LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE
   Ha emesso la seguente sentenza-ordinanza, sull'appello r.g. appelli
 4700/1996,  depositato  il  29  giugno  1995,  avverso la sentenza n.
 11/3/1995,  emessa  dalla  commissione  tributaria   provinciale   di
 Frosinone  dall'ufficio  I.V.A.  di  Frosinone;  controparti:  Frasca
 Franco, residente a Trevi nel Lazio (Frosinone), in via Suria  n.  7,
 assistito da: avv. di rett.  n. 6029907, I.V.A., 87.
                       Svolgimento del processo
   Con  avviso n. 602990/1992 notificato il 16 ottobre 1992, l'Ufficio
 I.V.A. di Frosinone informava  il  signor  Frasca  Franco,  esercente
 l'attivita'  di commercialista e di agente immobiliare in Cisterna di
 Latina, di aver recepito  l'accertamento  per  il  1987  espletato  a
 carico  del professionista dall'ufficio II.DD. di Frosinone e di aver
 conseguentemente   rettificato   la    dichiarazione    annuale    n.
 04/5007/1996,  dallo stesso inoltrata il 4 marzo 1988, contestando la
 omissione di ricavi per L. 14.371.000.
   Impugnava l'atto il Frasca dinanzi alla commissione tributaria di 1
 grado  di   Frosinone,   deducendo   che   l'accertamento   induttivo
 dell'ufficio  II.DD. era stato gia' oggetto di ricorso e, nel merito,
 la carenza dei presupposti per l'applicazione della disciplina di cui
 al primo comma  dell'art.  39  del  d.P.R.  n.  600/1973  nonche'  la
 eccessivita' dell'addebito, atteso che la attivita' di fiscalista era
 espletata  nel  tempo libero residuato dallo svolgimento di attivita'
 subordinata.
   Con decisione 11 marzo 1995 del 2-13  maggio  1995  la  commissione
 adita  ha  accolto  il  ricorso, ritenendo illegittimo l'accertamento
 operato dall'ufficio II.DD. ai sensi degli artt. 54 e  55  d.P.R.  n.
 633/1972  e, peraltro, sottolineando l'intervenuto annullamento dello
 stesso da parte di altra sezione della stessa commissione.
   Entrambe le decisioni sono state impugnate dagli uffici soccombenti
 della amministrazione finanziaria.
   In attuazione della nuova disciplina del contenzioso tributario  di
 cui  all'art.  72 del decreto legislativo n. 546/1992, i ricorsi sono
 stati assegnati  rispettivamente,  quello  relativo  all'accertamento
 II.DD.,  alla  sesta  sezione e, quello inerente la rettifica ai fini
 I.V.A.,  a  questa  sezione  che,  accertata  la   ritualita'   delle
 comunicazioni  ex  art.  17  del  richiamato  decreto  legislativo n.
 546/1992, lo ha trattenuto in decisione all'udienza pubblica  del  18
 aprile  1997, nel mentre l'altro giudizio e' in attesa di fissazione.
 Il collegio, ritenendo condizionata la decisione  della  impugnazione
 della  rettifica  I.V.A.  dall'esito  del giudizio sulla legittimita'
 dell'accertamento compiuto  dall'ufficio  II.DD.,  intende  sollevare
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 39 del decreto
 legislativo n. 546/1992.
                        Motivi della decisione
   Per il richiamato art.  39,  "il  processo  e'  sospeso  quando  e'
 presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale
 una questione sullo stato o la capacita' delle persone". La circolare
 n. 98/E del 1996, commentando la norma, precisa e sottolinea che "con
 il  nuovo  rito  si  e'  avvertita  la  esigenza di prevedere ipotesi
 tassative  in  quanto  l'istituto  della  sospensione  del   processo
 tributario puo' verificarsi solo quando ricorrano, alternativamente o
 cumulativamente, le ipotesi" innanzi segnalate.
   Considerato  che il comma 2, dell'art. 1 del decreto legislativo n.
 546/1992 statuisce che "i giudici tributari applicano  le  norme  del
 presente  decreto e, per quanto da esse non disposto..., le norme del
 codice di  procedura  civile",  nessun  riferimento  a  detta  ultima
 disciplina  sul  tema  e'  possibile  e nessuna integrazione da parte
 della stessa e' consentita.
   In particolare, inapplicabile  deve  considerarsi  l'art.  295  del
 codice  di  procedura civile, secondo cui la sospensione del processo
 puo' essere disposta "in ogni caso in cui egli  stesso  (id  est:  il
 giudice della causa) o altro giudice deve risolvere una controversia,
 dalla cui definizione dipende la decisione della causa".
   E'  questa una disposizione di carattere generale rispondente ad un
 sistema non esclusivo del  rito  civilistico,  ma  rientrante  in  un
 sistema  di  coordinamento  logico esulante dal campo ristretto di un
 singolo ordinamento per assumere il valore di principio  fondamentale
 dell'intero  ordinamento.  Per detto principio la causa dipendente va
 sospesa  in  attesa  della  definizione  di   quella   principale   o
 pregiudiziale,  onde  armonizzare  la  decisione della prima a quella
 della  seconda.    La  validita'  delle  svolte   argomentazioni   e'
 confortata  dalla circostanza che la pregiudizialita' non va riferita
 solo a giudizi pendenti dinanzi allo stesso  organo  giurisdizionale,
 bensi'  anche  a  giudizi  pendenti  dinanzi  a  giudici  ordinari ed
 amministrativi   od   anche   penali.   Ovviamente   la    menzionata
 armonizzazione esige che la sospensione persista sino al passaggio in
 giudicato della sentenza nella causa pregiudiziale.
   La  disposizione  dell'art.  39  del decreto legislativo n. 546 del
 1992 sembra, pertanto, ledere precetti costituzionali:
     innanzitutto l'art. 3 della  Costituzione,  per  l'ingiustificato
 trattamento  differenziato  che  ne discende dalla applicazione delle
 norme richiamate;
     l'art.  24   della   Costituzione,   per   le   limitazioni   che
 inevitabilmente  subisce l'esercizio della difesa del ricorrente, non
 sempre in grado di approntare le proprie difese efficacemente al pari
 di quelle relative al ricorso pregiudiziale.
   E' ovvio, infatti, che la decisione della causa pregiudiziale,  pur
 nella  sua non definitivita', esercitera' una efficacia preclusiva di
 ogni altra difesa;