IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 454/1997, proposto dal Consorzio "Azienda Faunistico Venatoria Pietramelina", in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Lietta Calzoni ed elettivamente domiciliata presso la stessa in Perugia, via Bonazzi, 9; Contro l'Amministrazione provinciale di Perugia, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta provinciale, rappresentato e difeso dall'avv. Massimo Minciaroni e presso lo stesso elettivamente domiciliato in Perugia, piazza Italia, 11 (Avvocatura provinciale); E nei confronti di: 1) regione Umbria, non costituita; 2) Giovanna Bebi, Maria Elena Bebi, Maria Eda Fanelli, non costituite, per l'annullamento del provvedimento di rinnovo della concessione per la gestione dell'Azienda Faunistico Venatoria "Pietramelina", emesso dalla provincia il 26 marzo 1997, prot. 7973, limitatamente alla parte in cui determina in un importo pari al quadruplo del reddito dominicale l'indennita' dovuta dal concessionario ai proprietari dei terreni inclusi coattivamente nel territorio dell'Azienda; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione provinciale; Viste le memorie difensive difensive e gli atti tutti del giudizio; Data per letta all'udienza del 30 settembre 1998, la relazione del Presidente Lignani e udite le parti, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: Fatto e diritto 1. - La legge regionale umbra 17 maggio 1994, n. 14, all'art. 20 (Aziende faunistico venatorie e agrituristico venatorie), mod. dall'art. 2 della l.r. 19 luglio 1996, n. 18, dispone: " 1. Le Amministrazioni provinciali (...) rilasciano concessioni per l'istituzione di aziende faunistico venatorie e di aziende agrituristico venatorie, di cui all'art. 16 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (...). " 2. L'estensione delle singole aziende faunistico venatorie non puo' essere inferiore ad ha 300 (...). " 2-bis. Le aziende faunistico-venatorie possono essere costituite, nei casi in cui dispongano comunque della superficie individuata al comma 2, anche quando il consenso dei proprietari e conduttori non sia inferiore al 95 per cento della superficie totale. Nei territori inclusi, corrispondenti all'eventuale massimo 5 per cento residuo, con il divieto assoluto di caccia operano le garanzie e le procedure di rimborso dei danneggiamenti arrecati dalla fauna selvatica alla produzione agricola di cui alla legge regionale vigente; gli oneri derivanti sono a carico dell'azienda. Le Province stabiliscono, altresi, l'entita' e le modalita' di pagamento dell'indennita' che il titolare della concessione deve corrispondere ai proprietari dei terreni inclusi senza il loro consenso entro il 31 gennaio di ciascun anno, nella misura di 4 volte il reddito dominicale. Il mancato rispetto di tali termini comporta la decadenza del provvediinento stesso. "3-9 (Omissis)". 2. - Il 26 marzo 1997 il consorzio ricorrente ha ottenuto dalla provincia di Perugia il rinnovo (fino al 31 dicembre 2000) della concessione dell'Azienda faunistico venatoria "Pietramelina". In questa occasione e' stata applicata, per la prima volta, la nuova disposizione introdotta dalla l.r. n. 18 del 1996, vale a dire il comma 2-bis sopra riportato; in particolare e stata determinata in L. 2.472.144 annue l'indennita' dovuta alle signore Giovanna Bebi, Maria Elena Bebi e Fanelli Maria Eda, quale comproprietarie di terreni inclusi senza consenso nel territorio dell'Azienda. 3. - Il Consorzio impugna il provvedimento provinciale. limitatamente alla parte relativa alla determinazione dell'indennita'. In sintesi, il consorzio sostiene che un'indennita' pari al quadruplo del reddito dominicale e sproporzionata ed eccessivamente gravosa per il concessionario, tenuto conto che quest'ultimo non puo' esercitare la caccia nei terreni inclusi invito domino e che l'inclusione non comporta per il proprietario oneri o limiti di godimento, salvo quelli inerenti alla protezione della fauna selvatica. In subordine. il ricorrente prospetta, con gli stessi argomenti, una questione di legittimita' costituzionale. 4. - Resiste al ricorso l'Amministrazione provinciale, deducendo in primo luogo che il suo provvedimento e' pienamente conforme alla legge regionale, la quale del resto non lascia alcun margine di discrezionalita': non sono dunque ipotizzablii vizi di violazione di legge o di eccesso di potere; e, in secondo luogo, che non sono fondate le censure di costituzionalita' rivolte contro la legge. Le controinteressate proprietarie dei terreni, alle quali il ricorso appare ritualmente notificato, non si sono costituite. Non si e' costituita neppure la regione Umbria, pure indicata come controparte nell'epigrafe del ricorso. Peraltro i due originali di notifica del ricorso, depositati in segreteria nei termini di legge, non recano alcuna attestazione di notifica nei confronti della regione. La parte ricorrente ha prodotto, nell'imminenza della discussione, un attestato dell'ufficio notifiche. Si potrebbe dubitare della tempestivita' e della ritualita' di quest'ultima produzione; tuttavia il collegio ritiene superfluo approfondire la questione, giacche' la regione non e' controparte necessaria o comunque parte in senso sostanziale, ne' come autorita' emanante (ed invero non vengono impugnati provvedimenti da lei emanati) ne' come controinteressata (nessun vantaggio deriva all'amministrazione regionale dall'atto impugnato). La notifica nei suoi confronti era dunque ultronea, ed e' percio' inutile dibattere se sia stata eseguita validamente o meno. 5. - Nel merito, il collegio osserva che il provvedimento impugnato appare esente da qualsivoglia di legittimita'. Se e' vero che il comma 2-bis attribuisce alla provincia il potere di stabilire l'entita' e le modalita' dell'indennizzo (il che qualifica il relativo atto come provvedimento autoritativo suscettibile d'impugnazione davanti al giudice amministrativo) e' anche vero che il disposto della legge regionale appare interamente vincolante e non lascia margini alla discrezionalita'. In concreto la Provincia non deve e non puo' far altro che accertare quale sia il reddito dominicale dei terreni inclusi e moltiplicarlo per quattro. ll risultato e l'importo annuo dell'indennita' dovuta dal concessionario. E cosi e' stato fatto nel caso in esame. Cio' rende rilevante e non eludibile la questione di costituzionalita' prospettata dalla ricorrente. 6. - Il collegio ritiene che la questione di costituzionalita' sia, per di piu', non manifestamente infondata. 6.1. - Come dedotto dalla ricorrente, il vincolo imposto coattivamente ai proprietari dei terreni inclusi comporta oneri di minima rilevanza. Non vi sono altri vincoli che quelli inerenti alla protezione della fauna selvatica; il proprietario per il resto gode e sfrutta liberamente il suo fondo. E' vietato a tutti l'esercizio della caccia: per il proprietario questo e' piu' un vantaggio che un sacrificio, giacche' se fosse interessato ad esercitare in proprio la caccia si associerebbe all'azienda faunistico-venatoria, mentre il divieto opponibile a qualsivoglia terzo costituisce una vantaggiosa deroga all'art. 842 cod. civ., che e' in genere percepito dai proprietari dei fondi come una odiosa imposizione, combattuta - sinora vanamente - con iniziative referendarie ed eccezioni di costituzionalita'. Per l'ipotesi che la fauna selvatica arrechi danni al fondo o alle co1ture la norma regionale in parola pone a carico del concessionario il risarcimento del danno; ed anche questa disposizione - la cui costituzionalita' non e' contestata dalla ricorrente - e' una deroga vantaggiosa alle regole generali, in base alle quali ordinariamente nessuno risponde per i danni causati dai selvatici, cacciabili o meno. 6.2. - In questa prospettiva, l'indennita' annua, nella misura determinata dalla legge regionale, appare, se non del tutto ingiustificata, comunque sproporzionata. Basta considerare che il reddito dominicale costituisce, ai fini fiscali, il reddito presunto del fondo. Ora, come si e' gia' detto, l'inclusione di un terreno nell'azienda faunistico-venatoria non ne diminuisce, di per se', la redditivita', ed anzi, come gia' detto, puo' risolversi in un sia pur limitato vantaggio. Sicche' l'indennita' in questione si configura come un vero e proprio arricchimento, per di piu' - verosimilmente - esente da imposte, se e' vero che queste vengono liquidate sul reddito catastale e non su quello effettivo. 6.3. - La parte ricorrente asserisce che l'indennita' in discorso risulta piu' elevata del canone legale (c.d. equo) dovuto dall'affittuario coltivatore diretto. Se questo e' vero, l'irrazionalita' appare ancor piu' evidente: il proprietario del fondo dato in affitto non ne ritrae altra utilita' e altro reddito che il canone legale; il proprietario del fondo incluso in un'azienda faunistica puo' sfruttarlo redditiziamente a suo piacimento, e in piu' riceve l'indennita' in parola, oltre all'eventuale risarcimento del danno. 6.4. - Ma anche prescindendo dal confronto con l'equo canone degli affitti agrari, resta evidente lo squilibrio fra il vincolo imposto al proprietario e il corrispettivo imposto al concessionario dell'azienda faunistico venatoria. La parte ricorrente si spinge ad affermare che razionalmente si dovrebbe escludere la spettanza di qualsivoglia indennita', cosi' come nessuna indennita' spetta ai proprietari di terreni gravati dai vincoli ambientali (legge n. 1497/1939). Ma e' noto che in quest'ultimo caso la Corte costituzionale (sentenza n. 55 del 1968) ha escluso la spettanza dell'indennita' con l'argomento che si tratta di vincoli inerenti a caratteristiche oggettive dell'immobile, che lo rendono intrinsecamente suscettibile di determinati usi e non di altri; e non sembra essere questa la situazione dei terreni inclusi in un'azienda faunistico-venatoria. Se, dunque, non si puo' negare una giustificazione razionale all'imposizione di un'indennita', vi e' comunque l'esigenza che quest'ultima sia proporzionata, tale cioe' da non risolversi in un ingiustificato arricchimento ne' in una ingiustificata lesione per una parte e per l'altra. 6.5. - Ben prima della solenne affermazione del principio di uguaglianza nell'art. 3 della Costituzione, il principio del razionale equilibrio nei rapporti patrimoniali e, da sempre, uno dei fondamenti del diritto privato. Unicuique suum: niente di meno, ma anche niente di piu'. Questo principio ispira, tra l'altro, le disposizioni del codice civile in materia di rapporti di vicinato, di servitu' coattive, di acquisto della proprieta' per accessione e via dicendo. Oltre che all'art. 3 della Costituzione, si puo' fare riferimento anche agli articoli 42, secondo comma, e 44, primo comma, ed all'inerente principio della funzione sociale della proprieta'. Quest'ultimo principio comporta, fra l'altro, la necessita' che sia mantenuto entro i limiti dell'equo e del ragionevole il corrispettivo, o indennizzo, dovuto al titolare di una proprieta' parzialmente incisa per il soddisfacimento di interessi stimati prevalenti dal legislatore. 7. - Conclusivamente il collegio ritiene di dover sollevare davanti alla Corte costituzionale la questione sopra delineata che appare, per le ragioni esposte, rilevante e non manifestamente infondata.