LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 751/1996 depositato il 23 gennaio 1996, avverso avv. di liquid. n. 94/03146/000049/001, succ. + Invim, contro Registro di Firenze, giudiziari successioni, da Marconi Pierfilippo residente a Pisa, in via Randaccio, 51/B, difeso da Tognetti avv. Renzo, residente a Firenze, in via G. La Farina, 31; Oggetto: ricorso avverso dl liquidazione n. 94/93146/000049/01, imposta successioni ed Invim emesso dall'ufficio registro di Firenze, giudiziari successioni. Svolgimento del processo Con atto del 23 gennaio 1996 il sig. Pierfilippo Marconi proponeva il ricorso di cui all'oggetto deducendo: a) che in data 5 settembre 1993 era deceduta la di lui madre Romanelli Pierina, coniugata con l'avv. Giuseppe Marconi; b) che in data 3 marzo 1994 era stata presentata la relativa dichiarazione di successione, registrata al n. 49/3146, dalla quale si evinceva che esso ricorrente, Pierfilippo Marconi, era l'unico figlio ed erede, avendo il coniuge della defunta Giuseppe Marconi, rinunciato all'eredita' in data 21 febbraio 1994; che il denunciante aveva inteso avvalersi del calcolo tabellare per determinare il valore degli immobili relitti; che le rendite catastali di diversi immobili caduti in successione erano state rideterminate ai sensi del d.lgs. 28 dicembre 1993, n. 568, in misura inferiore rispetto alle previgenti tabelle d'estimo; che le spese mediche relative alla defunta negli ultimi sei mesi di vita erano state sostenute dal coniuge avv. Giuseppe Marconi; c) che in data 13 settembre 1995 l'ufficio aveva notificato avviso di liquidazione dell'imposta di successione, richiedendo il pagamento della complessiva somma di L. 116.825.325, a titolo di imposta principale, escludendo la deducibilita' delle spese di ultima malattia perche' non sostenute dall'erede; d) che avverso tale atto era proposta opposizione con ricorso depositato il 13 novembre 1995, col quale si faceva rilevare la erronea individuazione della qualita' di erede per mancata applicazione alla fattispecie del disposto di cui all'art. 25, penultimo comma della legge 26 ottobre 1972, n. 643, aggiunto dall'art. 3 della legge 22 dicembre 1975, n. 694, in tema di misura dell'Invim nei trasferimenti mortis causa in linea retta; e) che l'ufficio, preso atto dell'errore e rielaborati i calcoli, aveva notificato in data 24 novembre 1994 altro avviso di liquidazione dell'imposta per complessive L. 61.724.330, dichiarando espressamente che detto avviso sostituiva il precedente e confermando comunque la indeducibilita' delle spese di ultima malattia, perche' non sostenute dall'erede; f) che avverso tale avviso era presentato in data 23 gennaio 1996 il ricorso di cui all'oggetto, col quale si chiedeva la declaratoria di nullita' ed inefficacia dell'atto impugnato per i seguenti motivi: 1 errori di calcolo; 2 ingiustificata esclusione dal passivo delle spese mediche; 3 erronea applicazione delle tariffe d'estimo. L'ufficio si costituiva con memoria del 12 dicembre 1997, con la quale conflittava il ricorso chiedendone il rigetto. Il ricorrente, con il patrocinio dell'avv. Renzo Tognetti, presentava in data 23 dicembre 1997 una diffusa memoria ad illustrazione del ricorso. La trattazione e l'esame del contesto aveva luogo in camera di consiglio all'udienza del 13 gennaio 1998. Motivi della decisione La Commissione tributaria provinciale prende preliminarmente atto che parte ricorrente, con la memoria depositata il 23 dicembre 1997, insiste in tesi per la declaratoria di nullita' del provvedimento impugnato ed, in ipotesi, chiede l'invio degli atti alla Corte costituzionale per la decisione delle questioni sollevate in ricorso e memoria con riferimento ai motivi di impugnazione come sopra specificati sub 1) - ingiustificata esclusione dal passivo delle spese mediche - e sub 3) - erronea applicazione delle tariffe d'estimo -, senza peraltro coltivare il motivo di cui sub 1) - errori di calcolo - semplicemente enunciato nell'atto introduttivo, e non precisato nel suo contenuto. 1. - Parte ricorrente contesta in primo luogo il diniego opposto dall'ufficio alla deduzione delle spese di ultima malattia della defunta. In punto di fatto risulta documentalmente provato che per cure mediche e chirurgiche negli ultimi sei mesi di vita della sig. Romanelli Pierina (deceduta il 5 settembre 1993) e' stata sostenuta la spesa complessiva di L. 23.121.564, saldata a mezzo di assegni emessi in favore dell'Istituto Prosperius TAC il 21 giugno 1993, il 6 luglio 1993 ed il 14 luglio 1993 dal marito della defunta avv. Giuseppe Marconi. Non risulta contestata dall'ufficio la pertinenza della spesa ne' la validita' della documentazione, sibbene la deducibilita' della stessa in quanto non sostenuta dall'erede (art. 24 decreto legislativo n. 346/1990). A tale proposito deve rilevarsi: a) che la sig. Romanelli Pierina venne a morte il 5 settembre 1993 e le spese di ultima malattia in oggetto vennero sostenute, prima ancora dell'apertura della successione, dal di lei marito avv. Giuseppe Marconi erede in pectore; b) che l'avv. Giuseppe Marconi, divenuto erede della moglie in die mortis, aveva titolo per dedurre le spese in parola; c) che in data 21 febbraio 1994 l'avv. Giuseppe Marconi rinuncio' all'eredita' relitta dalla Romanelli; d) che la dichiarazione di successione fu poi presentata dal coerede Pierfilippo Marconi, figlio della defunta. L'ufficio contesta a quest'ultimo la deducibilita' delle spese di ultima malattia, rilevando che le medesime non furono sostenute da esso Pierfilippo Marconi, figlio ed erede, bensi' dall'avv. Giuseppe Marconi, marito della defunta, e si attiene ad una interpretazione rigorosamente letterale della norma. La tesi dell'ufficio non appare convincente. E' ben vero infatti che l'art. 24 del decreto legislativo n. 346/1990 ammette la deducibilita' delle spese di ultima malattia solo ove sostenute dagli eredi ed esclude pertanto quelle sopportate dal defunto o da terzi, consentire in deduzione dal previgente art. 17 del d.P.R. n. 637/1972. Ma e' altrettanto vero che, secondo l'attuale disciplina, per la deducibilita' e' sufficiente che le spese siano state sostenute anche da uno solo fra i vari coeredi. E tale risulta essere la situazione di specie. Il marito della defunta, avv. Giuseppe Marconi, divenuto incontestabilmente erede in die mortis, aveva sostenuto le spese di ultima malattia ed avrebbe avuto titolo per dedurle in dichiarazione di successione. Della deducibilita' di tali spese puo' comunque avvalersi il ricorrente Pierfilippo Marconi con piena legittimita', visto che le spese erano state in effetti sostenute dal coerede. Le condizioni di legge risulterebbero pertanto rispettate. Senonche' l'ufficio deduce che l'avv. Giuseppe Marconi ha perso la qualita' di erede avendo rinunciato all'eredita' ed invoca in favore della sua tesi il disposto dell'art. 521 c.c. secondo il quale "chi rinuncia all'eredita' e' considerato come se non vi fosse mai stato chiamato". A tal obiezione non infondatamente il ricorrente controdeduce rilevando che, in tal modo, si darebbe esclusivo e discriminante rilievo ad una circostanza meramente temporale: e cioe' al fatto che la rinuncia all'eredita' sia anteriore o successiva alla dichiarazione di successione. Ed infatti l'eredita' non fruirebbe della deduzione delle spese ove la rinuncia dell'erede che le ha sostenute avesse luogo prima della dichiarazione di successione. Queste le concrete conseguenze della interpretazione sostenuta dall'ufficio, tali da evidenziare una grave ed ingiustificata disparita' di trattamento per situazioni sostanzialmente identiche. L'orientamento dell'amministrazione suscita perplessita' ancor piu' giustificate ove si consideri che "la denuncia di successione ed il pagamento della relativa imposta non comportano accettazione tacita dell'eredita', trattandosi di adempimenti fiscali che hanno solo scopo conservativo alla stessa stregua di quelli consentiti al chiamato in base all'art. 460 codice civile, in quanto diretti ad evitare l'applicazione di sanzioni" (Cass. 18 maggio 1995, n. 5463 in Giust. civ. Massim. 1995, n. 1024). Il richiamo alle disposizioni contenute negli artt. 460 e 461 codice civile risulta utile ed illuminante. Com'e' noto infatti il chiamato all'eredita' puo' esercitare azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, compiere atti conservativi di vigilanza e di amministrazione temporanea ed anche procedere, previa autorizzazione giudiziaria, alla vendita di beni insuscettibili di non dispendiosa conservazione (art. 460). Se il chiamato rinuncia all'eredita', le spese sostenute per gli atti suddetti sono a carico della eredita' (art.461). Con riferimento a tali disposizioni si evidenzia una ulteriore situazione normativa di disparita' di trattamento. Infatti le spese sostenute dal chiamato ex art. 460 codice civile restano a carico dell'eredita' (e sono ovviamente deducibili quali elementi passivi della stessa) anche nell'ipotesi di rinuncia del chiamato alla qualita' di erede (art. 461). Per contro, secondo l'interpretazione dell'ufficio oggetto di esame, le spese di ultima malattia sostenute dal successibile non possono essere poste a carico dell'eredita' ne' dedotte dall'asse in caso di rinuncia. Conseguentemente l'eredita' (ed il chiamato unico alla stessa, divenuto tale - come nella specie - a seguito di rinuncia del coerede) non potrebbe dedurre tali spese dall'asse. La disparita' di trattamento che si verrebbe a creare fra le due situazioni non potrebbe essere piu' grave ed odiosa. Nel primo caso infatti si ammette la deduzione di spese sostenute dal chiamato ex art. 460 nell'ambito di iniziative di carattere facoltativo adottate per finalita' di ordine meramente patrimoniale, consistenti nella conservazione dei beni. Nel secondo caso invece si esclude la deducibilita' di spese di ultima malattia, quasi sempre sostenute in base a precisi obblighi normativi di assistenza e comunque in ogni caso in adempimento dl elevati doveri etici e solidaristici nei confronti di persona gravemente malata. Conclusivamente. L'interpretazione che l'ufficio accoglie in tema di deducibilita' delle spese e dell'art. 24 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, non sfugge a fondate censure di legittimita' costituzionale per contrasto: a) col dettato di cui all'art. 3, primo comma della Costituzione giuridico in situazioni sostanzialmente identiche attuata in violazione del canone generale di ragionevolezza; b) col dettato di cui all'art. 53, primo comma della Costituzione risultando omessa ogni concreta valutazione della capacita' contributiva dei cittadini in punto di deduzioni; c) col dettato di cui all'art. 31, primo comma della Costituzione (La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi...) dal momento che proprio in danno di familiari, impegnati - in ossequio alla legge civile e morale - a far fronte ad onerosi obblighi di assistenza verso un congiunto, viene posto in essere un trattamento fiscale ingiustificatamente pregiudizievole e discriminatorio. Il presente giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle menzionate questioni di legittimita' costituzionale. Esso verte infatti sulla legittimita' della pretesa di dedurre dall'asse ereditario le spese di malattia sostenute da un erede che abbia rinunciato alla eredita', legittimita' contestata dall'ufficio in base ad una interpretazione dell'art. 24, del decreto legislativo n. 346/1990 censurata ex adverso come incostituzionale. 2. - Parte ricorrente contesta altresi' l'applicazione che l'ufficio ha dato alla tariffe d'estimo nel caso di specie. A tale proposito va precisato: a) che nella dichiarazione di successione il sig. Pierfilippo Marconi ribadiva la propria intenzione e volonta' di attribuire agli immobili iscritti in catasto il valore risultante dal calcolo tabellare; b) che, nel medesimo atto, l'attuale ricorrente testualmente dichiarava "A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 28 dicembre 1993, n. 568, nell'incertezza di interpretazione della norma, effettua la dichiarazione in base agli estimi catastali in die mortis, ma fa riserva fino da ora di ripetere quanto eventualmente pagato in eccesso ..."; c) che in effetti, nell'analitico dettaglio degli immobili caduti in successione, il sig. Pierfilippo Marconi indicava i valori risultanti in die mortis, mai indicava altresi' le rendite rideterminate a sensi del d.lgs. 28 dicembre 1993, n. 568 e produceva i relativi certificati catastali, e cio' al dichiarato scopo di rendere possibile la corretta applicazione della norma e la ripetizione degli importi liquidati in eccedenza sul dovuto; d) che l'ufficio liquidava i valori relativi agli immobili applicando le rendite catastali vigenti alla data di apertura della successione; e) che il sig. Pierfilippo Marconi ha impugnato la liquidazione sostenendo che gli immobili relitti in successione dovevano essere valutati secondo le piu' favorevoli tariffe d'estimo, cosi' come rideterminate dal d.lgs. 28 dicembre 1993, n. 568 a seguito delle decisioni della commissione censuaria centrale; f) che a tale pretesa si oppone l'amministrazione di aver agito in base alle leggi vigenti; g) che in effetti in base all'art. 1, comma 2 del d.lgs. 28 dicembre 1993, n. 568, le tariffe d'estimo delle unita' immobiliari urbane, rideterminate per effetto delle decisioni della commissione censuaria centrale, si applicano per l'anno 1994, salvo quanto previsto dall'art. 2, comma 1, periodo 4 del d.-l. 23 gennaio 1993, n. 16 (convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75) in ordine all'applicazione delle stesse tariffe dal 1 gennaio 1992; h) che la norma sopra richiamata consente l'applicazione dal 1 gennaio 1992 delle tariffe d'estimo rideterminate ex decreto legislativo n. 568/1993 "ai soli fini delle imposte dirette" e mantiene, per tutti gli altri settori impositivi, la decorrenza 1 gennaio 1994. Tanto premesso, la commissione tributaria prinviciale rileva che la normativa in esame risulta formulata in termini precisi e non equivoci e non consente - allo stato - di riconoscere fondatezza alla domanda di tesi, diretta a contestare la legittimita' della liquidazione impugnata. Senonche' non appare manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalita' della normativa medesima, dedotta dal ricorrente come domanda di ipotesi. La diversa decorrenza disposta per l'applicazione delle nuove tariffe d'estimo determina infatti una ingiustificata disparita' di trattamento in ordine al medesimo fattore impositivo, penalizzando ingiustificatamente il settore dell'imposizione indiretta rispetto a quello dell'imposizione diretta. Tale regime differenziato appare tanto piu' sconcertante ove si consideri che la rettifica dei parametri catastali ha avuto luogo a seguito di decisioni delle apposite commissioni censuarie, ritualmente recepite nell'ordinamento. La discriminazione che ne consegue fra i diversi settori impositivi non risulta in linea col dettato costituzionale di cui all'art. 3, primo comma della Costituzione e sfugge ad ogni giustificazione in base al canone generale di ragionevolezza. Vi e' inoltre contrasto con la regola costituzionale in base alla quale il concorso alle spese pubbliche deve aver luogo in ragione della capacita' contributiva dei soggetti (art. 53, primo comma Cost.). Da tale regola la normativa in esame completamente prescinde in danno dei soggetti passivi della imposizione indiretta. Il presente giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della menzionata questione di legittimita' costituzionale. Esso verte infatti sulla possibilita' di valutare il contesto successorio in oggetto (apertosi in data 5 settembre 1993) sulla base delle piu' favorevoli tariffe d'estimo immobiliare rideterminate dal d.lgs. 28 dicembre 1993, n. 568. Tale possibilita' e' negata dall'ufficio sulla base della normativa in esame - censurata dal ricorrente come costituzionalmente illegittima - che ne consente l'applicazione retroattiva solo per il settore dell'imposizione diretta.