IL TRIBUNALE
   Ha  deliberato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento camerale
 iscritto al n. 634 del registro delle  istanze  di  fallimento,  anno
 1998, avente ad oggetto: estensione della dichiarazione di fallimento
 ex art.  148 legge fallimentare;
   Tra Merlini Mina e Merlini Loredana, rappresentate e difese, giusta
 procura in calce al ricorso, dall'avv. Raffaella Couyoumdjian, presso
 il  cui  studio  sono elettivamente domiciliate in Roma, piazza Prati
 degli Strozzi n. 35, ricorrenti, e Masi Giuseppe,  Masi  Raffaella  e
 Lenconi Luigi, rappresentati e difesi, giusta procura a margine della
 memoria  difensiva, dall'avv. Giovanni Genovese, presso il cui studio
 sono elettivamente domiciliati in Roma, via Giulio Venticinque n. 23,
 resistenti.
   1. - Lo svolgimento del procedimento e i fatti antecedenti.
   1.1. - Con ricorso depositato in cancelleria  in  data  6  febbraio
 1998, Miria Merlini e Loredana Merlini, premesso di essere creditrici
 della societa' "Masiflor s.n.c. di Masi Pierfrancesco", per spettanze
 di  lavoro  subordinato,  maturate  fra l'ottobre 1987 e il settembre
 1990, giusta sentenza del pretore  del  lavoro  di  Roma  n.  13.907,
 emessa  in data 18 aprile 1994, hanno chiesto, ai sensi dell'art. 147
 legge fall., l'estensione del fallimento  della  societa'  debitrice,
 dichiarato  con  sentenza di questo tribunale in data 31 maggio 1996,
 unitamente  a  quello  del  socio Pierfrancesco Masi, agli altri soci
 illimitatamente responsabili della medesima societa'  Giuseppe  Masi,
 Raffaella Masi e Luigi Lenconi.
   1.2.   -   Convocate   le   parti   dinanzi   al  giudice  delegato
 all'istruttoria  prefallimentare,  i  resistenti  si   sono   difesi,
 deducendo  di non essere assoggettabili a fallimento, per essere essi
 usciti dalla societa' fallita con atto in data 18 dicembre 1992 e per
 non trovarsi all'epoca la medesima societa' in stato di insolvenza.
   1.3. - Sentite le parti ed acquisite d'ufficio informazioni ex art.
 738, comma 3, c.p.c., il giudice delegato ha riferito al collegio  in
 camera di consiglio.
   2. - Le questioni di diritto positivo.
   2.1.1. - L'art. 147 legge fall. stabilisce, al primo comma, che "la
 sentenza  che  dichiara  il  fallimento  della  societa'  con  soci a
 responsabilita' illimitata  produce  anche  il  fallimento  dei  soci
 illimitatamente  responsabili";  e, al secondo comma, che "se dopo la
 dichiarazione di fallimento della  societa'  risulta  l'esistenza  di
 altri  soci illimitatamente responsabili il tribunale, su domanda del
 curatore o d'ufficio,  dichiara  il  fallimento  dei  medesimi,  dopo
 averli sentiti in camera di consiglio".
   2.1.2.   -   Tale   secondo   comma   e'   gia'   stato  dichiarato
 costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui nega al  creditore
 interessato  la legittimazione a proporre istanza di dichiarazione di
 fallimento di altri soci illimitatamente responsabili  (C.  cost.  16
 luglio 1970, n. 142).
   2.1.3.   -   Per   consolidata   giurisprudenza,   ai   fini  della
 dichiarazione di fallimento della societa' con soci a responsabilita'
 illimitata, lo stato d'insolvenza deve essere accertato con  riguardo
 al  solo  patrimonio  della  societa',  non  anche  con  riguardo  ai
 patrimoni personali dei  soci  illimitatamente  responsabili  per  le
 obbligazioni sociali (Cass. 4 giugno 1992, n. 6852, fallimento, 1992,
 928;  Cass. 28 maggio 1991, n. 6028, fallimento, 1991, 1146; Cass. 13
 marzo 1982, n. 1632, Giust. civ., 1982,  I,  2374;  Cass.  28  giugno
 1979,  n. 3614, Giust.  civ., 1979, I, 1841; Cass. 23 maggio 1979, n.
 2983, fallimento, 1980, 253; Cass.  7  giugno  1974,  n.  1695,  dir.
 fall.,  1975,  II,  288; Cass.   5 febbraio 1971, n. 276, dir. fall.,
 1971, II, 661; Cass. 30 aprile 1969, n. 1412; Cass. 26  aprile  1969,
 n.  1359,  dir.  fall., 1969, II, 874; Cass. 14 giugno 1967, n. 1338,
 dir. fall., 1967, II, 865; trib.  Roma 8 febbraio 1997, Tuttolana  di
 Roazzi Alessandrina e C. s.n.c., Roazzi Alessandrina e Carletti Guido
 c.  fall.  Tuttolana  di  Roazzi  Alessandrina  e  C.  s.n.c., Roazzi
 Alessandrina e Carletti Guido; trib.  Roma 22 gennaio  1996,  Menenti
 Fashion  di  Menenti Adriano e C. s.a.s.  c. fall. Menenti Fashion di
 Menenti  Adriano  e  C.  s.a.s.;  trib.  Torino  13   ottobre   1992,
 fallimento,  1993,  326;  trib.  Trieste  22 giugno 1992, fallimento,
 1992, 1190; trib. Roma 28 febbraio 1962, dir. fall., 1962,  II,  260;
 app. Roma 19 dicembre 1956, dir. fall., 1957, II, 128).
   La societa' di persone, avente per oggetto un'attivita' commerciale
 (artt.  2308  e  2323  c.c.),  che  non  sia  in  grado,  con  il suo
 patrimonio,  di  soddisfare  regolarmente  i  suoi  creditori,  deve,
 dunque,  essere,  senz'altro, dichiarata fallita, a norma dell'art. 5
 legge fallimentare.
   2.1.4.  -  Il  fallimento  dei soci illimitatamente responsabili di
 societa' di persone e'  conseguenza  che  scaturisce  automaticamente
 dalla  dichiarazione  di  fallimento della societa', prescindendo del
 tutto da qualsiasi accertamento nei riguardi  dei  singoli  soci  dei
 presupposti  previsti dagli artt. 1 e 5, legge fall. (Cass. 28 maggio
 1991, n. 6028, fallimento, 1991, 1146; Cass. 5 marzo 1987,  n.  2311,
 fallimento,  1987, 572; Cass. 6 novembre 1985, fallimento, 1986, 497;
 Cass. 12 aprile 1984, n.   2359, fallimento,  1984,  1025;  Cass.  28
 giugno  1979,  n.  3614;  Cass.  23 maggio 1979, n. 2283, fallimento,
 1980, 253; Cass. 15 novembre 1976, n. 4216; Cass. 7 agosto  1972,  n.
 2639,  dir.  fall., 1973, II, 386; Cass. 5 febbraio 1971, dir. fall.,
 1971, II, 661; Cass. 14 giugno 1967, n. 1338, dir. fall.,  1967,  II,
 865;  Cass.  18  marzo 1966, n. 764, dir. fall., 1966, II, 560; Cass.
 27 gennaio 1962, n. 165, dir. fall.,  1962,  II,  92;  trib.  Roma  8
 febbraio  1997,  cit.; trib. Roma 22 gennaio 1996, cit.; trib. Torino
 27 maggio 1992, fallimento, 1992, 1081; trib. Biella 19 aprile  1983,
 dir.  fall.,  1984, II, 221; app. Firenze 1 ottobre 1981, dir. fall.,
 1982, II, 428; app. Napoli 30 giugno 1965, dir. fall., 1966, II,  96;
 app. Torino 11 giugno 1965, dir. fall., 1965, II, 454).
   Cio' che rileva, ai fini della dichiarazione di fallimento dei soci
 ex  art.  147  legge fall., e' soltanto la responsabilita' illimitata
 per le obbligazioni sociali, che trovi il suo titolo nel rapporto  di
 societa', quindi nella qualita' di socio.
   2.1.5.  -    Il fallimento dei soci illimitatamente responsabili di
 societa' di persone non deriva, dunque, dall'essere essi imprenditori
 (o  co-imprenditori  commerciali:  la   qualifica   di   imprenditore
 commerciale  (ove  ne  ricorrano  i presupposti) spetta soltanto alla
 societa',  giacche'  e'  questa  che  "agisce"  ("sotto  una  ragione
 sociale":  artt.  2292,  comma 1, e 2314, comma 1, c.c.), deve essere
 "iscritta nel registro delle imprese" (artt. 2296, 2297,  2315,  2317
 c.c.),  "acquista  diritti  e  assume  obbligazioni" (art. 2266 c.c.,
 richiamato dall'art. 2293 c.c.),  puo'  essere  titolare  di  diritti
 reali,  anche  immobiliari (arg.  ex art. 2659, comma 1, n. 1, c.c.),
 ed e' "sul  patrimonio  sociale"  che  "i  creditori  della  societa'
 possono  far  valere  i  loro  diritti"  (art.  2267,  comma 1, c.c.,
 richiamato dall'art. 2293 c.c.), salva la responsabilita'  personale,
 illimitata e solidale, di tutti o di alcuni soci.
   D'altro  canto,  ove  si  ammettesse  -  come  sostiene parte della
 dottrina - che anche (o soltanto i soci illimitatamente  responsabili
 rivestono  la qualita' di imprenditori commerciali, per il solo fatto
 di essere soci di una  societa'  di  persone  esercente  un'attivita'
 commerciale,  se  ne dovrebbe inferire che essi sono assoggettabili a
 fallimento, non solo quando la societa' versa in stato di insolvenza,
 ma anche quando ciascuno  si  trova,  per  suo  conto,  in  stato  di
 insolvenza, indipendentemente dalla dichiarazione di fallimento della
 societa';  ma  a  simile  conclusione  (inevitabile, se fosse vera la
 premessa) nessuno e' mai giunto, essendo,  invece,  pacifico  che  il
 socio  puo'  si'  fallire,  indipendentemente  dal  fallimento  della
 societa' (com'e' previsto dall'art. 2288, comma 1, c.c.), ma soltanto
 quando sussistano riguardo a lui solo i presupposti  del  fallimento,
 ossia  quando egli sia imprenditore commerciale, in quanto esercente,
 per  suo  conto,  un'impresa  individuale,  e  si  trovi   in   stato
 d'insolvenza, ovvero quando sia socio illimitatamente responsabile di
 altra societa', dichiarata fallita.
   2.1.6.   -  La  ratio  del  fallimento  del  socio  illimitatamente
 responsabile di societa' di persone deve,  allora,  rinvenirsi  nella
 opportunita',  discrezionalmente  valutata  dal  legislatore,  di far
 valere la responsabilita' illimitata e  solidale  del  socio  per  le
 obbligazioni   sociali,   e,   quindi,  di  realizzare  la  garanzia,
 costituita dal patrimonio personale  del  socio,  con  lo  strumento,
 ritenuto  piu'  idoneo,  del  fallimento  e  nell'ambito  di un'unica
 procedura fallimentare, a tutela sia dei creditori  sociali  sia  dei
 creditori particolari del socio.
   2.2.1.  -  Per  consolidata  giurisprudenza,  e'  assoggettabile  a
 fallimento, ai sensi dell'art. 147, comma 1, legge  fall.,  anche  il
 socio  receduto,  ancorche'  sia  decorso  un  anno  dal recesso, non
 trovando applicazione riguardo a lui l'art.  10  legge  fall.;  unico
 limite e' che l'insolvenza della societa' riguardi anche obbligazioni
 contratte  dalla  medesima  societa'  in  epoca  anteriore al recesso
 (Cass. 6 luglio 1993, n.  7385,  fallimento,  1993,  1241;  Cass.  17
 ottobre 1986, n. 6087, fallimento, 1987, 572; Cass. 21 novembre 1983,
 n.  6934,  fallimento,  1984, 1140; Cass.. 29 novembre 1978, n. 5642,
 dir. fall., 1979, II, 65; Cass.  4 ottobre 1978, n. 4399, dir. fall.,
 1979, II, 196; Cass. 30 marzo 1977, n. 1221, Giust.  civ.,  1977,  I,
 905;  Cass. 22 giugno 1972, n.  2069, dir. fall., 1973, II, 77; Cass.
 27 gennaio 1962, n. 165, Giust.  civ., 1962, I, 1783; app. Bologna 20
 novembre 1993, Gius, 1994, 118; trib. Milano  10  giugno  1993,  Foro
 it., 1995, I, 1679; app. Milano 21 maggio 1985, fallimento, 1986, 55;
 trib.  Napoli  1  settembre  1984,  dir.  fall., 1985, II, 613; trib.
 Genova 15 ottobre 1978, Giur. comm., 1980, II, 292).
   2.2.2. - L'art. 10 legge fall. non e'  stato  ritenuto  applicabile
 neanche  al  socio  che  abbia ceduto la sua quota, sicche' egli puo'
 essere  dichiarato  fallito  (in  conseguenza  del  fallimento  della
 societa'  pure  decorso  l'anno  dalla  cessione, per le obbligazioni
 contratte anteriormente a questa (trib. Ancona 7 ottobre  1991,  dir.
 fall., 1992, II, 316).
   2.2.3.  -  Quanto  al socio defunto, e' opinione prevalente che non
 puo' trovare applicazione l'art. 11  legge  fall.,  sicche'  egli  e'
 assoggettabile  a  fallimento,  ancorche'  sia  decorso un anno dalla
 morte (trib. Catania 21 giugno 1990, dir. fall., 1992, II, 1162).
   2.2.4. - In ogni  ipotesi  di  scioglimento  del  rapporto  sociale
 limitatamente ad un socio (recesso, esclusione, morte, cessione della
 quota) il socio cessato (receduto, escluso, defunto, cedente continua
 ad  essere assoggettabile a fallimento, in conseguenza del fallimento
 della societa', posto che rispetto a lui  continuano,  nonostante  lo
 scioglimento  del  rapporto,  a  sussistere  le condizioni, richieste
 dall'art. 147, comma 1, legge fall.: a) la responsabilita' illimitata
 per le obbligazioni sociali (perche' il socio uscente o i suoi eredi,
 a norma dell'art.  2290, comma 1, c.c., "sono  responsabili  verso  i
 terzi  per  le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica
 lo scioglimento"); b) il discendere tale responsabilita' dal rapporto
 sociale, ossia dalla qualita' di socio.
   Ne', a seguito della perdita della qualita' di socio, viene meno la
 ratio, che giustifica il fallimento dell'ex-socio:  finche'  sussiste
 la  responsabilita'  illimitata  per le obbligazioni sociali, permane
 l'opportunita' che la garanzia, costituita dal  patrimonio  personale
 del  socio,  sia  realizzata  secondo  la disciplina del fallimento e
 nell'ambito di un'unica procedura fallimentare.
   L'art.  147,  comma  1,  legge  fall.  non  subordina,  dunque,  il
 fallimento del socio illimitatamente  responsabile  alla  sussistenza
 dell'attuale  qualita'  di  socio,  al momento della dichiarazione di
 fallimento della societa'.
   2.2.3.  -  La  medesima  norma  non  pone  alcun  limite  temporale
 all'assoggettabilita'   a  fallimento  dell'ex-socio  illimitatamente
 responsabile.
   Gli artt. 10 e 11, legge fall., che, diversamente, stabiliscono  il
 termine di un anno dalla cessazione dell'impresa o dalla morte per la
 dichiarazione  di fallimento dell'imprenditore cessato o defunto, non
 sono applicabili al socio cessato o defunto, giacche' si  riferiscono
 espressamente  al  solo imprenditore individuale e, come si e' detto,
 deve negarsi che - nel nostro  diritto  -  il  socio  illimitatamente
 responsabile sia, per cio' solo, imprenditore.
   Nemmeno puo' ipotizzarsi una applicazione analogica di dette norme,
 atteso  che  l'analogia  puo'  ammettersi solo nel caso di una lacuna
 normativa, laddove la fattispecie non sia regolata da  alcuna  norma,
 mentre  nel caso dell'ex-socio la norma esiste ed e', appunto, quella
 dell'art.  147,  comma  1,  legge  fall.,  la  quale  disciplina   la
 fattispecie,  stabilendo l'assoggettamento a fallimento dell'ex-socio
 sine die, sempreche' vi siano  obbligazioni  sociali  anteriori  allo
 scioglimento  del  rapporto,  rimaste insoddisfatte, e fino a che non
 sia esaurita la procedura fallimentare relativa alla societa'  (Cass.
 29  novembre 1978, n. 5642, cit.; Cass. 30 marzo 1977, n. 1221, cit.;
 app. Milano 21 maggio 1985, cit.).
   2.2.4. - L'art. 147, comma 2, legge fall., a sua volta, estende  la
 portata  della  disposizione del primo comma, imponendo la successiva
 dichiarazione di fallimento, in "estensione" ai soci  illimitatamente
 responsabili,  che, per qualunque ragione, non siano stati dichiarati
 falliti unitamente alla societa', ma rispetto ai quali  ricorrano  le
 condizioni previste dallo stesso primo comma.
   3.  -  La  questione  di  costituzionalita' delle disposizioni dell
 'art. 147, commi 1 e 2, legge fall.
   3.1. - Da quanto innanzi emerge la disparita'  di  trattamento  fra
 l'imprenditore   individuale   cessato   o   defunto   ed   il  socio
 illimitatamente responsabile di societa' di persone cessato  (perche'
 e'  receduto, e' stato escluso o ha ceduto la sua quota o defunto: il
 primo puo' essere dichiarato fallito solo  nel  termine  di  un  anno
 dalla  cessazione  dell'impresa o dalla morte; il secondo puo' essere
 dichiarato fallito (in  conseguenza  del  fallimento  della  societa'
 senza  limite  di  tempo  (sempreche', pero', sussistano obbligazioni
 sociali, di cui  debba  rispondere,  e  finche'  non  sia  chiusa  la
 procedura fallimentare relativa alla societa').
   3.2.  -  La  situazione  dell'uno  e quella dell'altro presentano i
 seguenti tratti comuni:
     a) l'esercizio di  un'impresa  commerciale  o,  quanto  meno,  la
 partecipazione  alla  costituzione  di  un'organizzazione  avente per
 scopo l'esercizio di un'impresa commerciale;
     b) la responsabilita' illimitata per le obbligazioni conseguenti;
     c)  la   cessazione   dell'esercizio   o   della   partecipazione
 all'esercizio dell' impresa commerciale;
     d)   il   permanere   della  responsabilita'  illimitata  per  le
 obbligazioni inerenti all'impresa commerciale.
   Per  entrambi,  imprenditore  individuale  e  socio illimitatamente
 responsabile,    la    ratio,    che    giustifica    il    permanere
 dell'assoggettabilita'   a   fallimento,   sta  nell'opportunita'  di
 utilizzare lo  strumento  del  fallimento,  pur  dopo  la  cessazione
 dell'esercizio   o   della   partecipazione   all'esercizio,  per  la
 realizzazione   della    garanzia,    costituita    dal    patrimonio
 dell'imprenditore o del socio, cessato o defunto.
   Per    entrambi,    tuttavia,   pare   ugualmente   opportuno   che
 l'assoggettabilita' a fallimento sia limitata nel tempo.
   In dottrina, infatti, si e' osservato che la finalita' degli  artt.
 10  e  11,  legge  fall.  e'  quella  di evitare che la soggezione al
 fallimento si protragga indefinitamente nel tempo, una volta che  sia
 venuta meno la condizione personale fonte di obbligazioni, per il cui
 mancato  soddisfacimento  puo' essere dichiarato il fallimento; e che
 la stessa  esigenza  si  pone  anche  per  il  socio  illimitatamente
 responsabile.
   3.3. - Le due situazioni a confronto presentano, invece, i seguenti
 elementi di differenziazione:
     a) l'essere l'impresa esercitata in forma individuale, e, quindi,
 in  modo  solitario,  nell'un  caso, e in forma collettiva, ossia con
 l'altrui concorso, nell'altro caso;
     b) il non avere il socio  la  qualita'  formale  di  imprenditore
 commerciale;
     c)  il  permanere dell'impresa, dopo lo scioglimento del rapporto
 sociale limitatamente al socio, a fronte del venir meno dell'impresa,
 dopo  la  cessazione  dell'esercizio   da   parte   dell'imprenditore
 individuale o la morte di questo.
   Tali  elementi,  tuttavia,  non  sembrano  determinanti ai fini del
 trattamento da farsi all'uno e  all'altro  soggetto,  in  quanto  non
 toccano  l'opportunita'  o  meno che l'assoggettabilita' a fallimento
 abbia un termine.
   In  particolare,  poi,  va  rilevato  che,  anche   nel   caso   di
 imprenditore individuale, puo' aversi continuazione dell'impresa dopo
 il  ritiro dal commercio o la morte dell'imprenditore, come quando la
 cessazione dell'esercizio consegua alla cessione  dell'azienda  a  un
 terzo,  che  prosegua  la  gestione  (con  conseguente  assunzione di
 responsabilita'  illimitata  per  i  debiti  inerenti   all'esercizio
 dell'azienda   ceduta,   purche'   risultanti   dai  libri  contabili
 obbligatori, ex art.  2560,  comma  2,  c.c.  ovvero  quando  l'erede
 subentri  nell'esercizio dell'impresa (arg. ex artt. 320, comma 5, n.
 371, comma 1, n. 3, e comma 2, n.  425 c.c.): simili  evenienze  sono
 del  tutto irrilevanti ai fini dell'applicazione degli artt. 10 e 11,
 legge fall., perche', sopravviva  o  meno  l'impresa  al  ritiro  dal
 commercio  o  alla  morte dell'imprenditore, da tali eventi comincia,
 comunque, a decorrere il termine annuale,  entro  il  quale  soltanto
 puo' essere dichiarato il fallimento.
   3.4.  -  Sorge, dunque, il dubbio se sia giustificabile, secondo il
 criterio della ragionevolezza, la disparita' di trattamento,  innanzi
 evidenziata,  o  se  non  violi  il  principio  di uguaglianza di cui
 all'art.  3 della Costituzione la norma che impone  la  dichiarazione
 di  fallimento  del  socio  cessato  o  defunto senza alcun limite di
 tempo, a differenza di quanto prevedono gli  artt.  10  e  11,  legge
 fall. per l'imprenditore individuale cessato o defunto.
   3.5 - Alla stregua delle considerazioni svolte, questo tribunale ha
 gia'  ritenuto  che  non e' manifestamente infondata, con riferimento
 all'art. 3, comma 1, della Costituzione, la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 147, comma  1,  legge  fall.,  in  relazione
 all'art.  11, comma 1, legge fall., nella parte in cui prevede che la
 sentenza che  dichiara  il  fallimento  della  societa'  con  soci  a
 responsabilita'  illimitata  produce  il  fallimento  anche del socio
 (illimitatamente responsabile) defunto, pur dopo che sia  decorso  un
 anno dalla morte; con ordinanza in data 31 ottobre 1997 (dir.  fall.,
 1998,   II,   138)  ha,  quindi,  rimesso  la  questione  alla  Corte
 costituzionale.
   3.6. - Le medesime considerazioni, di cui innanzi,  inducono,  ora,
 il  collegio  a  ritenere  che  non  e' manifestamente infondata, con
 riferimento sempre all'art. 3, comma 1, della Cost., la questione  di
 legittimita' costituzionale delle disposizioni dello stesso art. 147,
 commi  1  e  2,  legge  fall.,  in relazione all'art. 10 legge fall.,
 laddove prevedono che, in caso di fallimento di societa' con  soci  a
 responsabilita'   illimitata,   debbono  essere  dichiarati  falliti,
 contestualmente o successivamente alla  dichiarazione  di  fallimento
 della  societa',  anche  i  soci  illimitatamente  responsabili,  che
 abbiano ceduto la loro quota, pur dopo che sia decorso un anno  dalla
 iscrizione della cessione nel registro delle imprese.
   Il  dies  a  quo  va  individuato  in  tale iscrizione, posto che a
 decorrere  da  essa  la  modificazione  dell'atto  costitutivo  della
 societa',  in  cui si risolve la cessione della quota di un socio, e'
 opponibile ai terzi, ai sensi degli artt. 2193 e 2300 c.c.
   3.7. - La questione di  costituzionalita'  e'  rilevante,  ai  fini
 della  decisione  sulla  domanda  de  qua, atteso che i soci Giuseppe
 Masi, Raffaella Masi e Luigi Lenconi cedettero le  loro  quote  nella
 societa'  "Masiflor - s.n.c. di Masi Pierfrancesco" con atto pubblico
 per notaio dott.ssa Maria Cristina Condorelli  di  Roma  in  data  18
 dicembre  1992,  rep.  n.  11628,  e tale atto modificativo dell'atto
 costitutivo della societa' venne iscritto in data 12 gennaio 1993 nel
 registro delle societa' presso la cancelleria del tribunale  di  Roma
 (registro  che, all'epoca, ancora surrogava il registro delle imprese
 ex art. 100 disp. att. c.c.), sicche', essendo ad oggi gia' trascorso
 ben   piu'   di   un   anno   dalla   data   di   detta   iscrizione,
 dall'applicabilita'  o  meno  delle disposizioni di legge denunciate,
 nella loro attuale formulazione,  puo'  derivare  il  rigetto  ovvero
 l'accoglimento  della  domanda  di  "estensione" del fallimento della
 societa' ai resistenti.
   3.8. - E' ius receptum che l'incidente  di  costituzionalita'  puo'
 trovar   luogo   anche  nei  procedimenti  in  camera  di  consiglio,
 contenziosi o non contenziosi, dovendosi  intendere  per  "giudizio",
 nel   corso   del  quale  puo'  essere  sollevata  una  questione  di
 legittimita' costituzionale, ai sensi dell'art. 23,  legge  11  marzo
 1953,  n.  87,  ogni procedimento che si svolga dinanzi ad un giudice
 nell'esercizio di una funzione giurisdizionale (Corte  costituzionale
 12   dicembre   1957,   n.  129,  foro  it.,  1957,  I,  2100;  Corte
 costituzionale 11 marzo 1958, n. 24, foro it., 1958,  I,  510;  Corte
 costituzionale  22 dicembre 1961, n. 66, foro it., 1962, I, 24; Corte
 costituzionale 27 novembre 1974, n.  267, foro it., 1975, I, 7;  app.
 Milano 7 luglio 1988, giur. it., 1989, I, 2, 132.
   3.9.  -  La  questione  va sollevata d'ufficio e rimessa al giudice
 delle leggi.
   Va, quindi, disposta l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
 costituzionale e sospeso il procedimento in corso.
   Vanno, altresi', date le ulteriori disposizioni previste  dall'art.
 23, legge 11 marzo 1953, n. 87.