IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
   Sentito  il  procuratore  generale,  che ha espresso parere come da
 verbale, nonche' la difesa,  ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza
 sull'istanza  presentata da Canducci Emanuele, nato a Cesena (Forli')
 il 21 maggio 1953, attualmente detenuto presso la Casa di  reclusione
 di Padova, tendente ad ottenere il rinvio facoltativo dell'esecuzione
 della  pena  ai sensi dell'art 147, primo comma, n. 1) c.p. a seguito
 di presentazione di domanda di grazia.
                              Motivazione
   Con istanza pervenuta alla cancelleria dell'Ufficio di sorveglianza
 di Padova in data 25 febbraio 1988,  Canducci  Emanuele,  come  sopra
 generalizzato,  chiedeva il differimento della pena ex art. 147 c.p.,
 avendo egli presentato domanda di grazia in data 5 febbraio 1998.
   Con  suo  provvedimento  del  5  marzo  1998   il   magistrato   di
 sorveglianza  di  Padova  -  ritenuta l'insussistenza dei presupposti
 richiesti dall'art.  147, primo comma, n. 1 c.p. - deliberava di  non
 concedere  il  provvisorio differimento dell'esecuzione (possibile ai
 sensi  dell'art.  684,  secondo  comma   c.p.p.)   ed   ordinava   la
 trasmissione degli atti al tribunale di sorveglianza di Venezia: tale
 decisione   veniva   motivata  dalla  circostanza  che  il  richiesto
 differimento sarebbe stato per legge possibile solo ove  la  sentenza
 di condanna non fosse passata in giudicato da oltre sei mesi, secondo
 quando  previsto  dalla  norma di cui al secondo comma del richiamato
 art. 147 c.p. (nel caso di specie, invece, la condanna in  esecuzione
 era divenuta irrevocabile da oltre sei mesi).
   All'odierna  udienza  il  giudice  relatore  invitava  le  parti  a
 discutere  sulla  questione   pregiudiziale   di   rito   concernente
 l'ammissibilita' dell'istanza.
   Il  difensore  del  detenuto  sollevava  eccezione di illegittimita
 costituzionale dell'art. 147 c.p., nella  parte  in  cui  il  secondo
 comma  di  tale  norma  stabilisce che anche nel caso di cui all'art.
 684 c.p.p. il periodo  di  differimento  non  superiore  a  sei  mesi
 decorra dal giorno in cui la sentenza e' divenuta irrevocabile.
   Il p.g. chiedeva il rigetto di tale eccezione.
   Ritiene   il   collegio  che  la  questione  sia  rilevante  e  non
 manifestamente infondata.
   Circa la rilevanza della medesima nel procedimento in  corso,  essa
 e'   resa  palese  dal  fatto  che,  ritenendo  che  il  differimento
 facoltativo previsto dall'art. 147, primo  comma,  n.  1,  c.p.,  sia
 possibile  solo  ove  la  sentenza  di  condanna  non  sia passata in
 giudicato da oltre sei mesi, la causa dovrebbe essere decisa mediante
 un'ordinanza di inammissibilita' dell'istanza avanzata dal Canducci.
   Ove si ritenesse invece che tale differimento sia  possibile  anche
 successivamente    (e   sempre   per   un   periodo   non   superiore
 complessivamente a sei mesi), l'istanza risulterebbe ammissibile, con
 la conseguente necessita' di  trattazione  della  medesima  ai  sensi
 dell'art. 70, primo comma, legge 26 luglio 1975, n. 354.
   Circa  la  non  manifesta  infondatezza della questione, si osserva
 quanto segue.
   La formulazione letterale  della  norma  lascerebbe  intendere  che
 l'istituto  del  differimento  facoltativo  in  caso  sia  presentata
 domanda di grazia sia applicabile solo ove  l'esecuzione  della  pena
 non sia ancora iniziata (cosi' Cass. pen., sez. I, 12 aprile 1994, n.
 1068  (c.c.  3  marzo  1994),  Mesina),  sempreche' il titolo non sia
 divenuto  irrevocabile  da  oltre  sei  mesi,  e  non  anche   quando
 l'espiazione   della   pena  sia  gia'  in  corso  al  momento  della
 presentazione della domanda di grazia (cfr., ex plurimis, Cass. pen.,
 sez. I, 96/206376, in Ced).
   Osserva peraltro il collegio come l'art. 684, c.p.p. preveda che il
 tribunale di sorveglianza possa ordinare "la liberazione del detenuto
 ed adottare gli altri  provvedimenti  conseguenti":  cio'  a  seguito
 della  sentenza della Corte costituzionale n. 274 del 31 maggio 1990,
 che ha dichiarato l'illegittimita' del primo comma della norma  nella
 parte  in cui attribuiva al Ministro di grazia e giustizia,  anziche'
 al tribunale  di  sorvegiianza,  la  competenza  a  provvedere  sulla
 istanza  di  differimento della pena proposta ai sensi dell'art. 147,
 primo comma, n. 1 c.p.
   Sul punto non sembra lecito nutrire dubbio alcuno alla  luce  della
 lettura  della  relazione  al  progetto  preliminare  del  codice  di
 procedura penale (in G.U. 24 ottobre 1988,  s.o,  n.  2,  pag.  150),
 laddove  e'  espressamente  detto  che  si  e' inteso attribuire alla
 magistratura di sorveglianza, conformemente a  quanto  gia'  previsto
 dall'ordinamento penitenziario, la competenza a provvedere in tema di
 rinvio   obbligatorio   o   facoltativo  dell'esecuzione  della  pena
 detentiva, estendendo tale  competenza  anche  all'ipotesi  dell'art.
 147,  comma  1, c.p. (domanda di grazia) "sembrando cio' coerente sia
 con le nuove attribuzioni della magistratura di sorveglianza in  tema
 di  grazia,  sia  con  il  principio della giurisdizionalizzazione di
 tutti i provvedimenti che incidono sulla liberta' personale".
   La relazione al testo definitivo  (ibidem,  pag.  203)  da'  invece
 conto  della  modifica  intervenuta  sul  punto  rispetto al progetto
 preliminare, nel senso che - nel caso di specie  -  e'  stata  tenuta
 ferma  in  capo  al ministro la competenza a disporre il differimento
 dell'esecuzione:  "la decisione al riguardo  presuppone  infatti  una
 prognosi  favorevole  sulla  concedibilita'  del  beneficio  che puo'
 essere    effettuata    soltanto   dall'organo   che   nella   prassi
 costituzionale esercita il relativo potere".
   A seguito del sopra citato intervento della  Corte  costituzionale,
 la  competenza  e'  stata pero' radicata in capo alla magistratura di
 sorveglianza, secondo il disegno originario della riforma: nel  testo
 dell'art.  684,  primo  comma  c.p.p.  laddove leggevasi "Ministro di
 grazia e giustizia",  oggi  devesi  pertanto  leggere  "tribunale  di
 sorveglianza",  senza che sia stata toccata l'ultima proposizione del
 medesimo comma 1, il quale prevede  la  liberazione  del  detenuto  e
 l'adozione dei provvedimenti conseguenti.
   Di  qui  la conseguenza che l'esecuzione della pena ben puo' essere
 differita  anche  se  la  condanna  sia  gia'  in  esecuzione  ed  il
 condannato risulti dunque in vinculis.
   La  presenza  dell'espresso riferimento all'art. 147 c.p., ha pero'
 fatto propendere la giurisprudenza dei tribunali  di  sorveglianza  a
 ritenere  che l'art. 684 c.p.p., continui pur sempre a subordinare la
 possibilita' di concessione  del  differimento  alla  condizione  del
 mancato decorso dei sei mesi dal di' della irrevocabilita'.
    Se  il  quadro  normativo  esistente  risulta  oggi  quello teste'
 delineato, appare ictu oculi come non sia manifestamente infondato il
 dubbio che esista un'irragionevole disparita' di trattamento  tra  il
 detenuto  che maturi il proposito di avanzare domanda di grazia prima
 del decorso del semestre dal passaggio in giudicato (e che riesca  ad
 adire  la  magistratura  di  sorveglianza in tempo utile per ottenere
 differimento) ed il detenuto che (com'e' avvenuto nel caso di specie)
 si risolva ad avanzare tale domanda solo successivamente.
   Come messo in luce da autorevole dottrina, l'istituto della  grazia
 veniva  in passato concepito come diretto a premiare l'emenda del reo
 in presenza di fondati elementi per ritenere  essersi  verificato  il
 suo  riadattamento  alla  vita  esterna di relazione (Cass. pen.   16
 giugno 1956, in Rass. st. penit., 1957, 92); l'entrata in vigore  del
 nuovo ordinamento penitenziario, che ha contribuito a gettare le basi
 per  l'attuazione  di  una  pena variabile in corso di esecuzione, ha
 fatto perdere alla stessa la sua funzione di  provvedimento  premiale
 in  relazione  all'emenda  del  condannato,  atteso  che  il  sistema
 normativo (integrato da numerose pronunce della Corte cortituzionale)
 gia' offre  concrete  possibilita'  di  variabilita'  della  pena  in
 relazione al comportamento del condannato.
   La  grazia,  dunque,  riveste  oggi  piu'  che altro la funzione di
 estremo rimedio ad imprevedibili effetti perversi del sistema penale,
 assicurando la  giustizia  nel  caso  singolo,  ovvero  a  perseguire
 ragioni di carattere squisitamente politico.
   E'  dunque possibile - oggi come ieri - che le ragioni poste a base
 della  domanda  (del  condannato  o  degli  altri  soggetti  a   cio'
 legittimati),  si  maturino  o si avverino successivamente al decorso
 del semestre dal passaggio in giudicato della  sentenza  di  condanna
 (es.: perdono della persona offesa, risarcimento del danno, uscita da
 una fase storica di lotta armata, ecc.).
   Non  si  vede  allora  quale  sia la ragione giustificatrice di una
 norma che consente a colui che e' stato  condannato  e  ristretto  da
 meno di sei mesi dal passaggio in giudicato del titolo di aspirare ad
 ottenere  il  differimento  della  pena, e che impedisce l'accesso al
 medesimo beneficio  -  coeteris  paribus  -  a  colui  che  si  trovi
 parimenti  in  esecuzione  penale ma oltre il termine di sei mesi dal
 di'  dell'irrevocabilita':    se  per  ipotesi  due detenuti hanno la
 stessa possibilita' teorica  di  ottenere  la  grazia,  non  si  vede
 perche'  - in pendenza del relativo procedimento - potra' aspirare ad
 ottenere il differimento facoltativo della pena soltanto colui che ha
 chiesto il provvedimento  di  clemenza  in  tempo  utile  perche'  la
 sospensione  possa  essergli concessa nel lasso di tempo indicato dal
 secondo comma, dell'art. 147 c.p., e non anche colui  che,  risoltosi
 ad   avanzare   l'istanza   successivamente,  dovra'  necessariamente
 attenderne l'esito in cattivita'.
   Con  salvezza  di  ogni  successiva  valutazione  circa  il  merito
 dell'istanza   avanzata   nel   caso   di   specie,   non  e'  dunque
 manifestamente infondato ritenere che risulti per tale  via  leso  il
 principio  di  eguaglianza  sancito  dall'art.  3,  primo comma della
 Costituzione, apparendo la su  accennata  disparita'  di  trattamento
 disancorata  da criteri di logicita' e di adeguatezza e non sostenuta
 da alcuna comprensibile ragione di politica criminale.