ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  9,  comma  4,
 della  legge  19  novembre  1990,  n.  341 (Riforma degli ordinamenti
 didattici universitari), come modificato  dall'art.  17,  comma  116,
 della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento
 dell'attivita'  amministrativa  e  dei procedimenti di decisione e di
 controllo), promossi con ordinanze emesse il 29 ottobre  1997  (n.  2
 ordinanze)  dal  Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio, il 3
 dicembre 1997 dal Tribunale amministrativo regionale dell'Abruzzo, il
 1  dicembre  e  il  29  ottobre  1997  dal  Tribunale  amministrativo
 regionale  del  Lazio,  il  18  dicembre  1997  (n.  3 ordinanze) dal
 Tribunale amministrativo regionale della Liguria, l'11 marzo 1998 (n.
 2 ordinanze) dal Tribunale amministrativo regionale delle Marche e il
 15 gennaio 1998 dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria,
 rispettivamente iscritte ai nn. 64, 190, 199,  296,  323,  335,  336,
 345,  390,  391  e 421 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7, 13, 18, 19, 20, 21,  23  e
 24, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visti  gli  atti  di  costituzione di Abramo Franco Saverio e Canzi
 Blanc Matteo, di Milano Valentina  e  di  Vitulano  Fabio,  di  Milan
 Francesca,  di Savioli Fabio e altri e di Ciavarella Domenico nonche'
 gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza  pubblica  del  29  settembre  1998  il  giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky;
   Uditi  gli avv.ti Corrado Mauceri per Abramo Franco Saverio e Canzi
 Blanc Matteo, Massimo Luciani, Federico Sorrentino e Corrado  Mauceri
 per  Milano  Valentina, Fabio Marone per Vitulano Fabio, Mimma Guelfi
 per Milan Francesca, Savioli Fabio e  altri,  Pietro  Ciavarella  per
 Ciavarella  Domenico e l'Avvocato dello Stato Plinio Sacchetto per il
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  undici ordinanze di rimessione, di analogo tenore (r.o.
 nn. 64, 190, 199, 296, 323, 335, 336, 345, 390, 391 e 421 del  1998),
 alcuni  Tribunali amministrativi regionali (Lazio, Abruzzo, Liguria e
 Marche) hanno  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  9,  comma 4, della legge 19 novembre 1990, n. 341 (Riforma
 degli ordinamenti didattici universitari), come modificato  dall'art.
 17, comma 116, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per
 lo  snellimento  dell'attivita'  amministrativa e dei procedimenti di
 decisione  e  di  controllo),   che   ha   attribuito   al   Ministro
 dell'universita'  e della ricerca scientifica e tecnologica il potere
 di determinare la  limitazione  degli  accessi  ai  corsi  di  laurea
 universitari. Tale disposizione sarebbe in contrasto con gli artt. 33
 e  34 - e con il principio della riserva relativa implicita di legge,
 ivi desumibile - nonche' con gli artt. 3 e 97 della Costituzione.
   I rimettenti  ritengono  la  questione  rilevante,  trattandosi  di
 giudizi  promossi  da  studenti  non ammessi alla immatricolazione al
 primo anno dei corsi di laurea per i quali le rispettive  universita'
 hanno  stabilito  un numero massimo di iscrizioni e l'amministrazione
 ha dettato, con il  decreto  ministeriale  21  luglio  1997,  n.  245
 (Regolamento  recante  norme  in  materia  di  accessi all'istruzione
 universitaria  e  di  connesse  attivita'  di  orientamento),   norme
 regolamentari queste che trovano, dichiaratamente, supporto normativo
 nel  richiamato  art.  9,  comma 4, della legge n. 341 del 1990, come
 modificato dall'art. 17, comma 116, della legge n. 127 del 1997.
   Secondo tutte le ordinanze di rimessione,  in  materia  di  accesso
 agli studi, anche universitari, sussisterebbe, in base agli artt.  33
 e  34  della  Costituzione,  una  riserva  relativa  di  legge,  come
 affermato da una consolidata giurisprudenza  amministrativa:  infatti
 l'art.      33,   secondo   comma,   della   Costituzione  stabilisce
 espressamente  che   "la   Repubblica   detta   le   norme   generali
 sull'istruzione  e istituisce scuole statali di ogni ordine e grado",
 mentre l'art. 34, primo comma, sancisce che "la scuola  e'  aperta  a
 tutti".
   Nelle  ordinanze si osserva che la previsione costituzionale di una
 riserva relativa di legge in una determinata materia non preclude  al
 legislatore ordinario di demandare ad altre fonti la disciplina della
 materia   stessa,   ma   cio'   e'   possibile   soltanto  previa  la
 determinazione, da parte del legislatore medesimo, di  una  serie  di
 precetti  idonei  a vincolare e indirizzare la normazione secondaria,
 o, comunque, previa la individuazione delle  linee  essenziali  della
 disciplina, come precisato dalla giurisprudenza costituzionale.
   La  disposizione censurata, al contrario, conferisce al Ministro il
 potere di determinare la  limitazione  degli  accessi  all'istruzione
 universitaria,  senza  alcuna previa fissazione dei principi generali
 della disciplina, ma addirittura attribuendo al  Ministro  stesso  il
 compito  di  definire,  con  l'ausilio di altro organo della pubblica
 amministrazione e cioe' il Consiglio  universitario  nazionale,  quei
 criteri  generali per la regolamentazione dell'accesso. La violazione
 del principio della riserva di legge comporterebbe in tal modo  anche
 la  violazione del principio della tutela del diritto allo studio, di
 cui agli artt. 33 e 34 della Costituzione.
   Secondo il Tribunale amministrativo regionale per  l'Abruzzo,  poi,
 la  norma  in  questione,  demandando  direttamente  a  uno strumento
 amministrativo la disciplina delle limitazioni all'accesso  ai  corsi
 universitari  senza  prescrizioni  di  limiti  e criteri, si porrebbe
 anche  in  contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, sia per
 il profilo della incongruita' dello strumento utilizzato in relazione
 alla riserva di legge, sia per il profilo della non  coerenza  con  i
 principi  di  buon  andamento e di imparzialita' dell'amministrazione
 dell'attribuzione nella materia di  un  potere  non  legislativamente
 delimitato.
   2. - In tutti i giudizi di fronte alla Corte costituzionale (tranne
 in  quelli  di  cui al r.o. nn. 335 e 336 del 1998) e' intervenuto il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e   difeso
 dall'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l'infondatezza della
 questione.
   Precisa   l'Avvocatura   che   l'art.   33,  secondo  comma,  della
 Costituzione, nel quale si suole individuare una riserva  "implicita"
 di   legge,   e'   stato   dettato   per   assicurare   l'uniformita'
 dell'istruzione impartita anche dalle scuole private, mentre il primo
 comma dell'art. 34, che si limita a  porre  un  principio  di  natura
 programmatica,  deve  essere coordinato con il successivo terzo comma
 che, prevedendo il diritto di accesso dei "capaci  e  meritevoli"  ai
 "gradi  piu'  alti  degli  studi",  non  solo  legittima, ma comporta
 limitazioni del diritto di accesso fondate sulla  preparazione  degli
 aspiranti. Inoltre, il sesto comma del medesimo art. 33, riconoscendo
 un'autonoma   capacita'   normativa   degli   atenei   di  provvedere
 all'organizzazione delle facolta' e dei corsi di laurea,  secondo  le
 linee  generali gia' definite dall'art.  6 della legge 9 maggio 1989,
 n. 168, consente di contingentare  le  immatricolazioni  mediante  la
 fissazione  di  un  numero  massimo  di  studenti  compatibile con il
 potenziale didattico  disponibile,  cosi'  come  ormai  espressamente
 contemplato  dall'art.  9 della legge n. 341 del 1990, senza che cio'
 contrasti   con   la   liberalizzazione   dell'accesso   agli   studi
 universitari  sancita  dall'art.  1  della legge 11 dicembre 1969, n.
 910.
   Il contingentamento degli iscritti attuato su  base  concorsuale  -
 con  procedure  selettive  cui  sono  ammessi  tutti gli aspiranti in
 possesso dei requisiti legali -  e'  inquadrabile  nell'ambito  delle
 misure  di  carattere  essenzialmente  organizzatorio,  che mirano ad
 assicurare l'efficiente funzionamento delle facolta' e delle relative
 strutture, in attuazione del principio  costituzionale  di  autonomia
 delle universita'.
   3. - In alcuni giudizi (r.o. nn. 190, 199, 335, 345 e 390 del 1998)
 si  sono  costituite  le parti private, aspiranti studenti ricorrenti
 nei giudizi a quibus, chiedendo l'accoglimento  della  questione  per
 violazione del principio della riserva di legge.
   In  particolare,  nelle  memorie si rileva che, nella vigenza della
 normativa precedente alla legge n. 127 del 1997, non  vi  era  dubbio
 che il Ministro potesse disciplinare l'accesso ai corsi solo nel caso
 in cui una limitazione a tale accesso fosse gia' prevista, e solo ove
 tale  previsione  fosse  dettata  da  una  legge.  Viceversa,  con la
 disposizione censurata, al Ministro  sarebbe  stato  riconosciuto  il
 potere  illimitato,  arbitrario  e privo di ogni vincolo, non piu' di
 regolare l'accesso ai corsi ad iscrizione limitata, ma addirittura di
 stabilire quali corsi  siano  di  tal  genere,  in  violazione  della
 riserva  di  legge  contenuta  nell'art.  33,  secondo  comma,  della
 Costituzione.  Anche a ritenere tale riserva  una  riserva  relativa,
 gli  aspetti  generali  della  materia  (in  questo  caso,  l'accesso
 all'universita') dovrebbero essere regolati con legge, e,  come  gia'
 evidenziato   dalla   giurisprudenza  costituzionale  in  riferimento
 all'art. 23 della Costituzione, in modo  "sufficiente",  mentre  alla
 normativa   di   livello   secondario  dovrebbe  essere  affidata  la
 disciplina piu' specifica nell'ambito della legge stessa.
   Nel caso di  specie  si  sarebbe  verificata  una  vera  e  propria
 delegificazione, in materia coperta da riserva di legge e al di fuori
 del  meccanismo previsto dall'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto
 1988,  n.  400,  in  quanto  la  disciplina  dell'accesso  ai   corsi
 universitari  viene  affidata  a  una  fonte "terziaria" (regolamento
 ministeriale) in assenza, nella  legge  delegificante,  di  qualsiasi
 norma  generale, regolatrice della materia. Ne' il vincolo del numero
 chiuso nel corso di laurea in odontoiatria puo' ritenersi  discendere
 direttamente    dalla    normativa    comunitaria,   come   sostenuto
 dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  perche'  non  e'  da  questa
 imposto,  e  nemmeno  puo' essere rimesso all'autonomia delle singole
 universita', in quanto anche tale autonomia, ai sensi del sesto comma
 dell'art. 33 della Costituzione, deve svolgersi nei limiti  stabiliti
 dalle  leggi  dello  Stato. La disposizione censurata, attribuendo al
 potere regolamentare del Ministro sia di definire i criteri  generali
 di accesso all'universita', sia di prevedere le eventuali limitazioni
 di  accesso  ai singoli corsi di studio, violerebbe in tal modo anche
 il  principio  dell'autonomia  universitaria:  la  riserva  di  legge
 prevista  a  garanzia  di detta autonomia e' una riserva relativa nei
 confronti delle fonti espressive di essa, ma assoluta  nei  confronti
 delle fonti prodotte dall'esecutivo.
   La  violazione  del  principio della riserva di legge sarebbe tanto
 piu'  grave  in  un  settore  nel  quale  e'  in  gioco  il   diritto
 fondamentale  dell'accesso  all'istruzione  di cui agli artt. 33 e 34
 della Costituzione, a fronte del quale  vi  sarebbe  l'obbligo  della
 Repubblica  di  istituire  scuole  di  ogni  ordine e grado in misura
 corrispondente alla diversificata domanda formativa,  in  nome  anche
 della  piena  liberta' di scelta degli insegnamenti sancita dal primo
 comma dell'art. 33, diritto che  neppure  il  legislatore  (e,  tanto
 meno, una fonte secondaria) puo' limitare.
   Fondata  sarebbe,  infine,  la  censura  che invoca a parametro gli
 artt. 3 e 97 della Costituzione: la violazione  del  principio  della
 riserva  di  legge comporterebbe infatti anche la violazione del buon
 andamento  e  dell'imparzialita'  dell'amministrazione,   in   quanto
 l'intervento   della  legge  rappresenta  la  condizione  necessaria,
 ancorche' non sufficiente, per il rispetto di quei principi.
   4. - Secondo la difesa della parte privata costituita  in  uno  dei
 giudizi  di  costituzionalita'  (r.o.  n.  390 del 1998) la questione
 dovrebbe essere  dichiarata  inammissibile  in  quanto  la  normativa
 censurata  non  troverebbe  applicazione  nel  giudizio  di fronte al
 Tribunale amministrativo regionale; difatti l'universita' degli studi
 (in quel caso, Ancona) avrebbe determinato il numero di  studenti  da
 ammettere  al  Corso  di laurea in odontoiatria per l'anno accademico
 1997-1998 con delibera del 5 giugno 1997, cioe'  in  una  data  molto
 anteriore rispetto a quella di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
 (16  agosto  1997,  n.  190)  del decreto ministeriale 31 luglio 1997
 (Limitazione all'accesso ai corsi di laurea in odontoiatria e protesi
 dentaria per l'anno  accademico  1997-1998),  e  anche  il  bando  di
 concorso  (del  1 agosto 1997 per l'immatricolazione al primo anno di
 quel corso di laurea) sarebbe anteriore a tale data, per cui gli atti
 andrebbero restituiti al giudice rimettente.
   5. - In prossimita' dell'udienza hanno depositato memorie le  parti
 private  costituitesi  in alcuni giudizi (r.o. nn. 199, 345 e 390 del
 1998),  replicando  alle  considerazioni   contenute   nell'atto   di
 intervento  dell'Avvocatura dello Stato e ribadendo le argomentazioni
 gia' sostenute nei rispettivi atti di costituzione.
                         Considerato in diritto
   1. - I Tribunali amministrativi regionali del Lazio,  dell'Abruzzo,
 della  Liguria  e  delle  Marche,  con  undici  ordinanze  di analogo
 contenuto,  sollevano  questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  9,  comma 4, della legge 19 novembre 1990, n. 341 (Riforma
 degli ordinamenti didattici universitari), come modificato  dall'art.
 17, comma 116, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per
 lo  snellimento  dell'attivita'  amministrativa e dei procedimenti di
 decisione e di controllo).
   La disposizione impugnata, nell'originaria  formulazione  contenuta
 nell'art.  9,  comma 4, della legge n. 341 del 1990, stabiliva che il
 "Ministro dell'universita' e della ricerca scientifica e  tecnologica
 definisce,  su  conforme  parere  del  CUN, i criteri generali per la
 regolamentazione dell'accesso alle scuole di specializzazione  ed  ai
 corsi  per  i  quali  sia prevista una limitazione nelle iscrizioni".
 L'art. 17, comma 116, della legge n. 127 del 1997,  disponendo  sulla
 formulazione  testuale della disposizione anzidetta, ha stabilito che
 "le parole  ''per  i  quali  sia  prevista''  sono  sostituite  dalle
 seguenti:  ''universitari,  anche a quelli per i quali l'atto emanato
 dal Ministro preveda"". Pertanto, la disposizione risultante da  tale
 maniera di legiferare e' la seguente: "Il Ministro dell'universita' e
 della ricerca scientifica e tecnologica definisce, su conforme parere
 del CUN, i criteri generali per la regolamentazione dell'accesso alle
 scuole  di  specializzazione ed ai corsi universitari, anche a quelli
 per i quali l'atto emanato dal Ministro preveda una limitazione nelle
 iscrizioni".
   Ritenendo che, in questo modo, attraverso  la  proposizione  finale
 della  disposizione,  la  legge  abbia istituito un libero potere del
 Ministro dell'universita' e della ricerca scientifica e  tecnologica,
 relativamente   alla   determinazione   delle   scuole  e  dei  corsi
 universitari ad accesso  limitato,  tutti  i  giudici  rimettenti  ne
 mettono in dubbio la legittimita' costituzionale con riferimento agli
 artt.  33  e  34  -  in particolare per quanto riguarda la riserva di
 legge che si afferma valere nella materia in esame - e  alcuni  anche
 in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.
   2.  - Poiche' le ordinanze di rimessione sollevano una questione di
 legittimita'  costituzionale  concernente  la   stessa   disposizione
 legislativa  e  per  motivi  in  larga  parte coincidenti, se ne puo'
 disporre la riunione per la decisione con unica sentenza.
   3.  -  Preliminarmente,  deve  essere  esaminata   l'eccezione   di
 inammissibilita',   proposta   in   riferimento   alla  questione  di
 costituzionalita' sollevata con una delle due ordinanze dell'11 marzo
 1998 dal Tribunale amministrativo regionale delle Marche (r.o. n. 390
 del 1998).
   Si  sostiene  dalla  difesa  della parte ricorrente che il giudizio
 innanzi  al  Tribunale  -   vertendo   sulla   legittimita'   di   un
 provvedimento di esclusione dal corso di laurea in odontoiatria preso
 in  un  procedimento  amministrativo  iniziato  con  una delibera del
 Senato accademico dell'Universita' degli studi di Ancona,  successivo
 all'entrata  in vigore della disposizione attributiva al Ministro del
 potere  di  prevedere  limitazioni  alle  iscrizioni,  ma   anteriore
 all'esercizio  di  tale  potere  e  quindi  indipendente  dalla nuova
 disciplina legislativa -  debba  essere  definito  sulla  base  della
 normativa  anteriore  all'entrata  in  vigore  della norma impugnata.
 L'iniziativa del giudice rimettente  sarebbe  pertanto  inammissibile
 per irrilevanza della questione proposta o, quantomeno, si imporrebbe
 la  restituzione  degli  atti  al fine di una nuova valutazione della
 questione alla stregua dello ius superveniens.
   Senonche',   l'ordinanza    che    solleva    la    questione    di
 costituzionalita',   avendo   dato   atto   del   rapporto  temporale
 intercorrente tra gli atti compiuti dagli organi dell'universita', da
 un lato, e la nuova disciplina legislativa e  gli  atti  ministeriali
 conseguenti,  dall'altro,  afferma  che  l'iniziale deliberazione del
 Senato accademico "e' stata superata" da  tali  atti,  in  quanto  il
 contestato  limite  di  accesso  al  corso di laurea in questione non
 sarebbe  piu'  riferibile  all'autonoma  decisione  delle   autorita'
 accademiche  ma  alle  determinazioni del Ministro dell'universita' e
 della  ricerca  scientifica  e  tecnologica,  i   cui   provvedimenti
 limitativi  trovano  fondamento  nella  norma  di legge sottoposta al
 vaglio di costituzionalita'.
   Cosi'  argomentando,  il  giudice  rimettente  mostra   dunque   di
 considerare  applicabile  nel  suo  giudizio  la norma denunciata. E,
 poiche' le valutazioni relative  alla  disciplina  che  deve  trovare
 applicazione  per la definizione del giudizio spettano al giudice che
 solleva la questione di  costituzionalita',  essendo  dato  a  questa
 Corte  un  mero  riscontro  circa  l'avvenuta  effettuazione  di tali
 valutazioni e circa il loro carattere non manifestamente arbitrario o
 pretestuoso  e  poiche',  nella  specie,  nulla  di  cio'   e'   dato
 verificare,  la  riferita  eccezione  di inammissibilita' deve essere
 respinta.
   4. - Nel merito, la questione non e' fondata,  la  disposizione  in
 esame dovendosi intendere secondo le considerazioni che seguono.
   4.1. - L'accesso ai corsi universitari e' materia di legge.
   4.1.1.  -  Gli  artt. 33 e 34 della Costituzione pongono i principi
 fondamentali  relativi  all'istruzione  con  riferimento,  il  primo,
 all'organizzazione scolastica (della quale le universita', per quanto
 attiene all'attivita' di insegnamento sono parte: sentenza n. 195 del
 1972);  con  riferimento,  il  secondo,  ai diritti di accedervi e di
 usufruire  delle  prestazioni  che  essa  e'  chiamata   a   fornire.
 Organizzazione e diritti sono aspetti speculari della stessa materia,
 l'una  e gli altri implicandosi e condizionandosi reciprocamente. Non
 c'e' organizzazione che, direttamente o  almeno  indirettamente,  non
 sia  finalizzata a diritti, cosi' come non c'e' diritto a prestazione
 che non condizioni l'organizzazione.    Questa  connessione  richiede
 un'interpretazione complessiva dei due articoli della Costituzione.
   L'art.  33,  dopo  aver stabilito, al primo comma, che "l'arte e la
 scienza sono libere e libero ne  e'  l'insegnamento"  e,  al  secondo
 comma,  che la "Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed
 istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi", prevede  per
 le  istituzioni  di  alta cultura e, tra esse, per le universita' "il
 diritto di darsi ordinamenti  autonomi  nei  limiti  stabiliti  dalle
 leggi  dello  Stato" (art. 33, sesto comma). Secondo la Costituzione,
 l'ordinamento  della  pubblica  istruzione  e'  dunque  unitario   ma
 l'unita'  e'  assicurata,  per  il  sistema  scolastico in genere, da
 "norme generali" dettate dalla Repubblica; in specie, per il  sistema
 universitario,  in  quanto  costituito  da "ordinamenti autonomi", da
 "limiti stabiliti dalle leggi dello Stato".
   Gli "ordinamenti autonomi" delle universita', cui la legge, secondo
 l'art. 33 della Costituzione,  deve  fare  da  cornice,  non  possono
 considerarsi   soltanto   sotto   l'aspetto   organizzativo  interno,
 manifestantesi  in  amministrazione  e  in  normazione  statutaria  e
 regolamentare.  Per  l'anzidetto  rapporto  di  necessaria  reciproca
 implicazione, l'organizzazione deve considerarsi anche sul  suo  lato
 funzionale esterno, coinvolgente i diritti e incidente su di essi. La
 necessita'   di   leggi  dello  Stato,  quali  limiti  dell'autonomia
 ordinamentale  universitaria,  vale  pertanto   sia   per   l'aspetto
 organizzativo,  sia,  a maggior ragione, per l'aspetto funzionale che
 coinvolge i diritti di accesso alle prestazioni.
   In questo modo, all'ultimo comma dell'art. 33  viene  a  conferirsi
 una  funzione,  per  cosi'  dire,  di  cerniera,  attribuendosi  alla
 responsabilita' del legislatore statale la predisposizione di  limiti
 legislativi     all'autonomia     universitaria     relativi    tanto
 all'organizzazione in senso stretto, quanto al  diritto  di  accedere
 all'istruzione  universitaria,  nell'ambito  del principio secondo il
 quale "la scuola e' aperta a tutti" (art. 34, primo comma) e  per  la
 garanzia  del  diritto riconosciuto ai "capaci e meritevoli, anche se
 privi di mezzi" "di raggiungere i gradi piu' alti degli studi"  (art.
 34, terzo comma).
   La  conclusione  cui  cosi'  si  perviene  attraverso  la specifica
 interpretazione degli artt. 33 e 34 della Costituzione e', del resto,
 confermata  e   avvalorata   dai   "principi   generali   informatori
 dell'ordinamento  democratico,  secondo i quali ogni specie di limite
 imposto ai diritti dei cittadini abbisogna del  consenso  dell'organo
 che  trae  da costoro la propria diretta investitura" e dall'esigenza
 che "la valutazione relativa alla convenienza dell'imposizione di uno
 o  di  altro  limite  sia  effettuata  avendo  presente   il   quadro
 complessivo   degli   interventi  statali  nell'economia  inserendolo
 armonicamente in esso, e  pertanto  debba  competere  al  Parlamento,
 quale organo da cui emana l'indirizzo politico generale dello Stato".
   Queste proposizioni, enunciate con riguardo a diritti di iniziativa
 economica e contenute in una decisione di questa Corte (sentenza n. 4
 del 1962) risalente nel tempo ma la cui validita' nel vigente assetto
 costituzionale  non puo' non essere confermata, valgono ugualmente e,
 per certi aspetti, a maggior ragione nel caso ora in discussione, nel
 quale l'organizzazione dell'universita', come servizio  pubblico,  da
 una  parte, coinvolge diritti costituzionali della persona umana come
 il  diritto  alla  propria  formazione  culturale   (art.   2   della
 Costituzione)  e  quello  alle  proprie  scelte professionali (art. 4
 della Costituzione), a sua volta mezzo essenziale di  sviluppo  della
 personalita'  (sentenza  n. 61 del 1965) e, dall'altra parte, implica
 decisioni pubbliche d'insieme,  inerenti  alla  determinazione  delle
 risorse necessarie per il funzionamento delle istituzioni scolastiche
 in  genere e universitarie in specie, che influisce sulle prestazioni
 da esse erogabili.
   La  conclusione  che  ne  deriva  e'  che  i  criteri  di   accesso
 all'universita', e dunque anche la previsione del numerus clausus non
 possono  legittimamente  risalire  ad  altre fonti, diverse da quella
 legislativa.
   4.1.2. - Ai fini della  risoluzione  della  presente  questione  di
 costituzionalita',  non e' sufficiente il riferimento a una "riserva"
 di  normazione  primaria  in  materia   di   accesso   all'istruzione
 universitaria.    Occorre infatti precisarne la portata, prendendo in
 considerazione la possibilita'  di  una  normazione  non  legislativa
 ulteriore,  quale  svolgimento e completamento di quella riservata al
 legislatore.
   La "riserva di legge" assicura il monopolio del  legislatore  nella
 determinazione delle scelte qualificanti nelle materie indicate dalla
 Costituzione,  sia  escludendo  la concorrenza di autorita' normative
 "secondarie", sia imponendo all'autorita' normativa "primaria" di non
 sottrarsi al compito che solo a essa e' affidato.
   Tale valenza e' generale e comune a  tutte  le  "riserve".  Dipende
 invece  dalle  specifiche  norme  costituzionali  che  le  prevedono,
 secondo la loro interpretazione testuale, sistematica e  storica,  il
 carattere  di  ciascuna  riserva,  carattere  chiuso  o  aperto  alla
 possibilita' che la legge  stessa  demandi  ad  atti  subordinati  le
 valutazioni  necessarie  per  la  messa in atto concreta delle scelte
 qualificanti la materia ch'essa stessa ha operato.
   Nella specie, la riserva di legge  in  tema  di  accesso  ai  corsi
 universitari,  come  prevista  dalla  Costituzione,  non  e'  tale da
 esigere che l'intera disciplina della materia sia contenuta in legge.
 Viene in considerazione, innanzitutto, il rapporto  tra  la  legge  e
 l'autonomia  universitaria  prevista  dall'ultimo  comma dell'art. 33
 della Costituzione, rapporto  nel  quale  le  previsioni  legislative
 valgono   come   "limiti",   che  non  sarebbero  piu'  tali  ove  le
 disposizioni di legge fossero circostanziate al punto da  ridurre  le
 universita',   che   la  Costituzione  vuole  dotate  di  ordinamenti
 autonomi, al ruolo di meri ricettori passivi di decisioni assunte  al
 centro.
   Inoltre,  sotto  l'aspetto  dei rapporti tra potesta' legislativa e
 potesta' normativa del  Governo,  nulla  nella  Costituzione  esclude
 l'eventualita'    che   un'attivita'   normativa   secondaria   possa
 legittimamente essere chiamata dalla  legge  stessa  a  integrarne  e
 svolgerne  in  concreto  i contenuti sostanziali, quando - come nella
 specie  -  si  versi  in  aspetti  della   materia   che   richiedono
 determinazioni   bensi'  unitarie,  e  quindi  non  rientranti  nelle
 autonome responsabilita' dei singoli atenei, ma anche tali  da  dover
 essere  conformate  a  circostanze  e  possibilita' materiali varie e
 variabili, e quindi non facilmente  regolabili  in  concreto  secondo
 generali e stabili previsioni legislative.
   In sintesi, la riserva di legge in questione e' tale da comportare,
 da  un  lato,  la  necessita'  di  non  comprimere  l'autonomia delle
 universita', per quanto riguarda gli  aspetti  della  disciplina  che
 ineriscono  a  tale  autonomia;  dall'altro,  la  possibilita' che la
 legge, ove non disponga essa stessa direttamente  ed  esaustivamente,
 preveda  l'intervento normativo dell'esecutivo, per la specificazione
 concreta della disciplina  legislativa,  quando  la  sua  attuazione,
 richiedendo  valutazioni d'insieme, non e' attribuibile all'autonomia
 delle universita'.
   Rispetto alle linee costituzionali di questo quadro  composito,  le
 possibilita'  che  si  aprono alle scelte legislative di ordinamento,
 anche con riferimento all'accesso all'istruzione universitaria,  sono
 evidentemente  molto  ampie e diversificate, in relazione ai numerosi
 aspetti della disciplina, i quali possono comportare  le  piu'  varie
 soluzioni  circa  l'allocazione  e  la combinazione procedurale delle
 competenze  decisionali,   nei   rapporti   tra   l'autonomia   delle
 universita'  e la normazione nazionale, nonche' tra le determinazioni
 legislative e quelle ch'esse possono demandare all'esecutivo, a  loro
 volta  influenzate  dall'assetto  che  sia  stato dato dalla legge ai
 rapporti tra autorita'  universitarie  nazionali  e  autonomia  degli
 atenei.
   Se  tali  sono le esigenze di composizione del quadro ordinamentale
 anzidetto - esigenze cui, con riferimento alla materia in esame,  non
 si puo' dire che, finora, il legislatore abbia organicamente prestato
 la  sua  opera -, nel presente giudizio di costituzionalita', secondo
 la prospettazione della questione da parte  dei  giudici  rimettenti,
 viene  in  considerazione  direttamente solo il problema dei rapporti
 tra le determinazioni del legislatore e quelle  dell'amministrazione,
 sotto    il   profilo   della   riserva   di   legge,   relativamente
 all'individuazione dei corsi universitari ad accesso limitato.
   4.2.  -  La  disposizione  di  legge  sottoposta  al  controllo  di
 costituzionalita'  attribuisce  al  Ministro dell'universita' e della
 ricerca scientifica e  tecnologica  il  potere  di  disciplinare  con
 proprio  atto  l'accesso  alle  scuole di specializzazione e ai corsi
 universitari, "anche a quelli per i quali l'atto stesso  preveda  una
 limitazione nelle iscrizioni".  Una formula, questa, che, certamente,
 vale  ad  affermare l'esistenza di un potere ministeriale in materia,
 la' dove la formula originaria del censurato art.  9,  comma  4,  (il
 quale  trattava  di  criteri generali, definiti dal Ministro, "per la
 regolamentazione dell'accesso alle scuole di specializzazione  ed  ai
 corsi  per  i quali sia prevista una limitazione") aveva indotto, per
 lo piu',  a  ritenerlo  escluso.  Ma  tale  affermazione,  nel  nuovo
 articolo  9,  comma  4,  e'  fatta piu' sotto forma di riconoscimento
 della sua esistenza che non attraverso la sua previsione ex novo  per
 mezzo di una compiuta disciplina. Se il caso fosse questo secondo, se
 cioe'  dalla  disposizione censurata dovesse necessariamente trarsi -
 come sarebbe se si dovesse seguire l'interpretazione prospettata  dai
 giudici  rimettenti  -  la  volonta'  del legislatore di istituire un
 potere ministeriale, svincolato da adeguati criteri di esercizio,  di
 determinare  le  scuole e i corsi universitari a iscrizioni limitate,
 la violazione della riserva  di  legge  prevista  dalla  Costituzione
 risulterebbe palese.
   Poiche'  pero'  non  e'  cosi', e' possibile dare alla disposizione
 censurata un'interpretazione adeguata alle esigenze della riserva  di
 legge  esistente  in  materia:  interpretazione  secondo  la quale il
 potere che la legge riconosce al Ministro puo' essere esercitato solo
 se e nei limiti in cui da altre  disposizioni  legislative  risultino
 predeterminati  criteri per l'individuazione in concreto delle scuole
 e  dei  corsi  universitari  rispetto  ai  quali   valgono   esigenze
 particolari  di  contenimento  del  sovraffollamento e si giustifichi
 quindi la previsione - con l'atto ministeriale cui  l'impugnato  art.
 9, comma 4, si riferisce - delle limitazioni nelle iscrizioni.
   In  breve,  la  disposizione  censurata  riconosce  un potere senza
 precisarne le condizioni di esercizio. Perche' essa  possa  ritenersi
 non  incompatibile  con la Costituzione sotto l'aspetto della riserva
 di legge, occorre interpretarla  nel  senso  che  il  potere  ch'essa
 afferma  essere  conferito  all'amministrazione  non  sia  libero  e,
 perche' esso non sia libero,  occorre  che  la  disposizione  che  lo
 riconosce sia integrata da altre determinazioni che lo circoscrivano.
 Tali  determinazioni,  infine,  possono  essere  ricavate, e cosi' le
 esigenze della riserva  di  legge  possono  essere  soddisfatte,  con
 riferimento   all'ordinamento   nel   suo   insieme   e   non  devono
 necessariamente  essere  contenute   nella   disposizione   specifica
 istitutiva del potere dell'amministrazione ch'esse valgono a limitare
 (cosi', ad esempio, sentenza n. 34 del 1986).
   4.3.  -  Affinche'  dunque  il  principio di riserva di legge nella
 materia in esame possa dirsi rispettato, occorre  che  il  denunciato
 art.  9,  comma  4,  della  legge  n. 341 del 1990 sia inserito in un
 contesto di scelte normative sostanziali predeterminate, tali che  il
 potere   dell'amministrazione   sia  circoscritto  secondo  limiti  e
 indirizzi ascrivibili al legislatore.
   Analoga funzione nella composizione di tale contesto, e  quindi  di
 delimitazione   della   discrezionalita'  dell'amministrazione,  deve
 essere riconosciuta  alle  norme  comunitarie  dalle  quali  derivino
 obblighi  per  lo  Stato  incidenti  sull'organizzazione  degli studi
 universitari.
   Ed e', principalmente e particolarmente, a queste norme che,  nella
 specie,  in  carenza  di  un  quadro  organicamente  predisposto  dal
 legislatore nazionale per la disciplina del numero  delle  iscrizioni
 ai corsi universitari, deve farsi riferimento.
   Vengono  in  considerazione,  a  questo  proposito,  e hanno valore
 decisivo varie direttive (78/686/CEE del  Consiglio,  del  25  luglio
 1978;  78/687/CEE  del  Consiglio,  di  pari  data;  78/1026/CEE  del
 Consiglio, del 18 dicembre 1978; 78/1027/CEE del Consiglio,  di  pari
 data;  85/384/CEE  del  Consiglio, del 10 giugno 1985; 89/594/CEE del
 Consiglio, del 30 ottobre 1989  e  93/16/CEE  del  Consiglio,  del  5
 aprile  1993).  Esse  concernono  il  reciproco riconoscimento, negli
 Stati membri, dei titoli di studio universitari sulla base di criteri
 uniformi di formazione, l'esercizio del diritto di  stabilimento  dei
 professionisti  negli Stati dell'Unione nonche' la libera prestazione
 dei servizi e riguardano, al momento, i titoli accademici di  medico,
 medico-veterinario, odontoiatra e architetto.
   Le  ricordate  direttive  prescrivono,  in  vista dell'analogia dei
 titoli universitari rilasciati nei diversi Paesi e del loro reciproco
 riconoscimento, standard di formazione minimi a garanzia che i titoli
 medesimi attestino il possesso effettivo delle conoscenze  necessarie
 all'esercizio  delle attivita' professionali corrispondenti. In tutti
 i casi cui le direttive si riferiscono, si prescrive  che  gli  studi
 teorici   si  accompagnino  necessariamente  a  esperienze  pratiche,
 acquisite attraverso  attivita'  cliniche  o,  in  genere,  operative
 svolte nel corso di periodi di formazione e di tirocinio aventi luogo
 in  strutture  idonee e dotate delle strumentazioni necessarie, sotto
 gli opportuni controlli. E cio'  implica  e  presuppone  che  tra  la
 disponibilita'  di  strutture  e  il  numero  di  studenti  vi sia un
 rapporto  di  congruita',  in  relazione  alle  specifiche  modalita'
 dell'apprendimento.
   Alla stregua dell'art. 189 del Trattato CEE, le direttive vincolano
 gli Stati membri cui sono rivolte per quanto riguarda il risultato da
 raggiungere,  salva  restando la competenza degli organi nazionali in
 merito alla forma e ai mezzi. Esse richiedono dunque  attuazione,  da
 parte  del  legislatore  e  dell'amministrazione,  secondo  le regole
 costituzionali che ne  configurano  i  poteri  e  ne  disciplinano  i
 rapporti.
   Le  direttive sopra menzionate hanno trovato attuazione nei decreti
 legislativi 27 gennaio 1992, n. 129 e 2 maggio  1994,  n.  353.  Essi
 dettano  analitiche  discipline  relativamente  al riconoscimento dei
 titoli rilasciati dalle universita' e al diritto di stabilimento  dei
 professionisti  e,  quanto alla garanzia degli standard di formazione
 universitaria che condizionano il reciproco riconoscimento dei titoli
 accademici, richiamano  gli  obiettivi  delle  direttive,  cioe'  "la
 formazione  prevista  dalla normativa comunitaria" e "l'insieme delle
 esigenze minime di formazione" richieste dalla stessa normativa. Tali
 obiettivi, obbligatori per  lo  Stato  in  forza  dell'art.  189  del
 Trattato  CEE,  valgono  per  dettato legislativo - indipendentemente
 dalla    loro    forza    cogente    diretta    -    nei    confronti
 dell'amministrazione,  comportando  che  i  poteri  di  cui  essa sia
 dotata, nella  materia  oggetto  di  direttive,  sono  da  esercitare
 secondo  gli  obblighi  di  risultato  che  la  normativa comunitaria
 impone, non rilevando  poi  la  circostanza  che  tali  poteri  siano
 definiti  in  occasione  della  attuazione delle direttive medesime o
 siano legislativamente previsti - come e' nella specie - altrimenti.
   Quanto ai compiti del legislatore nelle riserve di legge che,  come
 nel  caso  in esame, la Costituzione configura "aperte" a svolgimenti
 da parte della amministrazione, l'esistenza di direttive  comunitarie
 esecutive  comporta  che  l'obbligo  di predisposizione diretta della
 normativa sostanziale entro la quale deve ridursi la discrezionalita'
 dell'amministrazione  viene  alleggerendosi,  per  cosi'   dire,   in
 conseguenza  e  proporzione alla consistenza delle direttive medesime
 (salva sempre, ovviamente, la  possibilita'  per  il  legislatore  di
 andare oltre, ma non contro, la normativa comunitaria).
   5.  -  Tanto  premesso,  una volta che l'impugnato art. 9, comma 4,
 della legge n. 341 del 1990 sia interpretato nel senso che  esso  non
 conferisce   all'amministrazione  un  potere  svincolato  dai  limiti
 sostanziali  derivanti  dall'ordinamento,  risultano,  negli   stessi
 limiti,  destituiti  di fondamento i dubbi di costituzionalita' su di
 esso sollevati, sotto il profilo della violazione  del  principio  di
 riserva di legge ricavabile dagli artt. 33 e 34 della Costituzione.
   Infatti,  nelle  sopra  citate direttive comunitarie si rinviene un
 preciso obbligo di risultato, che gli Stati membri sono  chiamati  ad
 adempiere   predisponendo,   per  alcuni  corsi  universitari  aventi
 particolari caratteristiche - tra cui quelli  cui  si  riferiscono  i
 ricorsi presentati davanti ai giudici rimettenti -, misure adeguate a
 garantire    le    previste    qualita',    teoriche    e   pratiche,
 dell'apprendimento.
   In tali direttive, invero, non si tratta  degli  strumenti.  Questi
 sono  infatti  rimessi alle determinazioni nazionali e il legislatore
 italiano, come  per  lo  piu'  i  suoi  omologhi  degli  altri  Paesi
 dell'Unione,  ha per l'appunto previsto la possibilita' di introdurre
 il numerus clausus per tali corsi. Ma una volta attribuito il  giusto
 rilievo   ai   doveri   che   sul   nostro  Paese  incombono  per  la
 partecipazione all'Unione europea, e una volta considerato come  essi
 incidano  nel  rapporto  tra  legislazione e amministrazione, in tale
 possibilita' non e' piu' dato scorgere quel carattere  arbitrario  in
 base  al  quale  i  giudici rimettenti si sono indotti a sollevare la
 presente questione di costituzionalita'.
   Parallelamente cadono i dubbi prospettati in relazione  agli  artt.
 3  e  97  della  Costituzione,  la cui pretesa violazione e' motivata
 sulla premessa, dimostratasi inesatta, che il potere ministeriale sia
 esercitabile,  alla  stregua  della  norma   impugnata,   con   piena
 discrezionalita'.
   6.  - Sebbene possa dunque essere superato, in considerazione degli
 obblighi comunitari e nei limiti in cui essi sussistono, lo specifico
 dubbio di costituzionalita' sollevato dai giudici rimettenti circa la
 legittimita' costituzionale della previsione del potere  ministeriale
 di limitare gli accessi universitari, occorre aggiungere che l'intera
 materia  necessita  di  un'organica  sistemazione legislativa, finora
 sempre mancata: una sistemazione chiara che,  da  un  lato,  prevenga
 l'incertezza   presso   i   potenziali   iscritti  interessati  e  il
 contenzioso che ne puo' derivare e nella quale,  dall'altro,  trovino
 posto  tutti  gli  elementi  che,  secondo  la  Costituzione,  devono
 concorrere a formare l'ordinamento universitario.