IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  742/1994,
 proposto da Minonne Salvatore, rappresentato e difeso dagli avv.ti V.
 Romeo,  poi  G.  Carbone, e quindi G. Spata e F. Guariglia, presso il
 cui studio e' elettivamente domiciliato in Lecce, v. S. Trinchese  n.
 87;
   Contro  la  U.S.L.  LE/12, non costituita, per l'accertamento della
 illegittimita' del silenzio rifiuto formatosi sulla  istanza  diffida
 notificata   il   22   novembre   1993  e  per  l'accertamento  della
 costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato
 tra il ricorrente e l'intimata U.S.L. a decorrere dal 1  agosto  1988
 o, in subordine, dal 1 gennaio 1991 o comunque dall'entrata in vigore
 dell'art. 4-bis della legge n. 236/1993; in via ulteriormente gradata
 per  l'accertamento  del  diritto  a  percepire  le differenze tra le
 retribuzioni erogate e quelle spettanti in relazione alla quantita' e
 qualita' del lavoro svolto; il tutto con rivalutazione e interessi;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Viste le memorie prodotte dalla parte ricorrente a  sostegno  della
 rispettiva difesa;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Udito  alla  pubblica udienza del 25 marzo 1998 il giudice relatore
 dott. Gerardo Mastrandrea;
   Udito altresi' l'avv. G. Spata per il ricorrente;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
                               F a t t o
   Il ricorrente afferma di aver prestato servizio  presso  la  U.S.L.
 LE/12  in base alla convenzione stipulata il 21 dicembre 1988, valida
 dal 1 gennaio 1988 al 31 dicembre 1988, rinnovata  di  anno  in  anno
 tacitamente, in mancanza di formale disdetta.
   Tale  attivita' e' stata prestata dal 1 gennaio 1988 al 31 dicembre
 1990 come ausiliario socio-sanitario  nel  servizio  di  integrazione
 scolastica  degli  handicappati;  dal 1 gennaio 1991 presso l'ufficio
 ragioneria della U.S.L. con mansioni di addetto al computer,  per  la
 gestione  e  l'immagazzinamento dei dati relativi alle fatture per le
 forniture ed alle delibere di liquidazione.
   In data 22 novembre 1993 ha diffidato la U.S.L. ad inquadrarlo come
 impiegato a tempo indeterminato, con la qualifica ed  il  trattamento
 economico  spettanti  in  base  ai  compiti svolti, a decorrere dal 1
 gennaio 1988 o comunque dal 1 gennaio 1991, ed a  corrispondergli  le
 connesse differenze retributive, oltre a rivalutazione ed interessi.
   Propone   ricorso   per  l'accertamento  della  illegittimita'  del
 silenzio-rifiuto formatosi sulla diffida notificata  il  22  novembre
 1993  e  per  l'accertamento  della  costituzione  di  un rapporto di
 pubblico  impiego  a  tempo  indeterminato  con  la  U.S.L.  LE/12  a
 decorrere  dal  1  gennaio 1988 o, in subordine, dal 1 gennaio 1991 o
 comunque dall'entrata  in  vigore  dell'art.  4-bis  della  legge  n.
 236/1993; in via ulteriormente gradata per l'accertamento del diritto
 a  percepire  le  differenze  tra  le  retribuzioni  erogate e quelle
 spettanti in relazione alla quantita' e qualita' del  lavoro  svolto;
 il tutto con rivalutazione e interessi.
   Deduce i seguenti motivi:
   1. - Violazione artt. 4 e 36 della Costituzione.
   Nella  specie  sussisterebbero  tutti  gli  elementi  che  rivelano
 l'esistenza di un rapporto di pubblico impiego; alla costituzione  di
 questo  non  ostano  la  mancanza  di  un  atto  formale  di nomina e
 l'apposizione di un termine alla convenzione.
   2. - Violazione art. 4-bis, legge n. 236/1993.
   Il ricorrente ha prestato  servizio  presso  la  U.S.L.  LE/12  con
 mansioni di ausiliario socio-sanitario ed addetto al computer, per le
 quali  non  e'  richiesto  un  titolo di studio superiore a quello di
 scuola secondaria. In relazione alle vacanze esistenti, sia  nell'una
 che    nell'altra   qualifica,   l'amministrazione   avrebbe   dovuto
 trasformare il rapporto a  tempo  determinato  in  rapporto  a  tempo
 indeterminato.
   3. - Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione.
   Il  comportamento  dell'amministrazione, che utilizza il ricorrente
 come impiegato a tempo indeterminato senza inquadrarlo  come  tale  e
 senza  corrispondergli la retribuzione dovuta in relazione ai compiti
 svolti, sarebbe viziato da eccesso di potere.
   Conclude per l'accoglimento del gravame.
   La U.S.L. intimata non si e' costituita in giudizio.
   Con  sentenza  interlocutoria  n.  198/1996  sono  stati   disposti
 incombenti istruttori, relativamente ai compiti svolti dal ricorrente
 a partire dal 1 gennaio 1988 fino all'8 febbraio 1994.
   L'amministrazione onerata ha provveduto.
   Con   sentenza   parziale  n.  870/1996  questo  tribunale  ha  poi
 dichiarato inammissibile il ricorso in epigrafe quanto  alla  pretesa
 relativa   all'accertamento   della   costituzione   di  un  rapporto
 impiegatizio a tempo indeterminato a decorrere dal 1 gennaio 1988  o,
 in  subordine,  dal  1  gennaio  1991,  e  lo  ha rigettato quanto al
 silenzio rifiuto.  Mentre in ordine all'accertamento del  diritto  ad
 ottenere  le  differenze retributive in considerazione delle mansioni
 svolte  ha  disposto  l'acquisizione  di elementi istruttori circa la
 sussistenza, dal 25  gennaio  1991  alla  data  di  proposizione  del
 ricorso,   di   un   posto   vacante   di  coadiutore  amministrativo
 nell'organico del Servizio economico-finanziario della U.S.L. LE/12.
   Anche in questo caso l'Azienda  sanitaria  onerata  ha  provveduto,
 inviando un'attestazione da cui risulta che in pianta organica per il
 Servizio  interessato  (economico-finanziario) non e' mai esistito un
 posto vacante di coadiutore amministrativo, a differenza peraltro  di
 altri  servizi,  come quello di amministrazione del personale (ove un
 simile posto e' vacante dal 1 ottobre 1991).
   Il ricorrente ha depositato varie memorie, tra cui  da  ultimo  una
 memoria conclusiva in data 21 marzo 1998.
   Alla  pubblica  udienza  del  25  marzo  1998  la  causa  e'  stata
 trattenuta per la decisione.
                             D i r i t t o
   Occorre premettere che l'ambito decisorio della presente  pronuncia
 deve  intendersi  necessariamente limitato alle parti del ricorso che
 non sono state definite con la sentenza  parziale  n.  870/1996.  Con
 tale  pronuncia  questo  tribunale  ha  dichiarato  inammissibile  il
 ricorso in epigrafe quanto  alla  pretesa  relativa  all'accertamento
 della  costituzione di un rapporto impiegatizio a tempo indeterminato
 a decorrere dal 1 gennaio 1988 o, in subordine, dal 1 gennaio 1991, e
 lo ha  rigettato  quanto  al  silenzio  rifiuto.  Mentre,  in  ordine
 all'accertamento del diritto ad ottenere le differenze retributive in
 considerazione  delle  mansioni svolte, ha disposto l'acquisizione di
 elementi istruttori circa la sussistenza, dal 25  gennaio  1991  alla
 data  di  proposizione del ricorso, di un posto vacante di coadiutore
 amministrativo nell'organico del servizio economico-finanziario della
 U.S.L. LE/12.
   Cio' premesso, rileva il collegio che il giudizio  sul  ricorso  in
 esame  deve  essere  sospeso  con  trasmissione degli atti alla Corte
 costituzionale.
   L'azione di accertamento esperita dal ricorrente Minonne  e'  volta
 ad   ottenere,  previa  qualificazione  del  rapporto  come  pubblico
 impiego,  il  riconoscimento  del  proprio  diritto  alle  differenze
 retributive,   oltre   interessi   e   rivalutazione,   nonche'  alla
 regolarizzazione  del  rapporto  sotto  il  profilo  contributivo   e
 previdenziale.
   A seguito della acquisizione degli atti, in esecuzione della citata
 sentenza  parziale  n.  870/1996,  e'  emerso, in disparte ogni altra
 considerazione in ordine alla  sussistenza  dei  cosi'  detti  indici
 rivelatori   (di   cui  all'acquisizione  di  elementi  disposta  con
 l'interlocutoria n. 198/1986,  che  non  e'  mai  esistito  un  posto
 vacante  di  coadiutore  amministrativo  nella  pianta  organica  del
 servizio  di  appartenenza  (economico-finanziario)  della  disciolta
 U.S.L.   LE/12 di Tricase, confluita nell'attuale A.U.S.L. LE/2 (cfr.
 nota A.U.S.L. LE/2 n.  250 del 10 gennaio 1997).
   Orbene ritiene  il  Collegio  che  l'assenza  di  tale  presupposto
 precluda  l'applicabilita'  della  norma  di  cui all'art. 2126 c.c.,
 atteso che la previsione e vacanza del posto in pianta organica  deve
 riguardarsi  alla  stregua  di  necessario presupposto, con priorita'
 logica rispetto alla verifica degli indici rivelatori del rapporto di
 lavoro subordinato  solitamente  considerati,  che  comunque  per  il
 triennio interessato sembrano ricorrere nel caso di specie.
   Occorre  premettere  che la norma di cui al secondo comma dell'art.
 2126 c.c. non sembra applicabile  alla  fattispecie  in  esame;  tale
 norma  sancisce come e' noto il diritto del prestatore di lavoro alla
 retribuzione se il lavoro e' stato prestato con violazione  di  norme
 poste a tutela del lavoratore.
   Ed  invero  nel  caso  in  esame il lavoro risulterebbe prestato in
 violazione di norme diverse, poste a tutela dell'interesse della p.a.
 e dell'interesse generale della collettivita', tale essendo la  ratio
 delle   norme   che   prevedono  l'assunzione  nel  pubblico  impiego
 esclusivamente mediante concorso, sanzionando  di  nullita'  assoluta
 (in  senso  proprio)  gli  atti  di  costituzione  di  un rapporto di
 pubblico impiego in assenza di  pubblico  concorso  (fatte  salve  le
 deroghe espressamente previste dalla legge).
   Come  autorevolmente  rilevato dall'Adunanza plenaria del Consiglio
 di Stato, deve escludersi che la violazione delle norme che prevedono
 il divieto di assunzioni possa integrare  illiceita'  dell'oggetto  o
 della  causa,  nei  termini  e nei limiti ivi precisati (Cons. Stato,
 A.P., 29 febbraio 1992, n. 2).
   Conseguentemente  la  norma  a  cui  occorre  fare  riferimento  e'
 esclusivamente  quella  di  cui  al  comma primo del citato art. 2126
 c.c.; tale  norma  prevede  che  la  nullita'  o  l'annullamento  del
 contratto  di  lavoro  non  produce  effetto per il periodo in cui il
 rapporto ha avuto esecuzione.
   Ad  avviso  del  collegio  la  norma   appena   citata   null'altro
 costituisce   se   non  una  specificazione  del  generale  principio
 dell'arricchimento senza causa di cui  all'art.  2041  c.c.  (con  un
 elemento tuttavia specializzante, che verra' di seguito evidenziato);
 ove  infatti  la norma di cui all'art.  2126, comma 1, non esistesse,
 ugualmente risulterebbe attribuita tutela al prestatore di lavoro  ai
 sensi  dell'art.  2041  c.c.,  che  prevede in via residuale l'azione
 generale di indebito arricchimento (in questo caso tuttavia con onere
 della prova dell'utilitas a carico del ricorrente).
   La norma di cui all'art.  2126,  comma  1,  trova  infatti  la  sua
 evidente  ratio  non  gia'  nella astratta esigenza di fare salvi gli
 effetti medio tempore prodotti in esecuzione del contratto di  lavoro
 nullo,   bensi'   nell'esigenza   di   salvaguardare   il  sinallagma
 prestazione-controprestazione, realilzzando contemporaneamente  e  in
 termini  di  complementarieta', da un lato, la tutela del lavoratore,
 dall'altro l'esclusione dell'ingiustificato  arricchimento  da  parte
 del datore di lavoro.
   L'elemento specializzante dell'art. 2126 rispetto alla norma di cui
 all'art.  2041  e'  costituito dalla presunzione assoluta di utilitas
 della prestazione per il datore di lavoro; da quanto  sopra  discende
 l'esonero del ricorrente dal relativo onere della prova.
   La  presunzione  iuris  et  de  iure  di  utilita'  economica della
 prestazione di lavoro resa dal lavoratore trova applicazione, qualora
 il  datore  di  lavoro  sia  una  pubblica   amministrazione,   vista
 l'esigenza,  tutelata a piu livelli, di programmazione del fabbisogno
 di personale e  di  correlativa  puntuale  previsione  delle  risorse
 umane,  sempre ai soli fini dell'applicazione dell'art. 2126, solo in
 caso  di  attivita'  prestata  su  un  posto  previsto  nella  pianta
 organica, vacante e disponibile.
   Tale    circostanza    dunque,    contrariamente   all'orientamento
 giurisprudenziale prevalentemente seguito, peraltro finora  anche  da
 questo  tribunale,  deve  considerarsi  necessario  e imprescindibile
 presupposto per l'applicazione dell'art. 2126 c.c.
   Occorre infatti considerare che l'indebito arricchimento della p.a.
 (che e' presunto in via assoluta ex art.  2126  c.c.)  in  danno  del
 dipendente, a differenza di quanto accade in caso di datore di lavoro
 privato,  deve  necessariamente  raggiungere  un  adeguato livello di
 rilevanza giuridico-formale.
   Tale arricchimento ingiustificato per la p.a., sempre  ai  limitati
 fini  dell'applicazione dell'art. 2126 c.c., non puo' che consistere,
 infatti,  nella  fruizione  di  determinate  prestazioni  lavorative,
 riferibili  qualitativamente  e  quantitativamente ad una determinata
 qualifica funzionale,  retribuita  o  con  un  trattamento  economico
 previsto  per  un  dipendente  di qualifica inferiore (come accade in
 tema di retribuzione differenziale per  lo  svolgimento  di  mansioni
 superiori)  ovvero  con  un  corrispettivo  di  fonte  convenzionale,
 comunque inferiore al parametro  economico  costituito  astrattamente
 dalla qualifica di riferimento delle mansioni svolte (come accade per
 il  caso  della  domanda di accertamento della qualificabilita' di un
 rapporto precario come rapporto di pubblico impiego).
   Occorre infatti considerare che, per poter fruire di  una  siffatta
 prestazione  lavorativa,  la  p.a.,  dovrebbe  poter coprire il posto
 vacante (e ovviamente previsto nella pianta  organica)  mediante  una
 regolare  assunzione  (concorso, mobilita', ecc.), con la conseguenza
 di  dover  corrispondere  al  dipendente  in  tal  modo  assunto   un
 trattamento  economico  corrispondente alla qualifica di riferimento;
 l'assenza di previsione e/o vacanza del posto nella pianta  organica,
 per   quanto   sopra   evidenziato,   precluderebbe  alla  p.a.  ogni
 possibilita' di ricorrere ad una regolare assunzione.
   Conseguentemente nessuna utilita' in  termini  economici  e  nessun
 indebito  arricchimento  possono  presumersi,  ex art. 2126, derivare
 alla p.a. dall'espletamento di mansioni superiori o di  attivita'  da
 parte di personale in rapporto di incarico convenzionale, per il caso
 in cui il posto non risulti previsto nella pianta organica ovvero per
 il caso in cui lo stesso non risulti vacante.
   In  realta',  la  ratio  di fondo che giustifica la retribuibilita'
 delle  mansioni  superiori  non  e'  dissimile  da  quella  posta   a
 giustificazione della retribuzione secondo il parametro dei contratti
 collettivi  di  un rapporto di incarico o a convenzione: in un caso e
 nell'altro si e' in presenza  di  una  rivendicazione  da  parte  del
 prestatore  di  lavoro,  rivendicazione  che presuppone che lo stesso
 abbia sostanzialmente, e anche in via di mero  fatto,  ricoperto  uno
 specifico posto della pianta organica, vacante e disponibile.
   Diversamente  opinando  non  appare  giustificato,  ne' conforme al
 principio di  uguaglianza  di  cui  all'art.  3  Cost.,  il  ritenere
 inapplicabili  le norme di cui agli artt. 36 Cost. e 2126 c.c. per il
 caso del dipendente che abbia svolto mansioni  superiori  in  assenza
 della previsione o della vacanza dello specifico posto e, per contro,
 il  ritenere tali norme applicabili nei confronti di un soggetto che,
 sempre in assenza  di  previsione  e  di  vacanza  del  posto,  abbia
 prestato  una  attivita'  in  favore  della  p.a.  in  virtu' di atti
 deliberativi  di  incarico;  in  un  caso  o  nell'altro  infatti  la
 retribuzione  differenziale presuppone l'accertamento della copertura
 in via di fatto di un posto vacante nella pianta organica.
   E'  noto  infatti  che  l'esigenza del perseguimento dell'interesse
 generale  e  dei  fini  istituzionali  da  parte  dell'Ente  pubblico
 condiziona  l'intera  organizzazione  delle  risorse  umane  e  delle
 energie lavorative (cfr. da ultimo  anche  l'art.  5  del  d.lgs.  n.
 80/1998 di modifica dell'art. 6 del d.lgs. n. 29/1993).
   La  pianta  organica  costituisce peraltro un evidente limite anche
 per l'amministrazione, in considerazione dell'esigenza  di  garantire
 l'osservanza  dei  principi  di  cui all'art. 97 Cost. e una corretta
 gestione delle risorse finanziarie.
   Conseguentemente risulta precluso all'Amministrazione di costituire
 rapporti impiegatizi su  posti  non  previsti  e  vacanti  in  pianta
 organica.
   Le  esigenze che non risultino tradotte in una previsione di pianta
 organica   risultano   pertanto   entita'   non   immediatamente    e
 presuntivamente  apprezzabili  in  termini economico-patrimoniali per
 l'Amministrazione, salvo prova  contraria,  nei  termini  di  seguito
 indicati (art. 2041 c.c.).
   Se  la  previsione  e  la vacanza dello specifico posto costituisce
 necessario presupposto per la retribuibilita' delle asserite mansioni
 superiori espletate (Cons. Stato, A.P., 2/91; C. cost.  n.  101/1995;
 t.a.r.  Marche,  n.  553/1996;  t.a.r.  Lecce II, n. 46/1997), cosi',
 anche in relazione all'asserita qualificabilita' di  un  rapporto  ad
 incarico  come  rapporto  di  pubblico  impiego,  tale  elemento deve
 necessariamente costituire  altrettanto  imprescindibile  presupposto
 per   l'attribuzione   di   retribuzione  differenziale  rispetto  al
 corrispettivo fissato nell'atto  di  incarico  o  nella  convenzione,
 atteso  che in un caso come nell'altro la previsione e la vacanza del
 posto condizionano in concreto la qualificabilita' della  fattispecie
 come  ipotesi  di arricchimento ingiustificato presunto (ex art. 2126
 c.c.).
   Deve pertanto ritenersi che l'assenza della  previsione  e/o  della
 vacanza  del  posto  costituisca  circostanza idonea e sufficiente ad
 escludere l'applicabilita' alla fattispecie della previsione  di  cui
 all'art. 2126, comma 1.
   Cio'  non  vuol  dire  che  in tal caso il prestatore d'opera resti
 privo di tutela giurisdizionale, per quanto di seguito si dira'.
   Preme qui sottolineare ancora una volta che l'assenza di previsione
 e/o vacanza del posto non viene in rilievo ai fini della  sussistenza
 o  meno  di  un rapporto di un pubblico impiego (ancorche' costituito
 con  atti  sanzionati   di   nullita')   ovvero   di   un   obiettivo
 ingiustificato  arricchimento  della  p.a.,  bensi'  solo ai fini del
 ritenere applicabile o meno la  norma  di  cui  all'art.  2126  c.c.,
 tenuto  conto  che  l'evidente  agevolazione del ricorrente sul piano
 dell'onere della prova trova fondamento in una  presunzione  assoluta
 dell'utilitas  della prestazione per il datore di lavoro, presunzione
 configurabile anche nei confronti della p.a., ma  solo  nel  caso  di
 previsione  e vacanza del posto e fatta salva l'ipotesi dell'espresso
 riconoscimento di tale utilitas da parte della p.a.
   Ai sensi dell'art. 1414 c.c., il  contratto  simulato  non  produce
 effetto  tra  le  parti  e,  se  le  parti hanno voluto concludere un
 contratto diverso  da  quello  apparente,  ha  effetto  tra  esse  il
 contratto  dissimulato, purche' ne sussistano i requisiti di sostanza
 e di forma.
   Cio'  premesso, come gia' sopra anticipato, non puo' ritenersi che,
 secondo la tesi interpretativa adottata dal collegio,  il  prestatore
 di  lavoro,  privato  in  tal  modo di tutela giurisdizionale ex art.
 2126, comma 1, in relazione  al  rapporto  dissimulato,  resti  anche
 privo di azione con riferimento al rapporto apparente per effetto del
 citato art. 1414, comma 1, c.c.
   Occorre  infatti  considerare  che  spetta al giudice il compito di
 qualificare la fattispecie sul piano giuridico; conseguentemente:
     1) se, in presenza dei presupposti di legge, tra cui vacanza  del
 posto  e  degli indici rivelatori, il rapporto sara' qualificato come
 rapporto  di  pubblico  impiego,  cio'  stesso  comprovera'  che   il
 contratto  o  rapporto apparente e' simulato, trovando di conseguenza
 applicazione l'art. 2126, comma 1, e l'art. 1414, comma 1;
     2) se viceversa, in difetto delle necessarie condizioni, la norma
 di cui all'art. 2126 non possa applicarsi (ad esempio per difetto del
 presupposto della previsione e/o  vacanza  del  posto  corrispondente
 nella pianta organica), delle due l'una:
      a)  o deve ritenersi esclusa la simulazione, essendo evidente in
 tal caso che non sono ravvisabili un rapporto apparente convenzionale
 ed un rapporto dissimulato di pubblico impiego, sussistendo viceversa
 unicamente  il  rapporto  convenzionale,  da  ritenersi  quindi   non
 apparente,  bensi'  reale  e  ed effettivo sotto ogni profilo (quando
 dunque il rapporto si sia  concretamente  articolato  in  conformita'
 delle    previsioni   convenzionali,   riconducibili   oggettivamente
 nell'ambito applicativo di cui all'art. 2222  c.c.),  avendo  in  tal
 caso  il lavoratore, a disposizione ovviamente le azioni nascenti dal
 contratto;
      b) ovvero, ricorrendo  comunque  la  simulazione  (essendosi  il
 rapporto  concretamente articolato secondo il modello del rapporto di
 lavoro subordinato), deve  ritenersi  che  il  contratto  dissimulato
 abbia  effetto  tra  le parti, ove ricorrano i necessari requisiti di
 forma e di sostanza, e che il  lavoratore,  esclusa  l'applicabilita'
 dell'art.  2126  per difetto del presupposto della vacanza del posto,
 riceva tutela giurisdizionale ai sensi dell'art. 2041 c.c.
   Nell'ipotesi di cui sub 2 a) (assimilabile all'ipotesi di accertata
 insussistenza in fatto degli indici rilevatori della subordinazione),
 in particolare quando il rapporto  si  sia  concretamente  articolato
 secondo  le modalita' e le previsioni contenute nella convenzione, il
 prestatore di lavoro avra' a sua disposizione l'azione nascente dalla
 convenzione-contratto, da esercitarsi davanti al  giudice  ordinario.
 In  tal  caso il prestatore, oltre all'azione nascente dal contratto,
 avra' a disposizione  in  via  residuale  l'azione  generale  di  cui
 all'art.    2041  c.c.,  da  esercitarsi  sempre  davanti  al giudice
 ordinario (in caso ad esempio di decadenza dall'azione  contrattuale,
 mancanza  dei necessari requisiti formali, nullita', annullamento del
 contratto).
   Nell'ipotesi di cui sub 2  b),  viceversa,  sempre  nella  ritenuta
 assenza o mancata vacanza del posto in pianta organica, il lavoratore
 potra'  agire, davanti al giudice amministrativo, nei confronti della
 p.a.,  avvalendosi  della  generale  e  residuale  azione  ai   sensi
 dell'art.      2041  c.c.  L'azione  ai  sensi  dell'art.  2041,  con
 conseguente onere  della  prova  dell'utilitas  della  prestazione  a
 carico del ricorrente, va comunque riconosciuta ad esempio qualora il
 rapporto  siasi in concreto articolato in termini differenti rispetto
 alle previsioni contrattuali (prova di simulazione),  concernendo  ad
 esempio   l'esecuzione   di  prestazioni  ulteriori  e  non  previste
 convenzionalmente,  secondo  il  modello  del  rapporto   di   lavoro
 subordinato.
   In  tale  ipotesi, in presenza degli indici rivelatori del rapporto
 di pubblico impiego, da valutarsi ex ante ed in relazione al petitum,
 resta per cio' stessa radicata la giurisdizione del g.a.; non potendo
 tuttavia  applicarsi,  in  difetto  della   vacanza   del   posto   o
 dell'esplicito   riconoscimento   dell'utilitas,   l'art.   2126,  il
 ricorrente ha l'onere di fornire prova della utilita' economica della
 prestazione per la p.a., avvalendosi di tutti i mezzi di prova a  sua
 disposizione  (anche  in  relazione  a quanto statuito da C. cost. n.
 146/1987 e all'orientamento consolidato  in  tema  di  riconoscimento
 implicito dell'utilita').
   Siffatto   onere   probatorio   risulta  peraltro  temperato  dalla
 possibilita', prevista unicamente per il giudizio davanti al  giudice
 ordinario,  di  chiedere e di ottenere una pronuncia secondo equita',
 atteso il tenore da un lato dell'art. 113  c.p.c.  e  dall'altro  del
 combinato disposto di cui agli artt. 112 e 432 c.p.c.
   Tale   ultima   disposizione  prevede,  infatti,  espressamente  (e
 indipendentemente da una richiesta di parte in tal senso)  che  nelle
 controversie  di  lavoro  rientranti nella competenza del giudice del
 lavoro ai sensi dell'art. 409 c.p.c, quando sia certo il  diritto  ma
 non  sia  possibile determinare la somma dovuta, la valutazione delle
 prestazioni rese dal  lavoratore  venga  liquidata  dal  giudice  con
 valutazione equitativa (cfr. anche art. 1226 c.c.).
   Orbene il ricorso da parte della giurisprudenza amministrativa, nei
 casi  di  applicazione  dell'art. 2126 c.c., ai parametri retributivi
 previsti dalla contrattazione collettiva per il dipendente  di  ruolo
 con  mansioni  similari  ha  costituito  un escamotage, o comunque un
 surrogato del potere di liquidazione  equitativa  della  prestazione,
 attribuito  al  solo  giudice ordinario (atteso che il riferimento ai
 parametri retributivi fissati dai CC.CC.NN.LL. per  i  dipendenti  di
 ruolo  appare praticabile solo per l'ipotesi di copertura di fatto di
 un posto vacante e disponibile).
   La possibilita' comunque di ottenere  una  liquidazione  equitativa
 attenua,  come  gia'  evidenziato,  l'onere  della  prova che incombe
 sull'attore ex art. 2041 c.c.,  potendosi  agevolmente  ravvisare  in
 cio',  alla stregua della previsione specifica per le controversie di
 lavoro  di  cui  all'art.  432  c.p.c.,  un  evidente  favor  per  il
 prestatore  di  lavoro,  in  perfetto  parallelo con quello per altro
 verso assicurato dall'art. 2126 c.c.
   Correlativamente si puo' ritenere che la posizione di favor per  il
 prestatore  di lavoro, che trae fondamento dai principi sanciti nella
 Carta costituzionale, risulti comunque garantita anche per  l'ipotesi
 di   azione   ex   art.  2041,  ove  esercitata  dal  lavoratore;  la
 liquidazione   equitativa,   anche   d'ufficio,    esclude    infatti
 complicazioni  probatorie  sull'utilitas,  abbastanza ardue in taluni
 casi (investendo valutazioni  gestionali  difficilmente  apprezzabili
 dall'attore).
   Conclusivamente   deve  ritenersi  che  come  le  azioni  ai  sensi
 dell'art.   2041 c.c.  proposte  dal  prestatore  d'opera,  ai  sensi
 dell'art.  409,  comma  3,  c.p.c.,  rientrano  nella  competenza del
 giudice del lavoro, cosi' analogamente l'azione  ex  art.  2041  c.c.
 proposta  dal  prestatore  nei  confronti  della  p.a.  non  puo' che
 rientrare  nella  giurisdizione  esclusiva del giudice amministrativo
 qualora nel rapporto e alla luce della domanda siano ravvisabili  gli
 indici rivelatori del rapporto di pubblico impiego.
   Considerato che, ove manchi il presupposto della previsione e della
 vacanza  del  posto  in  p.o., non puo' trovare applicazione, pure in
 presenza degli indici rivelatori, l'art. 2126 c.c. e tenuto conto che
 in tal caso non puo' assumersi a parametro retributivo di riferimento
 il trattamento economico previsto per i  dipendenti  di  ruolo  della
 contrattazione collettiva (anche in relazione alla correlazione della
 retribuzione  non  solo  alla oggettivita' della prestazione resa, ma
 anche alle  condizioni  soggettive  e  qualitative  del  prestatore),
 appare  discriminatorio il ritenere non applicabile da parte del g.a.
 la norma di cui all'art. 432 c.p.c.
   Tale norma infatti, in quanto facente parte del rito  speciale  del
 lavoro  innanzi  al  g.o.,  non sembra immediatamente applicabile nel
 giudizio  in  tema   di   pubblico   impiego   dinanzi   al   giudice
 amministrativo.
   Tale  omessa  previsione  appare  in  contrasto con l'art. 3 Cost.,
 differenziando sul  piano  della  tutela  giurisdizionale  situazioni
 sostanzialmente  identiche;  nonche' in contrasto con l'art. 36 Cost.
 nella parte in cui, esclusa per l'assenza  della  vacanza  del  posto
 l'applicabilita'  dell'art. 2126 e, conseguentemente, la possibilita'
 del  riferimento  ai  parametri  retributivi   della   contrattazione
 collettiva,  preclude  al lavoratore una liquidazione secondo equita'
 che risulti comunque conforme ai principi fissati nella citata  norma
 della  Carta  costituzionale;  nonche' infine in contrasto con l'art.
 113  Cost.,  in  quanto  tale  omessa  previsione  limita  la  tutela
 giurisdizionale  del  diritto  soggettivo  alla  giusta retribuzione,
 qualora, non trovando applicazione i parametri  della  contrattazione
 collettiva,  il  ricorrente  non  sia  in  grado  di provare anche il
 quantum.
   La questione di costituzionalita', come sopra esposta,  appare  non
 manifestamente infondata e rilevante ai fini del decidere.
   Non  essendo applicabile, per quanto sopra evidenziato, l'art. 2126
 c.c. e sembrando ricorrere gli indici rivelatori della subordinazione
 per il periodo triennale interessato, nel caso di specie  non  appare
 possibile  definire  la  controversia se non previa definizione della
 questione di costituzionalita' nei termini sopra esposti.
   Riservata  ogni  altra   decisione,   il   giudizio   va   pertanto
 immediatamente   sospeso,  in  attesa  della  decisione  della  Corte
 costituzionale, cui vanno rimessi gli atti.