IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
   Ha pronunziato la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  chiamato
 all'udienza  del  15  settembre  1998 instaurato ai sensi degli artt.
 47, 47-ter o.p., 13-ter, legge 82/1991, avente ad oggetto le  istanze
 di  affidamento  in  prova e detenzione domiciliare, nei confronti di
 Conte Salvatore nato a Napoli il 10 maggio 1960;
   Sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza;
                             O s s e r v a
   L'istante risulta titolare di speciale programma di  protezione  ex
 legge 82/1991.
   Con  ordinanza  del  16  luglio  1997  questo tribunale revocava la
 misura della  detenzione  domiciliare  concessa  al  Conte  ai  sensi
 dell'art.  13-ter legge citata.
   Successivamente  il  Conte  ha  formulato istanze di affidamento in
 prova  e  di  detenzione  domiciliare  rispettivamente,  in  data  18
 settembre  1997  quando  era  detenuto a Brescia ed in data 24 luglio
 1997 quando si trovava in localita' protetta non resa nota.
   Pregiudiziale e' la verifica  della  sussistenza  della  competenza
 territoriale  di  questo tribunale relativamente alle istanze per cui
 e' procedimento.
   Gia' con ordinanza del 18 marzo 1998 il tribunale  di  sorveglianza
 di  Roma,  premessa  un'ampia  ricognizione in merito alla evoluzione
 storica della normativa afferente al  tema  che  qui  ci  occupa,  ha
 rilevato,  con  indicazione  pienamente condivisa da questo collegio,
 come, per effetto di  un  consolidato  orientamento  della  Corte  di
 cassazione  debba  reputarsi diritto vivente l'interpretazione che si
 risolve nell'attribuire esclusivamente al tribunale  di  sorveglianza
 di Roma la cognizione nella materia in esame.  Lo stesso tribunale di
 Roma,  con  la medesima ordinanza di rimessione degli atti alla Corte
 costituzionale, ha osservato peraltro:   "La  norma  in  esame,  come
 cristallizzata  in  una  competenza esclusiva per tutto il territorio
 nazionale di un solo tribunale e  giudice  di  sorveglianza,  in  una
 certa  misura  ratione materiae ma soprattutto ratione personae sulla
 base dei soggetti giudicabili, si configura  come  norma  eccezionale
 come  nessun'altra;  sotto  l'aspetto strutturale e tecnico-giuridico
 assolutamente  anomala  e  di  rottura  del  sistema;  priva  di   un
 fondamento  di  ragionevolezza;  clamorosamente  al  di fuori in modo
 singolare  dalle  previsioni  e  dalla  disciplina   dell'ordinamento
 giudiziario  che  regola  numero,  sedi e circoscrizioni territoriali
 degli uffici  giudiziari  e  cosi'  dei  tribunali  e  magistrati  di
 sorveglianza;  introduttiva  di una competenza suscettibile di essere
 modificata da atto non legislativo.
   Sono  le  ragioni   del   contrasto   con   precetti   e   principi
 costituzionali.
   L'esaminata  competenza  territoriale esclusiva del tribunale e del
 magistrato di sorveglianza di Roma costituisce una previsione unica e
 senza precedenti nel nostro ordinamento.
   Un giudice di merito di primo grado - salvo rari casi  d'appello  -
 in materia penale, regolarmente inserito dall'ordinamento giudiziario
 in  una distribuzione territoriale su base distrettuale (tribunale) e
 circondariale o pluricircondariale (magistrato di  sorveglianza)  per
 la  trattazione  di misure attinenti all'esecuzione della pena, delle
 misure  di  sicurezza  e   altro,   previste   dal   codice   penale,
 dall'ordinamento penitenziario e da altre leggi, e preminentemente di
 misure  trattamentali e alternative alla detenzione previste dal capo
 VI, titolo 1, dell'O.P., che  diviene,  nell'applicazione  di  queste
 stesse  misure  nei confronti di una determinata categoria di persone
 giudicabili un giudice unico ed esclusivo  per  tutto  il  territorio
 nazionale.  Cio'  contrasta con piu' norme della Costituzione.  Sotto
 un  primo  profilo,  con  l'art.  102,  comma  1,   che   attribuisce
 l'esercizio  della  funzione  giurisdizionale  a  magistrati ordinari
 istituiti e regolati dalle norme  dell'Ordinamento  giudiziario,  che
 stabilisce  sedi  e circoscrizioni territoriali di ogni ufficio (art.
 5, in relaz. art. 1 ord. giud.).  E l'art. 102 della Costituzione non
 fa richiamo semplicemente alla legge ordinaria, ma  nella  sua  prima
 norma  sulla funzione giurisdizionale, anche di una certa solennita',
 fa richiamo specifico all'ordinamento giudiziario (richiamato  ancora
 dai  successivi  art.  105,  106, 107 e 108 della Costituzione) quale
 legge fondamentale che regola la struttura organica e l'articolazione
 dei  giudici,  operante  a  mezzo  del  Consiglio   Superiore   della
 Magistratura,  organo  di  rilevanza  costituzionale, che ne assicura
 l'applicazione  nel  rispetto  delle  finalita'  di   giustizia,   di
 indipendenza,   di   corretto   esercizio   della  giurisdizione,  di
 efficienza.  Ordinamento giudiziario che non e' stato modificato.  Un
 giudice unico nel  territorio  che  ha  competenza  esclusiva  per  i
 procedimenti  riguardanti  una  certa  categoria  di  giudicabili,  i
 collaboratori  di  giustizia  titolari  di  speciale   programma   di
 protezione,   si   configura   per   cio'   stesso   quale   "giudice
 straordinario", la  cui  istituzione  e'  espressamente  vietata  dal
 secondo  comma  dell'art.   102 della Costituzione.   Il carattere di
 straordinarieta' e' rafforzato ove  si  consideri  che  accanto  alla
 competenza  ratione  personae  c'e'    anche  una,  sia pure sfumata,
 competenza per materia, non  essendo  dubitabile  che  l'applicazione
 delle  misure  alternative  e  trattamentali a detti collaboratori si
 caratterizza per una specifica carenza e una diversita'  di  elementi
 sostanziali;  per la deroga ai limiti di pena (illimitata); la deroga
 a  carattere  generale  alle  "vigenti  disposizioni"   relative   ai
 requisiti  e  ad  ogni altro elemento ordinariamente richiesto per la
 concedibilita' della misura; per la stessa  condizione  del  soggetto
 giudicabile  di  collaborante  esposto  a  rischio  e  con protezione
 speciale  che  qualifica  in  modo  particolare  il   giudizio;   per
 l'intervento  di  merito  della  Commissione  Centrale  attraverso il
 previsto parere obbligatorio e altre indicazioni e determinazioni che
 puo'  inviare  al  giudice.   Sotto certi profili un siffatto giudice
 puo' qualificarsi anche "giudice speciale" essendo spesso il  confine
 molto  tenue  e  incerto,  come  evidenziato dalla maggiore dottrina:
 giudice speciale la cui istituzione e'  parimenti  vietata  dall'art.
 102,  secondo comma della Costituzione, che riconosce soltanto quelli
 gia esistenti per  i  quali  la  VI  disposizione  transitoria  della
 Costituzione  prevedeva una revisione, salvo quelli contemplati dalla
 stessa Costituzione. Ed in effetti v'e'  stata  tutta  una  serie  di
 decisioni  della  Corte  costituzionale  che  ha  fatto  cadere molte
 giurisdizioni  speciali.    Il  divieto  di  istituzione  di  giudici
 straordinari - al pari di quelli speciali - ha carattere assoluto, in
 quanto   viene  a  contraddire  -  assieme  allo  specifico  precetto
 costituzionale - i principi basilari della nostra civilta' giuridica,
 dal generale divieto  di  discriminazioni  alle  regole  proprie  del
 "processo giusto", al rispetto dell'unita' della giurisdizione.
   Non  e'  peraltro  ipotizzabile  che  trattasi  non  di  un giudice
 straordinario o speciale ma di  una  sezione  specializzata  per  una
 determinata  materia; la cui istituzione presso gli organi giudiziari
 ordinari  e'  consentita  dal  secondo  comma  dell'art.  102   della
 Costituzione.  Non  occorrono molte parole per evidenziare l'assoluta
 diversita' sia per ragioni strutturali e ordinamentali che per quelle
 attinenti alla materia.
   Le sezioni specializzate  che  hanno  previsione  legislativa  sono
 proprie  del ramo civile, inserite in un maggiore e ordinario ufficio
 giudiziario, generalmente prive di una normativa che  le  disciplina,
 costituite  da  giudici  di  quell'ufficio  per  la trattazione della
 specifica materia, e non danno luogo a questioni di competenza ma  al
 piu' a questioni di composizione di carattere tabellare.
   In  materia  penale,  l'unica sezione specializzata puo' ravvisarsi
 nelle  sezioni  per  i  reati  ministeriali,  con  sede  distrettuale
 previste  dalla legge costituzionale 16 gennaio 1995, n. 1. Quanto al
 tribunale e magistrato di sorveglianza non  sussistono  gli  elementi
 strutturali,  - organizzativi ne una specialita' di "materia" perche'
 si possa configurare come una sezione specializzata.  I  procedimenti
 nei  confronti  dei collaboratori, pur con alcuni menzionati elementi
 di diversita', non si differenziano dai procedimenti  per  le  stesse
 misure  nei  confronti  degli altri soggetti giudicabili; tant'e' che
 non sono previsti appositi collegi o giudici ne' dalla legge  ne'  in
 sede   tabellare   non   richiedendo  tali  giudizi  una  particolare
 specializzazione.    E  sarebbe  davvero  singolare  configurare   un
 tribunale come sezione specializzata per materia soltanto in funzione
 di  una  competenza  allargata a tutto il territorio nei confronti di
 determinati  soggetti  giudicabili.    Contrasto  della   norma   col
 principio  della  ragionevolezza  della scelta legislativa.  La Corte
 costituzionale   ha   ampiamente    sviluppato    il    tema    della
 incompatibilita' di una norma con i principi costituzionali quando la
 scelta  del  legislatore  sia  priva  di  ragionevolezza  e contrasti
 percio' con la buona tutela dell'interesse protetto, in  questo  caso
 con  il  buon  andamento della giustizia.  Nella scelta che ci occupa
 non e' ravvisabile alcuna ragione che giustifichi  una  deroga  cosi'
 rivoluzionante  e  totalizzante agli ordinari criteri di competenza e
 agli assetti previsti dall'ordinamento  giudiziario.    Esponendo  in
 sintesi,   manca   una   particolare   specificita'  dei  giudici  di
 sorveglianza  di  Roma  perche'  sia  demandato  soltanto  a  loro il
 giudizio sulle misure da irrogare ai collaboratori.   Il  restringere
 la  cognizione  di tali giudizi ad un solo giudice limita l'evolversi
 della giurisprudenza ed elimina i pur produttivi contrasti, con danno
 all'elaborazione  del  diritto  e  quindi  alla  giustizia,  cui   si
 accompagna il rischio di sclerotizzare le prassi procedimentali.
   Puo'  determinare,  piu' o meno inconsapevolmente e indirettamente,
 un particolare centro di potere e  di  rapporti  con  alte  autorita'
 centrali,  con  potenziale lesione della indipendenza e dell'immagine
 del giudice.
   Non realizza una maggiore protezione del  collaboratore  a  rischio
 rispetto   ad   altre   possibili  soluzioni,  neppure  determinando,
 attraverso  la  designazione  di  un  solo  giudice  competente,  una
 apprezzabile  maggiore  difficolta'  di  individuare  il luogo ove il
 collaboratore vive ed e' tenuto. A parte il fatto che ormai  e'  dato
 verificare  che  molti  collaboratori  protetti  conducono  una  vita
 regolare e aperta, in regime  di  misura  alternativa  o  non,  nella
 localita'  di  origine o dove sono stati trasferiti; cosi' come molti
 altri sono ristretti in istituti carcerari  quand'anche  titolari  di
 programmi di protezione.
   E'  allora  esigibile che, tra le tante possibili, venisse adottata
 una scelta adeguata al fine da realizzare, senza intaccare i principi
 fondamentali dell'ordinamento. Dagli elementi sopra indicati, e tanto
 piu' dal loro combinarsi, derivano o possono attendibilmente derivare
 da parte dei giudici diversita' di soluzioni e quindi di  trattamento
 nei  giudizi  e  nell'applicazione  delle  misure rispetto al giudizi
 svolti in un assetto non  "turbato"  dalla  competenza  esclusiva,  e
 rispetto   alle   soluzioni  adottate  senza  turbative  dagli  altri
 tribunali e giudici di sorveglianza. E cio'  sia  nei  confronti  dei
 collaboratori che degli altri condannati.
   Cosa che comporta disparita' di trattamento in violazione dell'art.
 3 della Costituzione.
   Una   ulteriore  situazione  anomala,  collegabile  al  tema  della
 ragionevolezza e della congruita', e' l'orientamento da qualche tempo
 adottato dalla commissione centrale e in progressiva accentuazione di
 fare  espiare  in  carcere  consistenti  periodi  di  pena  anche  ai
 collaboratori con programma di protezione.
   E  cio'  anche in correlazione al noto dibattito che c'e' stato nel
 Paese a seguito di eclatanti inammissibili  comportamenti  tenuti  da
 alcuni   pentiti,   e   sui   trattamenti   "d'oro"   fatti  a  tanti
 collaboratori.
   Ne consegue che, sempre di piu, le misure richieste e  adottate  da
 questo  tribunale e magistrato riguardano collaboratori con programma
 in stato di detenzione carceraria. Anche il presente procedimento per
 l'applicazione   della   detenzione   domiciliare   attiene   a    un
 collaboratore detenuto nel carcere di Alessandria.
   Viene allora da considerare che senso ha che questo tribunale debba
 avere  competenza  a  giudicare i detenuti che trovansi in un carcere
 del Piemonte, delle Venezie, delle Puglie, quando  non  sussiste  una
 ragione di segretezza sul luogo in cui il collaboratore si trova, ne'
 alcuna altra ragione che giustifichi una deroga agli ordinari criteri
 di competenza; ed una deroga al criterio fondamentale che il detenuto
 va  giudicato  dal  magistrato  che  ha  giurisdizione  e esercita la
 sorveglianza sull'istituto carcerario in cui egli si trova, che  puo'
 seguirne    l'osservazione   della   personalita'   e   i   progressi
 trattamentali, che spesso ne ha conoscenza  personale  e  intrattiene
 con  lui  colloqui,  e  quanto altro attiene all'opera sostanziale di
 trattamento  e  risocializzazione.    Elementi  sui  quali  la  Corte
 costituzionale  si  e'  sempre  pronunziata per la loro essenzialita'
 nella funzione rieducativa della pena, dando con le sue pronunzie  un
 indirizzo di continua maggiore evoluzione in questo senso. Tutto cio'
 viene  irrazionalmente  tralasciato e "tradito" dalla norma in esame;
 la quale poteva quanto meno essere congegnata in  modo  da  escludere
 dalla  competenza  territoriale  di questo giudice di Roma coloro che
 fossero detenuti al di fuori della sua giurisdizione, e in  modo  che
 non  fossero  "distolti"  dalla  ordinaria competenza del giudice del
 luogo di detenzione, che e' il suo giudice naturale precostituito per
 legge.
   Ne  consegue,  per  questa   parte,   un   ulteriore   profilo   di
 incostituzionalita'  per  violazione degli artt. 25, secondo comma, e
 27, terzo comma della Costituzione.
   Infine, un rilievo di  grande  importanza  che  inverte  ancora  il
 precetto del giudice naturale precostituito per legge. L'art. 13-ter,
 terzo   comma,   come   interpretato,   attribuisce   la   competenza
 territoriale nei confronti dei collaboratori titolari di programma di
 protezione al giudice di  sorveglianza  del  luogo  ove  ha  sede  la
 commissione centrale.
   Tale  norma,  con  la  sua  formulazione,  e' di per se' inidonea a
 determinare la precostituzione di un giudice "per legge"  e  soltanto
 attraverso la legge.
   La  legge,  invero, non indica il luogo ove ha sede la commissione,
 ne' tale luogo e' desumibile da  altre  disposizioni  di  legge;  ne'
 ancora  alcuna  disposizione di legge dispone che tale sede non possa
 essere cambiata e trasferita altrove. Sicche'  la  legge  non  indica
 quale sia il giudice stabilmente competente per territorio.
   La  commissione  centrale  attualmente  ha di fatto sede a Roma; di
 fatto siede presso il Ministero dell'interno.
   Nulla esclude che di fatto, o per atto amministrativo,  trasferisca
 altrove  la  sua sede, per le piu svariate ragioni che non spetta qui
 esaminare.
   In  tal  caso,  il  giudice  fornito  di  competenza   territoriale
 esclusiva  nei  confronti  dei  collaboratori cesserebbe di essere il
 giudice di Roma passando tale competenza al giudice della nuova sede,
 in ipotesi Firenze, Perugia, e cosi' via.
   Sussiste allora violazione della riserva di legge in materia, e del
 dettato del giudice naturale precostituito per legge.
   E il criterio  di  collegamento  attraverso  cui  si  determina  la
 competenza e' inidoneo in quanto non contiene collegamento su un dato
 stabile,  ma  su  un  dato  variabile.  Peraltro,  che la commissione
 centrale possa mutare sede non e' un'astrazione;  e'  un  accadimento
 umano del tutto possibile. E le ragioni organizzative, gestionali, di
 scelta  politica  per  le  piu' svariate ragioni, come per le ragioni
 dirette a volere proprio trasferire la competenza da  un  giudice  ad
 altro, sono tutte qui irrilevanti.
   Rileva solo che la norma di cui all'art. 13-ter, comma 3 si pone in
 contrasto  con  il  principio  del giudice naturale precostituito per
 legge sancito dall'art. 25 della Costituzione".
   A  tali  articolate  motivazioni  questo collegio ritiene d'aderire
 pienamente, facendole proprie.
   Per queste ragioni il  tribunale  solleva  d'ufficio  questione  di
 legittimita' costituzionale come in dispositivo.