IL TRIBUNALE Ha deliberato la seguente ordinanza nel procedimento camerale iscritto al n. 634 del registro delle istanze di fallimento, anno 1998, avente ad oggetto: estensione della dichiarazione di fallimento ex art. 148 legge fallimentare; Tra Merlini Mina e Merlini Loredana, rappresentate e difese, giusta procura in calce al ricorso, dall'avv. Raffaella Couyoumdjian, presso il cui studio sono elettivamente domiciliate in Roma, piazza Prati degli Strozzi n. 35, ricorrenti, e Masi Giuseppe, Masi Raffaella e Lenconi Luigi, rappresentati e difesi, giusta procura a margine della memoria difensiva, dall'avv. Giovanni Genovese, presso il cui studio sono elettivamente domiciliati in Roma, via Giulio Venticinque n. 23, resistenti. 1. - Lo svolgimento del procedimento e i fatti antecedenti. 1.1. - Con ricorso depositato in cancelleria in data 6 febbraio 1998, Miria Merlini e Loredana Merlini, premesso di essere creditrici della societa' "Masiflor s.n.c. di Masi Pierfrancesco", per spettanze di lavoro subordinato, maturate fra l'ottobre 1987 e il settembre 1990, giusta sentenza del pretore del lavoro di Roma n. 13.907, emessa in data 18 aprile 1994, hanno chiesto, ai sensi dell'art. 147 legge fall., l'estensione del fallimento della societa' debitrice, dichiarato con sentenza di questo tribunale in data 31 maggio 1996, unitamente a quello del socio Pierfrancesco Masi, agli altri soci illimitatamente responsabili della medesima societa' Giuseppe Masi, Raffaella Masi e Luigi Lenconi. 1.2. - Convocate le parti dinanzi al giudice delegato all'istruttoria prefallimentare, i resistenti si sono difesi, deducendo di non essere assoggettabili a fallimento, per essere essi usciti dalla societa' fallita con atto in data 18 dicembre 1992 e per non trovarsi all'epoca la medesima societa' in stato di insolvenza. 1.3. - Sentite le parti ed acquisite d'ufficio informazioni ex art. 738, comma 3, c.p.c., il giudice delegato ha riferito al collegio in camera di consiglio. 2. - Le questioni di diritto positivo. 2.1.1. - L'art. 147 legge fall. stabilisce, al primo comma, che "la sentenza che dichiara il fallimento della societa' con soci a responsabilita' illimitata produce anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabili"; e, al secondo comma, che "se dopo la dichiarazione di fallimento della societa' risulta l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili il tribunale, su domanda del curatore o d'ufficio, dichiara il fallimento dei medesimi, dopo averli sentiti in camera di consiglio". 2.1.2. - Tale secondo comma e' gia' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui nega al creditore interessato la legittimazione a proporre istanza di dichiarazione di fallimento di altri soci illimitatamente responsabili (C. cost. 16 luglio 1970, n. 142). 2.1.3. - Per consolidata giurisprudenza, ai fini della dichiarazione di fallimento della societa' con soci a responsabilita' illimitata, lo stato d'insolvenza deve essere accertato con riguardo al solo patrimonio della societa', non anche con riguardo ai patrimoni personali dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali (Cass. 4 giugno 1992, n. 6852, fallimento, 1992, 928; Cass. 28 maggio 1991, n. 6028, fallimento, 1991, 1146; Cass. 13 marzo 1982, n. 1632, Giust. civ., 1982, I, 2374; Cass. 28 giugno 1979, n. 3614, Giust. civ., 1979, I, 1841; Cass. 23 maggio 1979, n. 2983, fallimento, 1980, 253; Cass. 7 giugno 1974, n. 1695, dir. fall., 1975, II, 288; Cass. 5 febbraio 1971, n. 276, dir. fall., 1971, II, 661; Cass. 30 aprile 1969, n. 1412; Cass. 26 aprile 1969, n. 1359, dir. fall., 1969, II, 874; Cass. 14 giugno 1967, n. 1338, dir. fall., 1967, II, 865; trib. Roma 8 febbraio 1997, Tuttolana di Roazzi Alessandrina e C. s.n.c., Roazzi Alessandrina e Carletti Guido c. fall. Tuttolana di Roazzi Alessandrina e C. s.n.c., Roazzi Alessandrina e Carletti Guido; trib. Roma 22 gennaio 1996, Menenti Fashion di Menenti Adriano e C. s.a.s. c. fall. Menenti Fashion di Menenti Adriano e C. s.a.s.; trib. Torino 13 ottobre 1992, fallimento, 1993, 326; trib. Trieste 22 giugno 1992, fallimento, 1992, 1190; trib. Roma 28 febbraio 1962, dir. fall., 1962, II, 260; app. Roma 19 dicembre 1956, dir. fall., 1957, II, 128). La societa' di persone, avente per oggetto un'attivita' commerciale (artt. 2308 e 2323 c.c.), che non sia in grado, con il suo patrimonio, di soddisfare regolarmente i suoi creditori, deve, dunque, essere, senz'altro, dichiarata fallita, a norma dell'art. 5 legge fallimentare. 2.1.4. - Il fallimento dei soci illimitatamente responsabili di societa' di persone e' conseguenza che scaturisce automaticamente dalla dichiarazione di fallimento della societa', prescindendo del tutto da qualsiasi accertamento nei riguardi dei singoli soci dei presupposti previsti dagli artt. 1 e 5, legge fall. (Cass. 28 maggio 1991, n. 6028, fallimento, 1991, 1146; Cass. 5 marzo 1987, n. 2311, fallimento, 1987, 572; Cass. 6 novembre 1985, fallimento, 1986, 497; Cass. 12 aprile 1984, n. 2359, fallimento, 1984, 1025; Cass. 28 giugno 1979, n. 3614; Cass. 23 maggio 1979, n. 2283, fallimento, 1980, 253; Cass. 15 novembre 1976, n. 4216; Cass. 7 agosto 1972, n. 2639, dir. fall., 1973, II, 386; Cass. 5 febbraio 1971, dir. fall., 1971, II, 661; Cass. 14 giugno 1967, n. 1338, dir. fall., 1967, II, 865; Cass. 18 marzo 1966, n. 764, dir. fall., 1966, II, 560; Cass. 27 gennaio 1962, n. 165, dir. fall., 1962, II, 92; trib. Roma 8 febbraio 1997, cit.; trib. Roma 22 gennaio 1996, cit.; trib. Torino 27 maggio 1992, fallimento, 1992, 1081; trib. Biella 19 aprile 1983, dir. fall., 1984, II, 221; app. Firenze 1 ottobre 1981, dir. fall., 1982, II, 428; app. Napoli 30 giugno 1965, dir. fall., 1966, II, 96; app. Torino 11 giugno 1965, dir. fall., 1965, II, 454). Cio' che rileva, ai fini della dichiarazione di fallimento dei soci ex art. 147 legge fall., e' soltanto la responsabilita' illimitata per le obbligazioni sociali, che trovi il suo titolo nel rapporto di societa', quindi nella qualita' di socio. 2.1.5. - Il fallimento dei soci illimitatamente responsabili di societa' di persone non deriva, dunque, dall'essere essi imprenditori (o co-imprenditori commerciali: la qualifica di imprenditore commerciale (ove ne ricorrano i presupposti) spetta soltanto alla societa', giacche' e' questa che "agisce" ("sotto una ragione sociale": artt. 2292, comma 1, e 2314, comma 1, c.c.), deve essere "iscritta nel registro delle imprese" (artt. 2296, 2297, 2315, 2317 c.c.), "acquista diritti e assume obbligazioni" (art. 2266 c.c., richiamato dall'art. 2293 c.c.), puo' essere titolare di diritti reali, anche immobiliari (arg. ex art. 2659, comma 1, n. 1, c.c.), ed e' "sul patrimonio sociale" che "i creditori della societa' possono far valere i loro diritti" (art. 2267, comma 1, c.c., richiamato dall'art. 2293 c.c.), salva la responsabilita' personale, illimitata e solidale, di tutti o di alcuni soci. D'altro canto, ove si ammettesse - come sostiene parte della dottrina - che anche (o soltanto i soci illimitatamente responsabili rivestono la qualita' di imprenditori commerciali, per il solo fatto di essere soci di una societa' di persone esercente un'attivita' commerciale, se ne dovrebbe inferire che essi sono assoggettabili a fallimento, non solo quando la societa' versa in stato di insolvenza, ma anche quando ciascuno si trova, per suo conto, in stato di insolvenza, indipendentemente dalla dichiarazione di fallimento della societa'; ma a simile conclusione (inevitabile, se fosse vera la premessa) nessuno e' mai giunto, essendo, invece, pacifico che il socio puo' si' fallire, indipendentemente dal fallimento della societa' (com'e' previsto dall'art. 2288, comma 1, c.c.), ma soltanto quando sussistano riguardo a lui solo i presupposti del fallimento, ossia quando egli sia imprenditore commerciale, in quanto esercente, per suo conto, un'impresa individuale, e si trovi in stato d'insolvenza, ovvero quando sia socio illimitatamente responsabile di altra societa', dichiarata fallita. 2.1.6. - La ratio del fallimento del socio illimitatamente responsabile di societa' di persone deve, allora, rinvenirsi nella opportunita', discrezionalmente valutata dal legislatore, di far valere la responsabilita' illimitata e solidale del socio per le obbligazioni sociali, e, quindi, di realizzare la garanzia, costituita dal patrimonio personale del socio, con lo strumento, ritenuto piu' idoneo, del fallimento e nell'ambito di un'unica procedura fallimentare, a tutela sia dei creditori sociali sia dei creditori particolari del socio. 2.2.1. - Per consolidata giurisprudenza, e' assoggettabile a fallimento, ai sensi dell'art. 147, comma 1, legge fall., anche il socio receduto, ancorche' sia decorso un anno dal recesso, non trovando applicazione riguardo a lui l'art. 10 legge fall.; unico limite e' che l'insolvenza della societa' riguardi anche obbligazioni contratte dalla medesima societa' in epoca anteriore al recesso (Cass. 6 luglio 1993, n. 7385, fallimento, 1993, 1241; Cass. 17 ottobre 1986, n. 6087, fallimento, 1987, 572; Cass. 21 novembre 1983, n. 6934, fallimento, 1984, 1140; Cass.. 29 novembre 1978, n. 5642, dir. fall., 1979, II, 65; Cass. 4 ottobre 1978, n. 4399, dir. fall., 1979, II, 196; Cass. 30 marzo 1977, n. 1221, Giust. civ., 1977, I, 905; Cass. 22 giugno 1972, n. 2069, dir. fall., 1973, II, 77; Cass. 27 gennaio 1962, n. 165, Giust. civ., 1962, I, 1783; app. Bologna 20 novembre 1993, Gius, 1994, 118; trib. Milano 10 giugno 1993, Foro it., 1995, I, 1679; app. Milano 21 maggio 1985, fallimento, 1986, 55; trib. Napoli 1 settembre 1984, dir. fall., 1985, II, 613; trib. Genova 15 ottobre 1978, Giur. comm., 1980, II, 292). 2.2.2. - L'art. 10 legge fall. non e' stato ritenuto applicabile neanche al socio che abbia ceduto la sua quota, sicche' egli puo' essere dichiarato fallito (in conseguenza del fallimento della societa' pure decorso l'anno dalla cessione, per le obbligazioni contratte anteriormente a questa (trib. Ancona 7 ottobre 1991, dir. fall., 1992, II, 316). 2.2.3. - Quanto al socio defunto, e' opinione prevalente che non puo' trovare applicazione l'art. 11 legge fall., sicche' egli e' assoggettabile a fallimento, ancorche' sia decorso un anno dalla morte (trib. Catania 21 giugno 1990, dir. fall., 1992, II, 1162). 2.2.4. - In ogni ipotesi di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio (recesso, esclusione, morte, cessione della quota) il socio cessato (receduto, escluso, defunto, cedente continua ad essere assoggettabile a fallimento, in conseguenza del fallimento della societa', posto che rispetto a lui continuano, nonostante lo scioglimento del rapporto, a sussistere le condizioni, richieste dall'art. 147, comma 1, legge fall.: a) la responsabilita' illimitata per le obbligazioni sociali (perche' il socio uscente o i suoi eredi, a norma dell'art. 2290, comma 1, c.c., "sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento"); b) il discendere tale responsabilita' dal rapporto sociale, ossia dalla qualita' di socio. Ne', a seguito della perdita della qualita' di socio, viene meno la ratio, che giustifica il fallimento dell'ex-socio: finche' sussiste la responsabilita' illimitata per le obbligazioni sociali, permane l'opportunita' che la garanzia, costituita dal patrimonio personale del socio, sia realizzata secondo la disciplina del fallimento e nell'ambito di un'unica procedura fallimentare. L'art. 147, comma 1, legge fall. non subordina, dunque, il fallimento del socio illimitatamente responsabile alla sussistenza dell'attuale qualita' di socio, al momento della dichiarazione di fallimento della societa'. 2.2.3. - La medesima norma non pone alcun limite temporale all'assoggettabilita' a fallimento dell'ex-socio illimitatamente responsabile. Gli artt. 10 e 11, legge fall., che, diversamente, stabiliscono il termine di un anno dalla cessazione dell'impresa o dalla morte per la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore cessato o defunto, non sono applicabili al socio cessato o defunto, giacche' si riferiscono espressamente al solo imprenditore individuale e, come si e' detto, deve negarsi che - nel nostro diritto - il socio illimitatamente responsabile sia, per cio' solo, imprenditore. Nemmeno puo' ipotizzarsi una applicazione analogica di dette norme, atteso che l'analogia puo' ammettersi solo nel caso di una lacuna normativa, laddove la fattispecie non sia regolata da alcuna norma, mentre nel caso dell'ex-socio la norma esiste ed e', appunto, quella dell'art. 147, comma 1, legge fall., la quale disciplina la fattispecie, stabilendo l'assoggettamento a fallimento dell'ex-socio sine die, sempreche' vi siano obbligazioni sociali anteriori allo scioglimento del rapporto, rimaste insoddisfatte, e fino a che non sia esaurita la procedura fallimentare relativa alla societa' (Cass. 29 novembre 1978, n. 5642, cit.; Cass. 30 marzo 1977, n. 1221, cit.; app. Milano 21 maggio 1985, cit.). 2.2.4. - L'art. 147, comma 2, legge fall., a sua volta, estende la portata della disposizione del primo comma, imponendo la successiva dichiarazione di fallimento, in "estensione" ai soci illimitatamente responsabili, che, per qualunque ragione, non siano stati dichiarati falliti unitamente alla societa', ma rispetto ai quali ricorrano le condizioni previste dallo stesso primo comma. 3. - La questione di costituzionalita' delle disposizioni dell 'art. 147, commi 1 e 2, legge fall. 3.1. - Da quanto innanzi emerge la disparita' di trattamento fra l'imprenditore individuale cessato o defunto ed il socio illimitatamente responsabile di societa' di persone cessato (perche' e' receduto, e' stato escluso o ha ceduto la sua quota o defunto: il primo puo' essere dichiarato fallito solo nel termine di un anno dalla cessazione dell'impresa o dalla morte; il secondo puo' essere dichiarato fallito (in conseguenza del fallimento della societa' senza limite di tempo (sempreche', pero', sussistano obbligazioni sociali, di cui debba rispondere, e finche' non sia chiusa la procedura fallimentare relativa alla societa'). 3.2. - La situazione dell'uno e quella dell'altro presentano i seguenti tratti comuni: a) l'esercizio di un'impresa commerciale o, quanto meno, la partecipazione alla costituzione di un'organizzazione avente per scopo l'esercizio di un'impresa commerciale; b) la responsabilita' illimitata per le obbligazioni conseguenti; c) la cessazione dell'esercizio o della partecipazione all'esercizio dell' impresa commerciale; d) il permanere della responsabilita' illimitata per le obbligazioni inerenti all'impresa commerciale. Per entrambi, imprenditore individuale e socio illimitatamente responsabile, la ratio, che giustifica il permanere dell'assoggettabilita' a fallimento, sta nell'opportunita' di utilizzare lo strumento del fallimento, pur dopo la cessazione dell'esercizio o della partecipazione all'esercizio, per la realizzazione della garanzia, costituita dal patrimonio dell'imprenditore o del socio, cessato o defunto. Per entrambi, tuttavia, pare ugualmente opportuno che l'assoggettabilita' a fallimento sia limitata nel tempo. In dottrina, infatti, si e' osservato che la finalita' degli artt. 10 e 11, legge fall. e' quella di evitare che la soggezione al fallimento si protragga indefinitamente nel tempo, una volta che sia venuta meno la condizione personale fonte di obbligazioni, per il cui mancato soddisfacimento puo' essere dichiarato il fallimento; e che la stessa esigenza si pone anche per il socio illimitatamente responsabile. 3.3. - Le due situazioni a confronto presentano, invece, i seguenti elementi di differenziazione: a) l'essere l'impresa esercitata in forma individuale, e, quindi, in modo solitario, nell'un caso, e in forma collettiva, ossia con l'altrui concorso, nell'altro caso; b) il non avere il socio la qualita' formale di imprenditore commerciale; c) il permanere dell'impresa, dopo lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio, a fronte del venir meno dell'impresa, dopo la cessazione dell'esercizio da parte dell'imprenditore individuale o la morte di questo. Tali elementi, tuttavia, non sembrano determinanti ai fini del trattamento da farsi all'uno e all'altro soggetto, in quanto non toccano l'opportunita' o meno che l'assoggettabilita' a fallimento abbia un termine. In particolare, poi, va rilevato che, anche nel caso di imprenditore individuale, puo' aversi continuazione dell'impresa dopo il ritiro dal commercio o la morte dell'imprenditore, come quando la cessazione dell'esercizio consegua alla cessione dell'azienda a un terzo, che prosegua la gestione (con conseguente assunzione di responsabilita' illimitata per i debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta, purche' risultanti dai libri contabili obbligatori, ex art. 2560, comma 2, c.c. ovvero quando l'erede subentri nell'esercizio dell'impresa (arg. ex artt. 320, comma 5, n. 371, comma 1, n. 3, e comma 2, n. 425 c.c.): simili evenienze sono del tutto irrilevanti ai fini dell'applicazione degli artt. 10 e 11, legge fall., perche', sopravviva o meno l'impresa al ritiro dal commercio o alla morte dell'imprenditore, da tali eventi comincia, comunque, a decorrere il termine annuale, entro il quale soltanto puo' essere dichiarato il fallimento. 3.4. - Sorge, dunque, il dubbio se sia giustificabile, secondo il criterio della ragionevolezza, la disparita' di trattamento, innanzi evidenziata, o se non violi il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione la norma che impone la dichiarazione di fallimento del socio cessato o defunto senza alcun limite di tempo, a differenza di quanto prevedono gli artt. 10 e 11, legge fall. per l'imprenditore individuale cessato o defunto. 3.5 - Alla stregua delle considerazioni svolte, questo tribunale ha gia' ritenuto che non e' manifestamente infondata, con riferimento all'art. 3, comma 1, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 147, comma 1, legge fall., in relazione all'art. 11, comma 1, legge fall., nella parte in cui prevede che la sentenza che dichiara il fallimento della societa' con soci a responsabilita' illimitata produce il fallimento anche del socio (illimitatamente responsabile) defunto, pur dopo che sia decorso un anno dalla morte; con ordinanza in data 31 ottobre 1997 (dir. fall., 1998, II, 138) ha, quindi, rimesso la questione alla Corte costituzionale. 3.6. - Le medesime considerazioni, di cui innanzi, inducono, ora, il collegio a ritenere che non e' manifestamente infondata, con riferimento sempre all'art. 3, comma 1, della Cost., la questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni dello stesso art. 147, commi 1 e 2, legge fall., in relazione all'art. 10 legge fall., laddove prevedono che, in caso di fallimento di societa' con soci a responsabilita' illimitata, debbono essere dichiarati falliti, contestualmente o successivamente alla dichiarazione di fallimento della societa', anche i soci illimitatamente responsabili, che abbiano ceduto la loro quota, pur dopo che sia decorso un anno dalla iscrizione della cessione nel registro delle imprese. Il dies a quo va individuato in tale iscrizione, posto che a decorrere da essa la modificazione dell'atto costitutivo della societa', in cui si risolve la cessione della quota di un socio, e' opponibile ai terzi, ai sensi degli artt. 2193 e 2300 c.c. 3.7. - La questione di costituzionalita' e' rilevante, ai fini della decisione sulla domanda de qua, atteso che i soci Giuseppe Masi, Raffaella Masi e Luigi Lenconi cedettero le loro quote nella societa' "Masiflor - s.n.c. di Masi Pierfrancesco" con atto pubblico per notaio dott.ssa Maria Cristina Condorelli di Roma in data 18 dicembre 1992, rep. n. 11628, e tale atto modificativo dell'atto costitutivo della societa' venne iscritto in data 12 gennaio 1993 nel registro delle societa' presso la cancelleria del tribunale di Roma (registro che, all'epoca, ancora surrogava il registro delle imprese ex art. 100 disp. att. c.c.), sicche', essendo ad oggi gia' trascorso ben piu' di un anno dalla data di detta iscrizione, dall'applicabilita' o meno delle disposizioni di legge denunciate, nella loro attuale formulazione, puo' derivare il rigetto ovvero l'accoglimento della domanda di "estensione" del fallimento della societa' ai resistenti. 3.8. - E' ius receptum che l'incidente di costituzionalita' puo' trovar luogo anche nei procedimenti in camera di consiglio, contenziosi o non contenziosi, dovendosi intendere per "giudizio", nel corso del quale puo' essere sollevata una questione di legittimita' costituzionale, ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, ogni procedimento che si svolga dinanzi ad un giudice nell'esercizio di una funzione giurisdizionale (Corte costituzionale 12 dicembre 1957, n. 129, foro it., 1957, I, 2100; Corte costituzionale 11 marzo 1958, n. 24, foro it., 1958, I, 510; Corte costituzionale 22 dicembre 1961, n. 66, foro it., 1962, I, 24; Corte costituzionale 27 novembre 1974, n. 267, foro it., 1975, I, 7; app. Milano 7 luglio 1988, giur. it., 1989, I, 2, 132. 3.9. - La questione va sollevata d'ufficio e rimessa al giudice delle leggi. Va, quindi, disposta l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospeso il procedimento in corso. Vanno, altresi', date le ulteriori disposizioni previste dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87.