IL TRIBUNALE
   Ha emesso la  seguente  ordinanza  dichiarativa  di  non  manifesta
 infondatezza di eccezione d'incostituzionalita'.
   Visti  gli atti relativi al procedimento penale r.g.i.p. n. 98/1341
 r.g.n.r. n. 98/1599 a carico di Mimouni Chokry nato il 30 giugno 1970
 a Wajdia (Marocco), sedicente e di altro per il delitto di  cui  agli
 artt. 110 c.p. e 73 d.P.R. n. 309/1990.
   Letta  la  richiesta  di  convalida  dell'arresto  del  predetto  e
 l'ulteriore richiesta di  irrogazione  della  custodia  cautelare  in
 carcere.
                              R i l e v a
   Nel  presente  procedimento  di convalida di arresto, operato nella
 flagranza del delitto suindicato, l'indagato negava di aver  detenuto
 la  sostanza  (gr. 11 circa di eroina) che a suo dire era in possesso
 dell'altro coindagato  e  negava,  pertanto,  di  essersene,  quindi,
 liberato  (cosa  che  era  stata compiuta dall'altro soggetto) mentre
 veniva inseguito dai Carabinieri. Questi ultimi, viceversa,  in  sede
 di  verbale  di  arresto  dei due indagati, e negli ulteriori atti in
 fascicolo, evidenziavano come fosse stato proprio il Mimouni Chokry a
 disfarsi  della  sostanza  e non l'altro arrestato. Tale circostanza,
 come narrata dai Carabinieri, veniva negata  pero'  anche  dall'altro
 arrestato, che escludeva ogni coinvolgimento del Mimouni nel fatto in
 questione, sostenendo di essere l'unico detentore della sostanza e di
 essersene lui sbarazzato alla vista dei Carabinieri.
   Ad  avviso  di  questo  g.i.p.,  come  in  analoghi  altri casi, lo
 scrivente si trova dinanzi al dilemma di  dover  discernere  fra  due
 tesi  opposte  e contrastanti, entrambe credibili (anche in relazione
 alle circostanze di tempo e luogo in cui il  fatto  si  e'  svolto  -
 piena  notte  -)  in  relazione  al  loro contenuto, dovendo accedere
 all'una o all'altra senza poter in alcun modo compiere un  minimo  di
 attivita'  d'indagine,  o,  meglio,  di verifica dei fatti che, da un
 lato provengono da atti della polizia giudiziaria (e, quindi,  muniti
 di   un   contenuto  di,  quanto  meno,  presunta  obbiettivita'),  e
 dall'altro dall'arrestato il cui interrogatorio e'  previsto  proprio
 al  fine di potersi difendere e opporsi al provvedimento di convalida
 ed eventuale irrogazione di misura cautelare.
   Dinanzi a situazioni analoghe alla presente il  g.i.p.,  una  volta
 esclusa  la palese, o comunque, rilevante insostenibilita' della tesi
 difensiva o accusatoria, se escludesse ogni credibilita' circa quanto
 affermato dall'arrestato poiche' lo stesso  "non  puo'  far  prova  a
 proprio  favore" trasformerebbe l'interrogatorio dell'arrestato in un
 adempimento del  tutto  inutile  e  prettamente  formale,  viceversa,
 vanificherebbe   in   radice   l'operato  della  polizia  giudiziaria
 rilevando, come anche in numerosi  altri  casi,  che  l'arrestato  ha
 fornito    concludenti    dichiarazioni    escludenti    la   propria
 responsabilita' e negando la fondatezza dell'arresto.
   Al  fine  di  evitare  tale  "impasse"  l'ordinamento,  in  ipotesi
 analoga,  ma  processualmente riferita ad altro tipo di procedimento,
 ha  previsto  un  incombente  quanto   mai   opportuno,   consistente
 nell'audizione  dell'agente  o  ufficiale  di polizia giudiziaria che
 relaziona, verbalmente, ed in presenza delle parti e  del  difensore,
 circa  l'arresto  operato.    Tale  adempimento,  proprio del rito di
 convalida  pretorile  (art.  566  c.p.p.),  consente  al  pretore  di
 chiedere chiarimenti circa i fatti e di poter instaurare un minimo di
 contraddittorio  su  circostanze  dubbie  o incerte, cosi' da potersi
 formare,  immediatamente,  un  convincimento  sui  fatti,  sia   pure
 limitati   a  tale  fase  procedimentale  e  da  rivalutare  in  sede
 dibattimentale.
   Per contro tutto cio' e' precluso al g.i.p. che  dalla  lettura  di
 atti  vergati  dalla  polizia  giudiziaria e da parte del p.m. che ad
 essi si rifa' e dalle, come nella specie,  contrapposte  affermazioni
 dell'arrestato,  deve  prima  decidere sulla convalida dell'arresto e
 poi, come anche in questo caso, sulla  richiesta  di  irrogazione  di
 misura cautelare in carcere, o altra misura.
   E'  palese che tale modo di procedere impedisce un serio e convinto
 giudizio sulla realta' dei fatti poiche',  se  si  deve  tener  fermo
 quanto  affermato dalla p.g., salvo ipotesi di manifesta incongruenza
 dei  fatti  che,  come  detto  in  questa  sede   non   si   ravvisa,
 l'interrogatorio    dell'arrestato    non    ha    alcun   senso   e,
 sostanzialmente, lungi dall'essere momento serio difensivo  resta  un
 mero orpello di "garantismo formale".  Per contro, assegnando ad esso
 un valore in mancanza di replica contraria, si svuota di applicazione
 l'istituto della convalida dell'arresto in flagranza e, sovente, come
 nella   specie,  l'applicabilita'  stessa  di  una  misura  cautelare
 nell'immediatezza del fatto.
   Ad avviso dello scrivente, pertanto, la formulazione dell'art.  391
 c.p.p.,  laddove  non  prevede   la   necessaria   presenza   di   un
 rappresentante  della  polizia  giudiziaria  che  ha partecipato alle
 operazioni di arresto e con diretta cognizione dei fatti o, comunque,
 non consente al g.i.p.    procedente  di  chiedere  l'intervento  del
 predetto  per essere sentito, anche a chiarimento dei fatti, preclude
 al giudice di formarsi un convincimento serio sia sulla richiesta  di
 convalida  che  sulla, come nella specie, istanza di misura cautelare
 contestualmente avanzata.  Tale convincimento non puo', sempre  nella
 specie,  come  in  casi  analoghi,  essere raggiunto diversamente dal
 momento che lo stesso p.m., la cui presenza non e' richiesta, ne'  e'
 presente, non ha - comunque - una cognizione piu' ampia dei fatti.
    Tenuto,  quindi  conto  di  quanto osservato sin qui, lo scrivente
 ravvisa che il menzionato art. 391 c.p.p. si pone in contrasto con  i
 precetti costituzionali in tema di:
     uguaglianza  (art. 3 della Costituzione) in quanto discrimina fra
 cittadini (ed in genere  i  soggetti  che  non  possono  in  tema  di
 liberta'  personale  essere  distinti  in relazione a detto status) a
 seconda che gli  stessi  siano  arrestati  per  reati  di  pretura  o
 tribunale;
     difesa  (art. 24 della Costituzione) poiche' l'arrestato/indagato
 si trova nella sostanziale impossibilita' di controbattere  a  quanto
 risulta  in  atti  in un momento determinante per la propria liberta'
 personale (come detto, infatti, alla richiesta  di  convalida  segue,
 anche in questo caso la richiesta di misura cautelare che va valutata
 sulla base dei medesimi riscontri);
     buon  andamento degli uffici (art. 97 della Costituzione) poiche'
 si preclude il principale fine  dell'attivita'  del  giudice  che  e'
 quello  di  compiere  quanto  necessario  per  raggiungere un serio e
 maturato convincimento, nonche' agli organi di polizia di  fornire  a
 chiarimento   di   un'attivita'   legittima   spiegazioni  dinanzi  a
 contestazioni o, magari, mere scritturazioni non perfettamente chiare
 e comprensibili.
   Infine, ma  non  meno  rilevante  si  viola  l'ulteriore  principio
 generale di:
     ragionevolezza   poiche'  non  si  comprende  una  diversita'  di
 disciplina fra il rito pretorile e quello di cui all'art. 391  c.p.p.
 dinanzi   a   provvedimenti   analoghi  (convalida)  con  l'ulteriore
 aggravante collegata alla circostanza che, mentre dinanzi al  pretore
 il dibattimento viene (di regola) subito celebrato, dinanzi a g.i.p.,
 all'esito  dell'arresto  e  della irrogazione di misura cautelare, il
 dibattimento segue a lunga distanza.