la corte di assise Ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale nel procedimento di esecuzione relativo a Renato Arreni, nato a Roma il 14 dicembre 1954, detenuto presso la "III Casa" di Roma-Rebibbia. 1. - Il 30 maggio 1998 il p.m. di Roma, nel procedere all'unificazione delle pene concorrenti nei confronti di Renato Arreni, chiedeva a questa Corte di determinare la sanzione in concreto da irrogare al prevenuto nell'ergastolo con isolamento diurno per anni uno. Il procedimento, instaurato con il rito degli incidenti d'esecuzione, veniva fissato all'odierna udienza camerale. La difesa dell'interessato eccepiva l'incostituzionalita' del disposto dell'art. 72 c.p. relativamente alla sanzione dell'isolamento diurno (cfr. anche memoria del 5 ottobre 1998 a firma avv. prof. Tommaso Mancini). Lo stesso p.m., melius re perpensa, e considerata la particolare condizione dell'Arreni, detenuto in regime di semiliberta', con memoria aggiuntiva in data odierna, chiedeva: dichiararsi gia' eseguita la sanzione dell'isolamento diurno durante il regime cd. "di massima sicurezza" al quale il prevenuto, gia' aderente alle "Brigate Rosse", dovrebbe essere stato assoggettato in epoca precedente; ovvero, ritenere l'art. 72 c.p., nella parte che qui rileva abrogato dall'art. 89, legge n. 354/1975; ovvero ritenere non manifestamente infondata la questione di costituzionalita', in termini analoghi a quelli prospettati dalla difesa. 2. - Renato Arreni versa nella condizione prevista dal combinato disposto degli artt. 72 e 80 c.p., avendo riportato, con la sentenza 14 marzo 1985 Corte assise appello di Roma, la condanna a piu' ergastoli, unificati in ergastolo con l'isolamento diurno per anni uno, e, in altri contesti, ulteriori condanne a pena detentive temporanee per un tempo superiore a cinque anni. Consegue da cio' l'applicazione della pena unica dell'ergastolo con l'isolamento diurno per un periodo da due a diciotto mesi. La richiesta formulata dal p.m. con l'originario provvedimento del 30 maggio 1998 deve dunque, obbligatoriamente, trovare accoglimento. 3. - Senonche', il condannato, a far data dal 21 marzo 1995 e' stato ammesso al lavoro esterno (art. 21, legge n. 354/1975), e poi, dal 24 aprile 1997, si trova in regime di semiliberta' ai sensi degli artt. 48 e 50, legge n. 354/1975 (Ordinamento penitenziario). Il regime di semiliberta', che costituisce una misura alternativa alla detenzione, consiste nel trascorrere "parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attivita' lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale" (art. 48, primo comma). Il presupposto sostanziale di questa particolare modalita' di esecuzione della pena e' fissato dal quarto comma dell'art. 50 della citata legge, che testualmente recita: "l'ammissione al regime di semiliberta' e' disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella societa'". Il successivo quinto comma estende la possibilita' di fruire del beneficio anche al condannato all'ergastolo. Non vi e' dubbio che la norma indicata rappresenti, insieme alle altre disposizioni relative alle misure alternative alla detenzione o sostitutive di essa inserite nel corpus dell'Ordinamento penitenziario, un esempio di concretizzazione ed attualizzazione del principio costituzionale dell'emenda consacrato nell'art. 27, terzo comma, della Carta costituzionale. Le misure alternative alla detenzione non costituiscono, in altri termini, una sorte di "premio" elargito al condannato in considerazione della sua supina adesione a canoni meramente formali di "correttezza" durante l'esecuzione della pena, ma "hanno lo scopo di evitare al condannato l'inutile sofferenza della detenzione nei casi in cui la sua rieducazione e il suo recupero sociale possano essere ottenuti attraverso modalita' meno afflittive" (Cass. sez. I, 23 novembre 1996, 9604837, p.m. in proc. Gabrieli). Esse integrano, sul piano della concreta applicazione, quella finalita' di emenda che, secondo l'insegnamento della stessa Corte costituzionale, e' non solo limitata alla fase esecutiva, quanto immanente alla sanzione penale sin dall'atto della sua applicazione (Corte costituzionale, sentenza n. 313/1990). E' interessante rilevare come, proprio in quest'ultima pronuncia, opportunamente richiamata nella memoria difensiva, la Corte abbia statuito l'equivalenza delle finalita' di prevenzione, risarcimento del danno inflitto alla societa' ed emenda, tutte compresenti nella natura della pena, mettendo in guardia dal pericolo della prevalenza di una sola di esse su tutte le altre. 4. - Nel caso che qui ci occupa, si profila dunque un evidente contrasto fra la condizione reale del condannato ammesso al regime di semiliberta', al quale il competente organo giurisdizionale (tribunale di sorveglianza) riconosce l'esistenza di un concreto progetto di reinserimento sociale, e la necessita', discendente ope legis dal citato art. 72 c.p., di procedere, nei suoi confronti, all'applicazione di una sanzione che ineluttabilmente si risolve in un inasprimento dell'esecuzione penale. La sollevata questione e', dunque, rilevante. Mentre, per un verso, si riconosce che il condannato Arreni e' suscettibile di una modalita' di esecuzione della pena meno afflittiva, e dunque rispettosa del principio dell'emenda, per un altro lo si dovrebbe assoggettare a una sanzione che comporta in se' un surplus di asprezza. Il contrasto si fa davvero stridente sul piano delle modalita' concrete di esecuzione della pena, cosi' come delineata dal regime di semiliberta', e cosi' come atteggiata dall'applicazoine dell'art. 72. La semiliberta' consiste nel trascorrere fuori dall'istituto alcune ore del giorno, "per partecipare ad attivita' lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale". Mentre, come acutamente osservato dal p.m., "l'isolamento diurno, sanzione i cui contenuti non sono determinati da alcuna disposizione normativa, comporta di fatto un regime penitenziario particolarmente afflittivo, perche' viene eseguito impedendo al condannato qualunque contatto con altri detenuti, quindi: la detenzione in cella singola, la permanenza all'aperto da solo, la esclusione da tutte le attivita' in comune a quelle trattamentali". Ne' vale osservare che, in base al disposto dell'art. 72, terzo comma, c.p., il condannato sottoposto ad isolamento diurno "partecipa all'attivita' lavorativa": si tratta, con ogni evidenza, del lavoro intramurario, indubbiamente un minus, sul piano del reinserimento sociale, rispetto alle ampie modalita' previste dalle misure alternative alla detenzione. L'applicazione dell'art. 72 costituirebbe dunque, per il condannato Arreni, l'irrogazione di un surplus di afflittivita' nella sanzione non sorretta da alcuna valida ragione. 5. - Il contrasto teste' delineato non puo' essere risolto in via di applicazione pratica delle norme esistenti. L'osservazione del p.m., relativa all'identita' tra i contenuti della sanzione dell'isolamento diurno e quelli previsti dalle norme "punitive" dell'Ordinamento penitenziario (art. 90, relativo al regime di massima sicurezza, sovente applicato ai terroristi, come l'Arreni, durante i cd. "anni di piombo"; art. 14-quater, relativo al regime di "sorveglianza particolare") urta contro un rilievo in fatto: difetta, nel caso in esame, la prova che l'Arreni sia stato assoggettato ai particolari regimi sanzionatori sopra descritti. Nemmeno la seconda soluzione proposta dal p.m. puo', considerando lo stato positivo della legislazione, essere accolta. Essa poggia sul rilievo che l'art. 89, legge n. 354/1975 avrebbe abrogato l'art. 72 c.p. Detta norma prevede l'abolizione di "ogni altra norma incompatibile con la presente legge". E' certo, sul piano teorico, che la sopravvivenza della sanzione dell'inasprimento dell'ergastolo puo' trovarsi in contrasto - come e' nel caso di specie - non solo con la singola norma della semiliberta' (ma anche del lavoro esterno dei condannati di cui all'art. 21 della citata legge del 1975), ma con l'intera filosofia della normativa penitenziaria, concepita per dare concreta attuazione al principio dell'emenda piu' volte richiamato. Tuttavia, la giurisprudenza afferma, con costanza pressoche' univoca, la natura di sanzione penale dell'art. 72 c.p. (cfr., tra le altre, Cass. sez. I, 21 aprile 1993, n. 9301218, Nistri; sez. I, 21 luglio 1993, n. 9303004, p.m. in proc. Mosella). E da questa asserzione un'altra pronuncia (Cass. sez. I, 14 aprile 1993, n. 9300780, Asero) fa discendere la mancata abrogazione dell'art. 72 c.p. ad opera del menzionato art. 89: una norma che disciplina una modalita' di esecuzione della pena non puo' abrogarne un'altra la cui ratio e' di fissare una sanzione nell'ordinamento. Questa Corte di assise non potrebbe, pertanto, ritenere l'implicita abrogazione dell'art. 72 c.p. sulla base del "diritto vivente". 6. - Due recenti pronunce di giudici a quo hanno dichiarato la manifesta infondatezza della prospettata questione. La prima (Cass. sez. I, 8 luglio 1991, n. 9107301, pres. Carnevale) ha osservato che "la dissuasione, la prevenzione e la difesa sociale sono, al pari dell'emenda, alla radice dell'ergastolo, e l'isolamento diurno, per la funzione cui adempie e per i limiti e le modalita' attuali della sua applicazione, non puo' ritenersi misura contraria al senso di umanita'". La seconda (Cass. sez. I, 14 aprile 1993, Asero, n. 9300780, gia' citata sopra) si e' espressamente richiamata all'unico precedente della Corte costituzionale, e cioe' alla sentenza n. 115/1964. Un dato pero' e' riconosciuto pacificamente: l'equivalenza tra le finalita' della pena sancite dalla citata sentenza 313/1990 della Corte costituzionale. Ma se vi e' equivalenza, e dunque non sussistono validi motivi perche' una delle finalita' sovrasti, in astratto, tutte le altre, allora la soluzione data al problema dalla Cassazione non risponde all'interrogativo di partenza, poiche' possono emergere situazioni concrete in cui, attraverso una "meccanica" - ed allo stato ineludibile - applicazione della sanzione dell'isolamento, la finalita' dell'emenda viene sacrificata alle altre esigenze in cui si sostanzia la pena nell'ordinamento costituzionale: questa e' appunto la vicenda che coinvolge Renato Arreni. L'appiglio utilizzato nelle riferite decisioni sta nella sentenza della Corte costituzionale n. 115 del 1964. Essa, testualmente, recita: "L'isolamento diurno del condannato all'ergastolo, per la funzione cui adempie secondo il diritto vigente e le modalita' attuali della sua applicazione, non puo' ritenersi misura contraria al senso di umanita': esso opera unicamente come sanzione per i delitti commessi in concorso con quello punito con l'ergastolo e questa sua riduzione alla sola funzione per i reati concorrenti segna un netto distacco rispetto alla corrispondente misura del codice del 1889 in base al quale il condannato all'ergastolo era sottoposto, solo perche' tale, alla segregazione cellulare per la durata di sette anni". La meditata lettura del testo induce ad alcune considerazioni. Innanzi tutto, la Corte, nel richiamarsi alla passata normativa del codice del 1889, segnala l'evidente evoluzione storica dell'istituto dell'isolamento diurno. E tale considerazione si ricollega all'inciso nel quale si connota la sanzione "per la funzione cui adempie secondo il diritto vigente e le modalita' attuali della sua applicazione". Il richiamo alle "modalita' attuali della sua applicazione". Il richiamo alle "modalita' attuali della sua applicazione", nel contempo, attenua la portata della ricorrente asserzione in forza della quale l'art. 72 ha natura esclusivamente di pena, e lascia intuire che l'atteggiarsi concreto e attuale della sanzione e' non solo collocato in una prospettiva storica, per cosi' dire "descrittiva", ma appare suscettibile di un'evoluzione non esente da riflessi sulla stessa natura giuridica dell'istituto. La sentenza citata fu redatta nel 1964: il precetto costituzionale dell'emenda, sancito dall'art. 27, terzo comma, era lungi dall'essere concretamente applicato. L'affermazione che la pena tende alla rieducazione del condannato restava immobile sulla carta. E' solo a partire dal 1975, con l'entrata in vigore della legge n. 354, che a detto precetto si e' data pratica attuazione. Orbene, gia' in un periodo in cui la finalita' dell'emenda costituiva una mera petizione di principio la Corte costituzionale affermava la costituzionalita' dell'istituto dell'isolamento diurno nella misura in cui valorizzava le sue "attuali modalita' di applicazione". A maggior ragione oggi, tenuto conto dell'applicazione concreta che l'emenda ha trovato nella legge 354/1975, e in considerazione del riconoscimento di equivalenza tra tutte le finalita' della pena, ivi compresa quella dell'emenda, operato dalla sentenza n. 313/1990, vi e', ad avviso di questo giudice, la necessita' di rimeditare la natura stessa dell'istituto dell'isolamento diurno. Natura di sanzione penale, indubbiamente, ma non esclusiva: poiche', se la costituzionalita' dell'art. 72 c.p. fu gia' nel 1964 postulata anche in funzione delle concrete modalita' di attuazione dello stesso, e' innegabile che, nell'attuale stato della legislazione positiva, che presenta un'indubbia modifica, in senso evolutivo e attuativo del principio di cui all'art. 27 della Costituzione, l'isolamento diurno dell'ergastolano ha, ad un tempo, natura di sanzione e di modalita' di esecuzione della stessa. 7. - Se questa e' la natura ancipite dell'istituto dell'isolamento diurno, come questo giudice crede, allora il contrasto tra le modalita' di applicazione dell'art. 72 e le norme costituzionali di riferimento non puo' essere risolto richiamandosi alla generica natura di "sanzione penale" dell'isolamento diurno, poiche' e' proprio dalle concrete modalita' di esecuzione che esso puo' nascere. E le modalita' di esecuzione, lo si ripete, sono parte integrante della norma e la spiegano. La norma costituzionale di riferimento e' individuata nell'art. 27, terzo comma, sotto il duplice profilo del trattamento contrario al senso di umanita' e della finalita' di rieducazione del condannato. In tutti quei casi in cui "le modalita' attuali" di applicazione dell'isolamento diurno vengono a confliggere con un avviato processo individuale di reinserimento sociale, attuato attraverso le misure alternative alla detenzione in diretta concretizzazione del principio dell'emenda, esse si risolvono in una lesione diretta di questo principio e nell'applicazione di un surplus di afflittivita' che rende la pena, in concreto, contraria al senso di umanita'. E' il caso del condannato Arreni: ove l'art. 72 c.p. gli fosse applicato, costui perderebbe necessariamente il beneficio della semiliberta', tornerebbe ad espiare la pena in regime di isolamento diurno, annullando quel processo di rieducazione faticosamente intrapreso in ossequio ai citati principi costituzionali. Discende, da tutto quanto sin qui considerato, che, ad avviso di questo giudice, la questione di costituzionalita' posta dalle parti non e' manifestamente infondata.