IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile di appello iscritta a ruolo al n. 1819 r.g. 1996 e promossa con atto di citazione di appello da Belluzzo S.r.l, in persona del legale rappresentante pro-tempore Giampaolo Belluzzo, elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. M. Fiorella, che la rappresenta e difende in causa unitamente all'avv.to G. Fasano, in forza di mandato a margine dell'atto di citazione d'appello, appellante; Contro H.B. S.r.l., in liquidazione volontaria, in persona del liquidatore dott. Igino Rapino e H.B. S.r.l., in concordato preventivo, in persona del commissario liquidatore dott. Renato Meneghini ambedue elettivamente domiciliate presso lo studio dell'avv. P. De Luca, che le rappresenta e difende in causa, in forza di mandato a margine della comparsa di costituzione in appello, appellate. Premesso: che la Belluzzo S.r.l., ha proposto avanti a questo tribunale appello avverso la sentenza n. 385 emessa dal v.p.o. di Vicenza in data 14 luglio 1997 lamentando, tra l'altro, che il primo giudice aveva erroneamente negata la natura privilegiata del credito (e la debenza dei relativi interessi) per provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia intercorso con la H.B. S.r.l., attualmente in concordato preventivo con cessione dei beni omologato; che, secondo l'appellante, tale decisione, motivata con la considerazione che l'attivita' era stata svolta da un agente costituito in forma di societa' di capitali, era in contrasto con la giurisprudenza della suprema Corte; che non vi e' dubbio che l'interpretazione costante della S.C. e' nel senso indicato dall'appellante in quanto in tutti i suoi interventi, dal 1986, la S.C. ha affermato che l'art. 2751-bis n. 3 del codice civile, nel testo fissato dalla legge 25 luglio 1975 n. 426, allorche' accorda il privilegio generale sui mobili alle provvigioni e indennita' derivanti dal rapporto di agenzia, trova applicazione indipendentemente dal fatto che l'agente creditore sia una persona fisica o una societa', tenuto conto che la norma, a differenza delle altre disposizioni contenute nel medesimo articolo, non contiene alcupa specificazione sui soggetti titolari del credito, facendo esclusivo riferimento al rapporto di agenzia cui esso consegue (Cass. 10 gennaio 1986, n. 75, in fallimento 1986, 743; Cass. 5 settembre 1992, n. 10241, ivi, 1993, 68; Cass. 20 luglio 1992, n. 8756, ivi, 1993, 140; Cass. 7 agosto 1996, n. 7257, in Mass. giur. lav. 1997, 155); che il tribunale, con sentenza di pari data, ha deciso sugli altri motivi di impugnazione, e, preso atto della costante giurisprudenza della suprema Corte nel senso sopra richiamato, ha ritenuto non manifestamente infondato il dubbio che questa interpretazione sia in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, per cui si e' riservato di contestualmente sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2751-bis, n. 3 del codice civile, con separata ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, ed ha sospeso il giudizio sul punto e su quelli strettamente da esso dipendenti; che il tribunale e' ben a conoscenza che la questione e' stata gia' proposta a questa Corte ed e' stata ritenuta inammissibile con decisione 27 febbraio 1996, n. 55, in conseguenza della prospettazione contenuta nel provvedimento di remissione, con cui era stata invocata una pronuncia additiva per delimitare il campo di applicazione del privilegio di cui all'art. 2751-bis, n. 3 del Codice civile ai soli agenti persone fisiche o societa' di persone nelle quali l'attivita' lavorativa sia direttamente svolta dal socio e il lavoro sia preminente sul capitale; che, con la presente ordinanza, il tribunale non chiede una pronuncia additiva sulla base di un modello normativo dell'agente, diverso da quello prescelto dal legislatore in tema di riconoscimento del privilegio, tra i tanti modelli adottati in relazione ad altre fattispecie, ma chiede di verificare, se sia conforme al dettato costituzionale la disposizione del n. 3, dell'art. 2751-bis del codice civile, nella parte in cui attribuisce il privilegio alle provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia e non alle provvigioni dovute all'agente, in modo da consentire, poi, all'interprete di individuare i limiti entro cui tale soggetto possa godere della prelazione; che la questione cosi' prospettata si collega al diritto vivente derivante dalla costante interpretazione della Cassazione per il fatto che questa si fonda sulla esclusiva considerazione della non equivoca formulazione letterale dell'art. 2751-bis, n. 3 del codice civile secondo cui il privilegio di cui si parla e' riconosciuto non a favore di determinati soggetti, da discriminare a seconda che siano persone fisiche o giuridiche, come negli altri numeri della stessa norma, ma con esclusivo riguardo alla natura e al tipo di obbligazione derivante da un rapporto di agenzia da chiunque instaurato (cui poi vengono aggiunte altre considerazioni di contorno a sostegno); che contro questa considerazione si sono infrante tutte le diverse interpretazioni della norma codicistica tentate dai giudici di merito (tra cui il tribunale di Vicenza con le sentenze 10 novembre 1987 e 3 giugno 1993, in fallimento 1988, 497 e 1993, 1166) e dalla dottrina, per cui e' parso utile al collegio non insistere nel suo precedente orientamento, e, sebbene non del tutto convinto della bonta' dell'interpretazione della Corte, si e' adeguata al diritto vivente che viene posto a base della presente richiesta di verifica costituzionale; che, pertanto, la sollevata questione non e' volta ad ottenere dalla Corte costituzionale (attribuendole un ruolo impugnatorio che non le e' proprio) una revisione di quella interpretazione, ma, assunta l'interpretazione medesima in termini di "diritto vivente", se ne chiede la verifica di compatibilita' con dati parametri costituzionali, o meglio si chiede la verifica della norma che tale interpretazione, divenuta costante e diritto vivente, consente. Tutto cio' premesso e ricordato che, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, e' possibile sindacare, all'interno di una specifica norma attributiva di un privilegio, la ragionevolezza della inclusione o della mancata inclusione di un privilegio, la disposizione di cui all'art. 2751-bis, n. 3, c.c. e la conseguente interpretazione della Cassazione contrastano, a parere del collegio, con l'art. 3 della Carta costituzionale perche' non vi e' coincidenza tra la disposizione in esame e quelle contenute nella stessa norma in cui la prima e' inserita, giacche' in tutte le altre ipotesi elencate dall'art. 2751-bis la disciplina e' dettata con riferimento ai soggetti titolari dei vari crediti, mentre solo per il rapporto di agenzia il riferimento inequivoco e' al tipo di credito, esclusa qualsiasi considerazione del soggetto che ne sia titolare. Tanto rileva sotto il profilo costituzionale perche' le norme collocate in uno stesso articolo del codice sono ordinatamente disposte in modo da costituire un insieme coerente nel quale la prevista uniformita' di regolamentazione riguardi fattispecie omogenee, ricollegabili fra loro in ragione della presenza di un comune denominatore che caratterizza in modo peculiare, piu' di ogni altro, le stesse fattispecie, giustificandone il raggruppamento in uno stesso articolo; sicche' se una delle fattispecie regolata dalla medesima norma e' estranea alla finalita' comune perseguita, si crea una disomogeneita' che assume particolare rilievo in tema di privilegi, perche' la rilevanza riconosciuta dalla legge a determinati crediti esclusivamente in base alla loro causa, e non gia' al tempo o all'oggetto della garanzia, comporta che anche la priorita' di un privilegio rispetto all'altro e' determinata dalla legge, in ragione della meritevolezza della tutela che intende accordare. Di conseguenza, se si accerta che la causa del privilegio di cui all'art 2751-bis, n. 3, c.c. e' disomogenea rispetto a quelle degli altri privilegi contenuti nella stessa norma, vuol dire che il legislatore ha apprestato la stessa tutela a crediti aventi cause diverse, in quanto tutti i privilegi di cui all'art. 2751-bis c.c. sono collocati dall'art. 2777 c.c. prima di tutti gli altri e dopo soltanto quello per spese di giustizia; in particolare l'art. 2777, lett. b), c.c., pone sullo stesso piano della graduatoria i privilegi di cui ai nn. 2 e 3, dell'art. 2751-bis c.c., per cui, quanto meno, tra le due ipotesi regolate dai citati numeri deve esistere una uniforme ragione giustificativa, altrimenti si impone il ricorso all'intervento riequilibratore della Corte costituzionale. Orbene, la finalita' della norma di cui alI'art. 2751-bis c.c. si spiega, secondo l'opinione piu' diffusa in dottrina e giurisprudenza, con "l'intento di attuare nella fase di realizzazione dei crediti, il principio costituzionale della tutela del lavoro in tutte le forme ed applicazioni mediante l'attribuzione di un privilegio di grado eminente non solo ai crediti di lavoro subordinato, ma a tutti i crediti che, derivando da prestazioni di attivtta' lavorative, hanno in comune la funzione di procurare al lavoratore i mezzi di sostentamento per se' e per la sua famiglia" (cosi' in dottrina). Se si passa, infatti, all'esame della natura dei crediti - diversi da quello dell'agente - tutelati dall'art. 2571-bis ci si accorge che essi sono tutti riferiti a prestazioni di lavoro, subordinato o autonomo, eseguite personalmente dal titolare del diritto; e significativo e' il manifesto preponderante rilievo attribuito dalla norma ai crediti del prestatore di lavoro subordinato, i quali sono collocati al primo posto nell'ordine dei privilegi, immediatamente dopo le spese di giustizia, e ai professionisti, che per definizione non possono che svolgere la loro attivita' personalmente (almeno finora). Tant'e' che la stessa Cassazione non attribuisce il privilegio del prestatore d'opera intellettuale al credito per retribuzione delle societa' di revisione contabile "atteso che tale norma (quella di cui al n. 2, dell'art. 2751-bis c.c.) fa riferimento esclusivo alla retribuzione del professionista (o prestatore d'opera intellettuale) individuale e che un'interpretazione estensiva di essa, a favore delle societa' che svolgono attivita' oggettivamente identiche a quelle delle professioni intellettuali protette (revisione e certificazione dei bilanci), non puo' aver luogo in considerazione della confusione, nell'ambito societario, tra la remunerazione del capitale e della retribuzione del lavoro" (Cass. 14 aprile 1992, n. 4549 in fallimento 1992, 791). Ed anche l'estensione dell'art. 2751-bis, n. 2 c.c., operata dalla Corte costituzionale con la sentenza 29 gennaio 1998, n. 1, in favore dei prestatori d'opera non intellettuale muove nella stessa direzione perche' la Corte ancora l'estensione allo schema contrattuale delineato dall'art. 2222 c.c.; anzi questa sentenza, che ha posto come parametro costituzionale gli artt. 3 e 35 e contiene un espresso raffronto con i lavoratori subordinati, per i quali la garanzia e' accordata indipendentemente dalla natura intellettuale o non dell'attivita' svolta, evidenzia ancor piu' l'intento di rafforzare la tutela del lavoro autonomo personale o prevalentemente personale, come confermato dal mantenimento della prelazione al credito per "retribuzione". In ogni caso; nella disposizione di cui al n. 2, dell'art. 2751-bis c.c. il riferimento e' pur sempre ai professionista e al prestatore d'opera, intellettuale e non, ed e' compito dell'interprete accertare se il relativo privilegio possa essere esteso anche alle societa' tra professionisti (ove ammesse) o a prestatori d'opera svolgenti l'attivita' sotto forma societaria, senza alcuna preclusione derivante dal testo letterale della norma, come, invece, si trova nel successivo n. 3 della stessa norma, che facendo riferimento al rapporto di agenzia non consente, secondo il diritto vivente creato dalla suprema Corte, una interpretazione che tenga conto dei soggetti titolari del credito. Il privilegio di cui all'art. 2751-bis c.c. e' attribuito anche a crediti derivanti da attivita' svolte sotto forma associativa, quando, pero', l'impresa ha scopo mutualistico (cooperative di produzione e lavoro e di trasformazione di prodotti agricoli), o in cui "la maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci, svolge in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che nell'impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale" (art. 3, legge 8 agosto 1985, n. 443, sull'artigianato), sul presupposto che i crediti che derivano per le cooperative o le societa' artigiane dalla vendita dei prodotti o prestazione di servizi rappresentino il corrispettivo di un'attivita' lavorativa. Ed appare superfluo richiamare la copiosa giurisprudenza della Cassazione che, con riferimento a queste figure, ha costantemente ribadito che il privilegio dell'art. 2751-bis, n. 5, c.c. e' rivolto a tutelare crediti assimilabili a quelli di lavoro, in quanto integranti corrispettivi di servizi prestati da imprenditori artigiani o da enti cooperativi di produzione (cfr. Cass. 12 maggio 1997, n. 4108, in Giust. civ. 1997, I, 2773), o che i requisiti essenziali perche' una cooperativa di produzione e lavoro sia ammessa al privilegio del credito ex art. 2751-bis, n. 5 (introdotto dalla legge n. 426 del 1975) sono, per un verso, correlati alla effettivita' e "pertinenza" professionale del lavoro dei soci, e, per altro verso, alla prevalenza del lavoro di questi ultimi rispetto a quello dei non soci; tali requisiti sono ricavabili, oltre che dall'art. 23 decreto legisaltivo del Capo provvisorio dello Stato n. 1517 del 1947, anche dalla genesi normativa dell'art. 2751-bis c.c. e dalla natura dei crediti assistiti dal privilegio, che, per essere relativi esclusivamente alla vendita dei manufatti e alla somministrazione dei servizi, appaiono strettamente correlati al lavoro personale e diretto dei soci (Cass. 7 aprile 1997, n. 2984 in Giust. civ. Mass. 1997, 544), e cosi' via, fino alle recenti Cass. 19 gennaio 1998, n. 456 e 20 settembre 1997, n. 9340, in fallimento 1998, 816). Solo quando tratta del privilegio dell'agente la Cassazione afferma che il comune denominatore di tutte le ipotesi di cui all'art. 2751-bis e' rappresentato dallo svolgimento di determinate attivita' caratterizzate non da prestazioni isolate o accidentali di opere o di servizi in genere, "bensi' da una situazione di prestazione continuativa come appare evidente oltre che dalla formulazione dei nn. 1, 4 e 5 (ora, a seguito della legge 31 gennaio 1992, n. 59, e' da aggiungere anche il n. 5-bis) dalla formulazione dei nn. 2 e 3 in cui si parla di retribuzioni professionali per gli ultimi due anni, ovvero di provvigioni, maturate non riscosse, e quindi dovute per l'ultimo anno di prestazione" sentenza n. 10241/1992). E' agevole obiettare che se dal fatto che nei nn. 2 e 3 dell'art. 2751-bis c.c. si parla di retribuzioni professionali per gli ultimi due anni ovvero di provvigioni dovute per l'ultimo anno di prestazione si vuol ricavare che l'elemento comune giustificativo del privilegio e' la continuita' del rapporto, se ne deve dedurre che, quando il professionista offre delle prestazioni occasionali al proprio cliente, il relativo credito non goda del privilegio; se cosi' fosse i privilegi di cui ai nn. 2, 4 e 5 (e 5-bis) dell'art. 2751-bis potrebbero essere riconosciuti solo ai crediti per prestazioni dei professionisti protrattesi nel tempo e ai crediti dei coltivatori diretti ed artigiani per i corrispettivi della vendita o somministrazione continuativa di prodotti o servizi, il che non trova alcun riscontro normativo. Evidente e' allora che il riferimento alla continuita' va letto dal punto di vista del creditore, cioe' nel senso della professionalita' dell'attivita' svolta dai vari soggetti indicati nella norma in esame, i quali, quindi, in tanto sarebbero tutelati dalla concessione di un privilegio di grado cosi' elevato, in quanto esercitano la loro attivita' in modo stabile e non occasionale; ma ricondotto l'elemento della continuita' alla professionalita' dell'attivita' svolta, c'e' da chiedersi se questo requisito sia l'elemento comune delle varie disposizioni normative contenute nell'art. 2751-bis, e, principalmente, se questo sia l'elemento qualificante di esse. La risposta, a parere del collegio, e' negativa per ambedue i quesiti. Che la professionalita' non sia elemento comune a tutte le categorie di crediti considerate dalla norma in esame risulta evidente dal n. 2, per il quale destinatari del privilegio sono i "professionisti" e, distintamente, "ogni altro prestatore d'opera". E' chiaro che se il professionista cui si riferisce la norma va individuato nel prestatore d'opera intellettuale, caratterizzato, rispetto alla categoria generale, dalla professionalita', intesa sotto il profilo della continuita' del suo esercizio, l'estensione del privilegio anche ai crediti di ogni altro prestatore d'opera intellettuale (e non) non puo' che far riferimento ai crediti comunque derivanti dall'esplicazione, ancorche' saltuaria od occasionale, di attivita' intellettuali e manuali, di cui parlano gli artt. 2222 e 2230 c.c. Tanto meno, poi, il requisito della continuita' puo' essere considerato caratterizzante delle varie fattispecie comprese nell'art. 2751-bis in quanto la professionalita' e' elemento tipico della stessa qualifica di imprenditore Se fosse questa la causa che giustifica i privilegi attribuiti dall'art. 2751-bis, resterebbe da spiegare perche' non tutti gli imprenditori godono dello stesso privilegio concesso agli imprenditori considerati nella norma in esame, quali l'artigiano, le cooperative, i consorzi di trasformazione dei prodotti agricoli (n. 5-bis) e lo stesso agente, che, quando svolge la sua attivita' con una organizzazione imprenditoriale, e' da qualificare imprenditore soggetto a fallimento; ovvero perche' ad altri imprenditori, la cui attivita' il legislatore ha pur ritenuto degna di tutela, siano stati accordati privilegi speciali. (artt. 2760, 2761, 2762 c.c. ecc.) di rango inferiore a quelli generali di cui si sta trattando. Escluso che la ratio dell'art. 2751-bis sia rapportabile alla professionalita' dell'attivita' da cui deriva il credito tutelato, deve convenirsi che tale norma costituisce la sedes materiae dei privilegi attribuiti ai creditori aventi per oggetto corrispettivi di prestazioni di lavoro eseguite personalmente dal creditore. In tal senso depongono i lavori preparatori della legge n. 426 del 1975. Invero, dall'esame delle relazioni dei quattro disegni di legge da cui e' derivata la legge n. 426 del 1975 e dal dibattito in seno alla IV Commissione della Camera e alla II Commissione del Senato, si ricava chiaramente che l'intento del legislatore era quello di estendere lo stesso trattamento di favore gia' accordato ai crediti per retribuzioni ed indennita' dei lavoratori dipendenti dall'art. 66 della legge 30 aprile 1969, n. 153, anche alle tradizionali categorie di lavoratori autonomi (quali professionisti e agenti di commercio), in certa misura assimilabili ai primi, per il comune presupposto della derivazione del credito da una prestazione lavorativa. In particolare, nella relazione accompagnatoria della proposta di legge n. 146 presentata alla Camera dei deputati il 30 maggio 1972 dai deputati Micheli ed altri, il relatore, dopo aver rilevato che con l'art. 66 della legge 30 aprile 1966, n. 153, si era provveduto a correggere l'obbiettiva carenza della legislazione tributando un doveroso riconoscimento ai diritti del lavoratore subordinato, sostiene la necessita' di assegnare il primo posto, nell'ordine delle prelazioni di cui all'art. 2778, anche ai privilegi che assistevano i crediti derivanti da prestazioni d'opera intellettuale e dal rapporto di agenzia perche' uguale era la ratio dei nn. 4, 5 e 6 dell'art. 2751: quella di tutelare i crediti per prestazioni di attivita' lavorativa, in forma sia subordinata che autonoma, in conformita' al dettato costituzionale. Nella stessa relazione si rileva, piu' specificatamente che "il lavoro del professionista o di agente costituisce ovviamente attivita' lavorativa primaria per il singolo cittadino" trattandosi di "attivita' lavorativa alla stessa stregua di quella prestata dal lavoratore subordinato, unica differenza essendo costituita dall'assenza del vincolo di subordinazione". La Cassazione sminuisce la portata dei lavori preparatori affermando che il fatto che dagli stessi "possa desumersi l'intenzione del legislatore di conferire una maggiore tutela a categorie di lavoratori (quali artigiani e coltivatori diretti che divano i mezzi di sostentamento dal lavoro personale) nulla prova, posto che il privilegio di cui si discute gia' esisteva nell'originale formulazione del codice civile del 1942 (art. 2751, n. 6) e che la legge innovatrice si e' semplicemente limitata, senza modificare il testo preesistente, ad elevare all'ultimo anno il periodo di riferimento in precedenza fissato in sei mesi" (sentenza n. 75/1986), sicche' "la semplice riformulazione del nuovo articolo dovuto alla novella codicistica del 1975 ... non puo' in alcun modo essere considerata di per se sola significativa dell'intenzione del legislatore di modificare il privilegio ancorandolo, non piu' come per il passato, al rapporto di agenzia, ma all'attivita' dell'agente che sia svolta con prevalenza del lavoro personale" (sentenza n. 10241/1992). In sostanza, secondo la Corte, la voluntas legislatoris non si e' trasformata in voluntas legis essendo stato riprodotto nell'art. 2751-bis n. 3, lo stesso testo dell'art. 2751, n. 6 (con l'unica modifica del limite temporale), interpretato come attributivo di un privilegio, senza alcuna limitazione soggettiva. A parere del tribunale, anche ammesso che l'abrogata disposizione dell'art. 2751, n. 6, fosse suscettibile di essere interpretata nel senso di una irrilevanza circa le modalita' dell'esecuzione della prestazione dell'opera dell'agente (dato non certo sicuro, tante' che nella sentenza n. 10241/1992 si richiama un unico precedente Cass. n. 1446 del 1967 - che solo incidentalmente, nel tracciare le differenze tra il contratto di mandato e quello di agenzia, aveva parlato del privilegio attribuito agli agenti), una tale interpretazione non puo' essere riferita alla norma inserita nell'art. 2751-bis per il solo fatto dell'identica formulazione letterale, in quanto il nuovo articolo contempla categorie di crediti diverse da quelle contenute del vecchio art. 2751. Il legislatore del 1975, infatti, non si e' limitato "ad elevare all'ultimo anno il periodo di riferimento, in precedenza fissato in sei mesi", ma ha fatto molto di piu': ha creato un nuovo articolo, il 2751-bis appunto, nel quale ha raggruppato le disposizioni riguardanti i crediti di lavoro subordinato e autonomo e quelli delle cooperative e imprese artigiane, lasciando nell'art. 2751 le disposizioni riguardanti i crediti per spese funebri, per spese di infermita', somministrazione di vitto, vesti e alloggio e per alimenti, ossia le disposizioni del vecchio testo non attinenti al lavoro subordinato o autonomo. Non solo, ma con la stessa riforma del 1975, il privilegio attribuito agli agenti e' stato elevato dal grado quattordicesimo al rango antecedente al primo grado con una collocazione immediatamente successiva a quella dei lavoratori dipendenti. Il raggruppamento in un'unica apposita norma di tutti i crediti riguardanti il lavoro, l'attribuzione agli stessi di privilegi prevalenti su tutti gli altri (tranne le spese di giustizia), la collocazione sullo stesso piano, nella scala dei privilegi dei crediti dell'agente e del professionista, inducono a ritenere che i principi ispiratori delle proposte di legge siano stati pienamente recepiti dal Parlamento, e una conferma di tanto si ha nel fatto che una prelazione analoga e' stata concessa, con la riforma del 1975, anche agli artigiani, alle cooperative e ai coltivatori diretti, che in precedenza non godevano di alcun privilegio. Nelle varie proposte di legge, infatti, non si parlava di tali categorie, pero', il legislatore si rese conto che la modifica non avrebbe potuto riguardare soltanto le figure classiche dei professionisti e degli agenti, giacche' nel settore del lavoro autonomo rientrano anche quelle categohe che producono direttamente col proprio lavoro, quali coltivatori diretti, artigiani e cooperative. Ma, poiche' questi ultimi - in particolare gli artigiani - sono normalmente organizzati in forma di impresa, si pose il problema se privilegiare soltanto il corrispettivo della prestazione di lavoro o un'attivita' essenzialmente lavorativa; prevalse quest'ultima opinione, tant'e' che la Commissione giustizia del Senato respinse la proposta di legge presentata dai senatori Zugno e De Vito - che limitava l'operativita' del privilegio ai soli crediti "delle aziende artigiane che lavorino per conto terzi con materiale fornito esclusivamente dal committente ..." - ed adotto' l'attuale formula di cui al n. 5 dell'art. 2751-bis, che consente di estendere la prelazione anche a quei crediti che non costituiscono esclusivamente il corrispettivo di un lavoro, ma alla cui determinazione contribuisce il costo dei materiali per l'esecuzione della prestazione e degli altri fattori impiegati nella lavorazione. Ne e' derivato un sistema coerente nel quale "mentre per il lavoratore subordinato, il prestatore d'opera intellettuale e l'agente di commercio il credito assistito dal privilegio ha direttamente ad oggetto la remunerazione di una prestazione di lavoro, per quanto riguarda il coltivatore diretto, l'artigiano e le cooperative di produzione e lavoro (ed ora anche le cooperative agricole e loro consorzi), il privilegio viene accordato ai crediti derivanti dalla vendita dei prodotti o dalla prestazione di servizi in base al riconoscimento che questi rappresentano, in sostanza, il corrispettivo di una attivita' essenzialmente lavorativa" (cosi' un insigne Autore). A fronte dell'accennata riorganizzazione, operata dal legislatore del 1975, dell'intera materia dei privilegi per i crediti di lavoro, quel riferimento al rapporto di agenzia senza alcuna connotazione soggettiva, contenuto nel n. 3, dell'art. 2751-bis, c.c. perde ogni razionalita'. E' evidente, infatti che, se la formulazione dei nn. 1, 2, 4, 5 e 5-bis, dell'art. 2751-bis, rileva che i rapporti tutelati sono tra loro legati dal comune denominatore di attenere a crediti scaturiti da prestazioni di lavoro e, quindi strettamente legati con la persona e i bisogni del prestatore, e' ragionevole ritenere: o che anche il n. 3 della stessa norma abbia inteso riferirsi unicamente ai casi in cui l'attivita' sia stata espletata da agenti per i quali le provvigioni costituiscano la retribuzione di lavoro autonomo e l'unica o la prevalente fonte di sostentamento per loro e la famiglia, con esclusione di quei casi in cui l'attivita' abbia assunto un'organizzazione imprenditoriale con prevalente fine di lucro o sia svolta in forma tale che il fine di lucro sia congenito, come nelle societa' di capitali; oppure, ove il tenore letterale del n. 3 non consenta questa interpretazione, come ritenuto dal diritto vivente della Cassazione, che la formulazione letterale di tale disposizione, che questa interpretazione consente e giustifica, sia incoerente con le altre disposizioni della stessa norma. La natura del contratto di agenzia si pone, infatti, ai confini tra l'espletamento di un'attivita' lavorativa personale e l'organizzazione imprenditoriale, per cui si impone una diversita' di trattamento a seconda delle modalita' con cui l'attivita' viene espletata e questo scopo puo' essere raggiunto eliminando dall'art. 2751-bis, n. 3, c.c. il riferimento al rapporto di agenzia, che consente di estendere la prelazione anche all'agente organizzato medio/grande imprenditore. Questa estensione determina un grave scompenso di ordine costituzionale, anche sotto altro profilo; essa, infatti, crea una disparita' tra il trattamento dell'agente che opera con fini di lucro (sotto forma di societa' di capitali) e quello riservato a tutti gli altri imprenditori che non godono di alcun privilegio. La Corte, nelle sentenze nn. 75/1986 e 8756/1992, respinge questi sospetti di incostituzionalita' affermando che "il legislatore nella sua discrezionalita' e' libero di disciplinare determinati istituti, quale quello del concorso dei creditori, col solo limite del divieto del trattamento diseguale per situazioni uguali", il che e' solo parzialmente vero perche', dato che il privilegio si pone come un'eccezione alla regola dell'eguale diritto di tutti i creditori di soddisfarsi sui beni del comune debitore, la diversita' di trattamento che viene fatta ad una categoria deve trovare una giustificazione razionale, in base alla quale soltanto si puo' appurare se viene fatto un trattamento differenziato per situazioni uguali o se viene fatto un trattamento uniforme per situazioni differenti, che costituisce, appunto, un altro esempio di violazione del principio di eguaglianza. Ossia rientra nella discrezionalita' del legislatore dare risalto ad una determinata causa piuttosto che ad un'altra, ma la scelta deve trovare giustificazione nella particolare rilevanza etico-sociale attribuita, in un determinato momento storico, alla causa di certi crediti. Orbene, mentre la preferenza accordata al credito diretto alla soddisfazione dei bisogni propri del creditore o della sua famiglia trova una ragionevole giustificazione nella rilevanza etico-sociale di un tale tipo di finalita', l'attribuzione di una prelazione legale in forza del mero contenuto oggettivo della prestazione e' priva di qualsiasi giustificazione in quanto finisce per dar rilevanza anche ai crediti vantati da una societa' di capitali, la cui attivita' ha come fine istituzionale la produzione di un profitto. E la finalita' di lucro, in quanto perseguita da tutte le imprese commerciali, qualunque sia l'oggetto della loro attivita', non e' qualificante di una determinata categoria di creditori e, quindi, non puo' mai assurgere a ragione giustificativa di una prelazione; di conseguenza, la formulazione dell'art. 2751-bis, n. 3, c.c. e l'interpretazione che valorizza detta finalita', o che comunque finisce per porla a fondamento della prelazione accordata dalla norma citata, si pongono in contrasto col principio costituzionale di eguaglianza nel momento in cui si accerta che analoga prelazione non e' attribuita ai crediti di tutti quei soggetti che esercitano professionalmente l'attivita' a fini di lucro. E, pur dando atto della mutevolezza del concetto, non vi e' dubbio che, nell'attuale epoca storica in cui l'interprete si pone di fronte alla norma, la tutela del lavoro sia sicuramente prevalente su quella del capitale. In tal modo, inoltre, l'intero sistema dei privilegi non sfugge a seri dubbi di irrazionalita', perche' i crediti dell'agente societa' di capitali, anche se di grandi dimensioni, sono preferiti a quelli dell'artigiano, delle cooperative e dei coltivatori diretti, con l'irragionevole conseguenza che il profitto, in quanto tale, ricevere una tutela piu' pregnante del lavoro personale delle citate categorie. Ritenuto, in conclusione, che non e' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2571-bis, n. 3, c.c. nella parte in cui prevede che hanno privilegio sui mobili i crediti riguardanti le provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia, interpretato nel senso che tale privilegio e' riconosciuto non a favore di determinati soggetti, ma con esclusivo riguardo alla natura e al tipo di obbligazione derivante da un rapporto di agenzia da chiunque instaurato per l'ingiustificata disparita' di trattamento che detta interpretazione, divenuta diritto vivente, crea rispetto alle altre ipotesi previste nella stessa norma di cui all'art. 2751-bis, c.c. e, piu' in generale, con gli imprenditori che non godono di alcun privilegio; che tale interpretazione e' consentita e giustificata dalla formulazione della citata norma per il riferimento in essa contenuto al rapporto di agenzia, anziche' all'agente, che consentirebbe all'interprete di individuare i limiti entro cui tale soggetto posa godere della prelazione; che la questione e' rilevante nel presente giudizio in quanto e' in contestaziore la natura privilegiata o meno di un credito per provvigioni spettante ad un agente che ha esercitato l'attivita' sotto forma di societa' a responsabilita' limitata (per questo motivo si solleva la questione soltanto per la parte della norma che tratta delle provvigioni);