sentimento di umanita', pieta' per
 uomini e donne atrocemente uccisi da Cosa nostra  ...  l'uomo  giusto
 per  orientare  il maxi processo verso quel "buon esito che ... stava
 tanto al  cuore  ad  Andreotti  ...",  nonche'  indicando  lo  stesso
 Carnevale  Corrado quale responsabile - su istigazione di ambienti di
 "cosa nostra" o a questi vicini - di ingiusta cassazione di  sentenza
 di condanna all'ergastolo pronunciata nei confronti degli imputati di
 delitto  di  omicidio in danno del capitano dell'Arma dei carabinieri
 Basile.
      Roma, 14 maggio.
     2)  delitto  p.p.  artt. 595, commi 1 e 3 c.p. e art. 13, legge 8
 febbraio 1948, n.  47.  Per  avere,  nel  commento  alla  lettera  di
 "smentita"  di  Carnevale  Corrado relativa ai contenuti dellarticolo
 menzionato nel precedente capo  a),  commento  apparso  unitamente  a
 detta lettera di smentita nell'edizione 17 maggio 1995 del quotidiano
 "La  Repubblica",  offeso  con  attribuzione  di fatto determinato la
 reputazione del predetto Carnevale indicandolo come persona solita  a
 tenere  comportamenti  falsi  e  capziosi nonche' indicandolo (pur in
 difetto di definitivi accertamenti dei fatti in sede giurisdizionale)
 come magistrato dedito ad abusare del proprio potere e delle  proprie
 "relazioni"  al fine di garantire "buon esito" di procedimenti penali
 a   favore   di   imputati   di   gravissimi   delitti   appartenenti
 all'organizzazione mafiosa "cosa nosta".
      Roma, 17 maggio 1995.
   All'udienza  del  15  maggio  1996,  il  difensore dell'imputato ha
 eccepito   l'applicabilita'   dellart.   68,   primo   comma,   della
 Costituzione, richiamando la procedura prevista dal d.-l. n. 253/1996
 all'epoca vigente.
   Il  giudice,  non ritenendo di accogliere l'eccezione, ha trasmesso
 copia degli atti alla Camera di appartenenza.
   Con nota del 3 luglio 1997, il Presidente del Senato ha  comunicato
 che  "l'Assemblea ha deliberato di ritenere che il fatto per il quale
 e' in corso il procedimento concerne opinioni espresse da  un  membro
 del  Parlamento  nell'esercizio delle sue funzioni, e ricade pertanto
 nell'ipotesi di cui allart. 68, primo comma, della Costituzione".
   All'odierna udienza il p.m. ha  sollecitato  la  trasmisione  degli
 atti alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione.
   Detta richiesta e' pienamente condivisibile.
   Sono   note  le  pronunce  della  Corte  sulle  questioni  relative
 all'applicazione della prerogativa dell'insindacabilita' parlamentare
 ai sensi dell'art.  68, primo comma, della  Costituzione  e  ad  esse
 occorre ancorarsi per spiegare i motivi della presente ordinanza.
   In  particolare,  con  la  sentenza 26 novembre-5 dicembre 1997, n.
 375, la Consulta ha ribadito la giurisprudenza in materia  affermando
 che  la  Corte non puo' rivalutare, quale giudice della impugnazione,
 la ponderazione compiuta dalle Camere, ma soltanto  accertare  se  vi
 sia  stato  un  uso  distorto  e  arbitrario  del potere parlamentare
 attraverso la verifica  della  regolarita'  dell'iter  procedurale  e
 della   riferibilita'   dell'atto   alle  funzioni  parlamentari.  Ha
 precisato  che  tale  riferibilita'  costituisce  il  discrimine  fra
 quell'insieme   di   dichiarazioni,  giudizi  e  critiche  ricorrenti
 nell'attivita' politica dei parlamentari e  le  opinioni  che  godono
 della  prerogativa  attribuita  dall'art.  68  della Costituzione. Ha
 ancora  aggiunto  che  la   funzione   parlamentare,   per   la   sua
 peculiarita', puo' svolgersi in forma libera (dovendosi ricomprendere
 oltre  gli  atti tipici anche quelli presupposti e consequenziali) ma
 che in ogni caso non puo' coincidere con l'intera attivita'  politica
 del   parlamentare   poiche'   tale   interpretazione  finirebbe  per
 vanificare il nesso funzionale posto  dall'art.  68,  primo  comma  e
 comporterebbe  il rischio di trasformare la prerogativa in privilegio
 personale.
   Se  questi sono i principi affermati dalla Corte con argomentazioni
 riportate  pressocche'  testualmente;   se   a   tali   principi   e'
 obbligatorio   adeguarsi,   ne   consegue   che  i  fatti  contestati
 all'imputato non  possono  in  alcun  modo  essere  qualificati  come
 opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari.
   Nel   caso   di   specie  il  sen.  Arlacchi  ha  espresso  giudizi
 circoscritti ad una persona, con attribuzione di  fatti  determinati,
 oggettivamente  non  riferibili  ad  alcun  atto parlamentare neppure
 nell'accezione piu' ampia.
   Inoltre, egli ha  riferito  alla  Giunta  delle  elezioni  e  delle
 immunita'  parlamentari  che  con le dichiarazioni del 14 maggio 1995
 aveva replicato ad un'intervista del dott. Carnevale - pubblicata  il
 giorno   precedente  sul  quotidiano  "La  Repubblica"  -  contenente
 affermazioni diffamatorie nei  suoi  confronti,  precisando  che  "lo
 scontro"  tra  lui  e  il  dott.    Carnevale  aveva  dato  origine a
 reciproche querele (c.f.r. relazione  della  Giunta  doc.  IV-ter  n.
 9-A).  Dunque  lo stesso sen. Arlacchi ha dichiarato che aveva inteso
 reagire ad una altrui condotta ritenuta diffamatoria e  non  compiere
 un atto esplicativo delle proprie funzioni.
   In  conclusione,  si  tratta di una polemica strettamente personale
 sfociata in varie azioni giudiziarie,  per  cui  fare  assurgere  "lo
 scontro"   tra   due   specifiche  persone  alla  dignita'  di  fatto
 strumentalmente  collegato  alle  funzioni  parlamentari  appare   un
 evidente  travalicamento  dei  confini  segnati  dall'art.  68  della
 Costituzione.  D'altra  parte,  va  osservato  che  la  Giunta  delle
 elezioni  e delle Immunita' parlamentari aveva deliberato di proporre
 all'Assemblea (proposta non approvata ) di ritenere che il fatto  per
 cui  e'  in  corso  il  processo  non  ricade  nell'ipotesi  prevista
 dall'art. 68,  primo  comma  della  Costituzione,  poiche'  esso  non
 concerne opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio
 delle  sue  funzioni  anche  a  volere  accogliere la tesi piu' ampia
 secondo cui  la  prerogativa  costituzionale  includerebbe  nell'area
 applicativa  dell'insindacabilita'  l'intera  attivita'  politica del
 parlamentare.
   Pertanto deve essere sollevato conflitto  di  attribuzione  davanti
 alla  Corte  costituzionale perche' dichiari che non spetta al Senato
 della Repubblica deliberare l'insindacabilita' dei fatti ascritti  al
 sen.  Arlacchi  -  oggetto  dell'imputazione  riportata in premessa -
 poiche' essi non ricadono nella ipotesi prevista dall'art. 68,  primo
 comma, della Costituzione.