ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 23 della legge
 della regione siciliana 12 novembre  1996,  n.  41  (Disposizioni  in
 materia  di  permessi,  indennita'  ed  incarichi  negli enti locali.
 Modifiche  ed  integrazioni  alle  leggi  regionali  concernenti   le
 elezioni  di  organi  degli  enti  locali,  il  comitato regionale di
 controllo, il personale della amministrazione regionale e degli  enti
 locali.  Abrogazione  di  norme), promosso con ordinanza emessa il 13
 maggio 1997 dalla Corte d'appello di Palermo, iscritta al n. 533  del
 registro  ordinanze  1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visti gli atti di costituzione di Leone Vincenzo e Palermo Mariano,
 nonche' l'atto di intervento della regione siciliana;
   Udito nell'udienza pubblica del 27 ottobre 1998 il giudice relatore
 Valerio Onida;
   Uditi l'avvocato Giovanni Pitruzzella per Leone Vincenzo e  Palermo
 Mariano e l'avvocato Francesco Castaldi per la regione siciliana;
   Ritenuto  che,  con ordinanza emessa il 13 maggio 1997, pervenuta a
 questa Corte il 14 luglio 1997, la  Corte  d'appello  di  Palermo  ha
 sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
 agli articoli 25, secondo comma, 70 e 3 della Costituzione, dell'art.
 23 della legge della  regione  siciliana  12  novembre  1996,  n.  41
 (Disposizioni  in  materia di permessi, indennita' ed incarichi negli
 enti  locali.    Modifiche  ed  integrazioni  alle  leggi   regionali
 concernenti  le  elezioni  di  organi  degli enti locali, il comitato
 regionale di controllo, il personale della amministrazione  regionale
 e degli enti locali.  Abrogazione di norme);
     che  la  disposizione  impugnata  sostituisce il testo originario
 dell'art. 67 della legge regionale n. 29 del 1951  sull'elezione  dei
 deputati  all'assemblea  regionale,  ai  cui sensi, per le violazioni
 della  stessa  legge,  si  osservavano,  in  quanto  applicabili,  le
 disposizioni  penali  della  legge  per  l'elezione  della Camera dei
 deputati, cio' che comportava l'applicazione del termine ordinario di
 prescrizione dei reati. Il nuovo testo  prevede  invece  che  per  le
 violazioni della legge elettorale si osservano le disposizioni di cui
 all'art.  1,  ultimo  comma,  della  legge  (statale) n. 108 del 1968
 sull'elezione dei consigli delle regioni  ordinarie,  ai  cui  sensi,
 salvo  quanto  disposto  dalla  stessa  legge,  per  le  elezioni dei
 consigli  regionali  si  osservano,   in   quanto   applicabili,   le
 disposizioni  del  testo  unico  delle  leggi  per la composizione ed
 elezione degli organi delle amministrazioni comunali,  approvato  con
 decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.    570  del  1960,  e
 successive modificazioni, nelle  parti  riguardanti  i  consigli  dei
 comuni   con   oltre   cinquemila   abitanti:  il  che  comporterebbe
 l'applicazione, in forza dell'art. 100 del medesimo testo  unico,  di
 un  termine  speciale  di  prescrizione  di due anni, prolungabile al
 massimo a tre;
     che, secondo il giudice a quo il testo dell'art. 67  della  legge
 regionale  n.  29  del 1951, come sostituito dall'art. 23 della legge
 regionale n. 41 del 1996, contrariamente al testo precedente, non  si
 limiterebbe  a richiamare, per le violazioni delle norme della stessa
 legge,  il  "corrispondente  complesso  delle  disposizioni   penali"
 previste  per  l'elezione  della Camera dei deputati, ma prevederebbe
 l'applicazione, alle violazioni delle norme stabilite per le elezioni
 regionali (che  sarebbero  elezioni  politiche),  delle  disposizioni
 penali  stabilite  dal  legislatore  statale  in  materia di elezioni
 comunali.  Con cio' sarebbe violata la riserva di  legge  statale  in
 materia  penale,  sancita  dagli  artt. 25, secondo comma, e 70 della
 Costituzione;
     che, sotto altro profilo, la  Corte  remittente  ritiene  che  la
 norma  denunciata contrasti altresi' con l'art. 3 della Costituzione,
 in quanto, nel prevedere un termine di prescrizione  massimo  di  tre
 anni,  determinerebbe una irragionevole disparita' di trattamento, in
 presenza delle medesime violazioni aventi  rilevanza  penale,  fra  i
 candidati  e  gli  elettori della regione siciliana e quelli di altre
 regioni a statuto speciale,  per  i  quali,  attraverso  il  richiamo
 all'apparato  sanzionatorio  della legge elettorale per la Camera dei
 deputati, varrebbe il termine ordinario di prescrizione;
     che si sono costituiti, con  memorie  di  identico  contenuto,  i
 signori  Mariano  Palermo  e Vincenzo Leone, parti del giudizio a quo
 chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;
     che, secondo le  parti,  la  norma  regionale  impugnata  non  ha
 introdotto  un  regime  penale  differenziato,  ma,  al contrario, ha
 sottoposto i candidati e gli elettori siciliani  al  medesimo  regime
 giuridico  previsto  per  quelli  di tutte le regioni ordinarie, onde
 sarebbero  infondate  le  censure  di  violazione  del  principio  di
 eguaglianza;
     che,  a  maggior  ragione,  ad  avviso  delle  parti,  andrebbero
 respinte  le  censure  fondate  sulla  asserita  esclusivita'   della
 potesta'  legislativa statale in materia penale, poiche' nella specie
 la  regione  si  sarebbe  limitata   ad   "esplicitare"   che   trova
 applicazione  anche  in Sicilia la normativa statale applicabile alle
 violazioni della disciplina sulle elezioni nelle  regioni  ordinarie,
 normativa che resterebbe quella predisposta dal legislatore statale;
     che   e'  intervenuto  il  presidente  della  regione  siciliana,
 sostenendo  in  primo  luogo  che  la  questione  sarebbe  priva   di
 rilevanza,  poiche',  dovendosi nel giudizio a quo applicare sempre e
 comunque  la  disposizione  piu'  favorevole  al   reo,   l'eventuale
 pronuncia   della  Corte  non  potrebbe  esercitare  in  esso  alcuna
 influenza, neppure con riguardo alla formula di proscioglimento;
     che,  secondo  l'interveniente,  sarebbe  comunque  infondata  la
 censura  di  violazione  della  riserva  di  legge statale in materia
 penale,  la  quale  sarebbe  rispettata  quando   la   regione,   nel
 disciplinare   una   materia  di  propria  competenza,  rimandi  alla
 preesistente disciplina penale statale ad essa  applicabile;  d'altra
 parte,  avendo  la  regione,  in  materia  di elezione dell'assemblea
 regionale,  competenza  legislativa  primaria,  vincolata   al   solo
 rispetto  dei  principi  ricavabili  dalla  Costituzione  in  materia
 elettorale, non potrebbe ritenersi costituzionalmente illegittima una
 disposizione mirante ad adeguare sul punto la legislazione  regionale
 a quella statale prevista per le regioni a statuto ordinario;
     che, ad avviso dell'interveniente, parimenti infondata sarebbe la
 censura  di  violazione  dell'art.  3  della Costituzione, poiche' si
 dovrebbe escludere un sindacato di uguaglianza mediante raffronto tra
 normative  di  diversi  statuti  speciali,  ed  inoltre  in   materia
 elettorale  non  sussisterebbe  parita'  di situazioni fra le regioni
 speciali, in quanto la regione siciliana  godrebbe  di  una  potesta'
 legislativa primaria particolarmente ampia;
   Considerato che la questione, come proposta dalla Corte remittente,
 si appalesa intrinsecamente contraddittoria;
     che,  infatti, si denuncia, per violazione della riserva di legge
 statale in materia penale, la disposizione legislativa regionale  che
 ha   novellato   il   testo  dell'art.  65  della  legge  elettorale,
 implicitamente   ritenendosi   che   l'eventuale   dichiarazione   di
 illegittimita'  costituzionale  darebbe  luogo,  nel  processo  a quo
 all'applicazione  della  norma  legislativa  preesistente   (cui   si
 collegherebbe  il  termine  ordinario di prescrizione):   senza tener
 conto che la disposizione originaria, sostituita  dalla  novella  del
 1996,  era  contenuta  anch'essa in una legge regionale e interveniva
 nella materia penale, attraverso  il  rinvio  ad  una  legge  statale
 (quella  per  l'elezione  della  Camera  dei  deputati)  di  per  se'
 inapplicabile  alle  elezioni  dell'assemblea  regionale   siciliana:
 sicche'  lo stesso vizio di incompetenza denunciato a proposito della
 disposizione impugnata non potrebbe non riguardare  anche  quella  da
 essa sostituita;
     che,  peraltro,  nella  prospettazione  del  giudice  a  quo,  si
 censura, contraddittoriamente, non gia' l'esistenza in quanto tale di
 una norma regionale incriminatrice, viziata da  incompetenza  (a  cui
 dovrebbe     conseguire,     attraverso     la    dichiarazione    di
 incostituzionalita', il venir meno della stessa norma  incriminatrice
 e  quindi  del  reato  per  cui  si  procede),  ma  la  sostituzione,
 attraverso il rinvio alla legge sulla elezione dei consigli regionali
 ordinari anziche', come nella norma  antecedente,  alla  legge  sulla
 elezione  della  Camera dei deputati, di un regime penale ad un altro
 per  i  reati  elettorali  commessi  in  occasione   delle   elezioni
 dell'assemblea   regionale   siciliana:  regime,  quello  introdotto,
 considerato dallo stesso giudice remittente come  ingiustificatamente
 differenziato  rispetto a quello in vigore in altre regioni a statuto
 speciale, e per questa  ragione  in  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione;
     che la rilevata contraddittorieta' della questione ne comporta la
 manifesta inammissibilita'.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.