ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 33, comma 2,
 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa  il  18
 luglio  1997 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico
 di Mohamed Zineddine, iscritta al n. 665 del registro ordinanze  1997
 e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima
 serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  25  marzo 1998 il giudice
 relatore Cesare Mirabelli.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ordinanza emessa  il  18  luglio  1997  nel  corso  di  un
 dibattimento  nel  quale si procedeva con l'imputazione di millantato
 credito, la  seconda  sezione  penale  del  Tribunale  di  Torino  ha
 sollevato,   in   riferimento   all'art.   25,   primo  comma,  della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  33
 del  codice  di procedura penale, che, disciplinando le condizioni di
 capacita'  del  giudice,  dispone,  al  secondo  comma,  che  non  si
 considerano  attinenti  alla  capacita'  del giudice, tra l'altro, le
 disposizioni sull'assegnazione dei processi alle sezioni degli uffici
 giudiziari.
   Il giudice rimettente rileva  che,  nel  Tribunale  di  Torino,  la
 cognizione   dei   reati   contro  la  pubblica  amministrazione  era
 attribuita, secondo i criteri di ripartizione degli  affari  previsti
 dalle  tabelle  approvate dal Consiglio superiore della magistratura,
 sia alla prima che alla seconda sezione  penale.  L'assegnazione  del
 procedimento  alla  prima sezione era giustificata dal maggior carico
 di lavoro che gravava sulla seconda sezione, cui era attribuito anche
 il riesame delle ordinanze relative a misure coercitive,  e  che  non
 avrebbe  consentito  la sollecita definizione del giudizio. Tuttavia,
 ad avviso del giudice  rimettente,  l'assegnazione  del  procedimento
 alla prima sezione era da porre anche in relazione alla destinazione,
 per svolgere le funzioni di pubblico ministero presso quella sezione,
 dello   stesso   magistrato  che  aveva  gia'  trattato  il  medesimo
 procedimento nella fase delle  indagini  preliminari.  Sarebbe  stata
 cosi'  privilegiata  l'esigenza  - prevista dalle norme di attuazione
 del codice di procedura  penale  per  la  designazione  del  pubblico
 ministero,  ma  non  per la scelta del giudice - che alla trattazione
 del procedimento provveda, ove  possibile,  per  tutte  le  fasi  del
 relativo  grado  di giudizio, il magistrato originariamente designato
 (art. 3 delle norme approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989,
 n. 271). Successivamente, intervenuta una  variazione  tabellare,  il
 procedimento,  prima  che  venisse  aperto il dibattimento, era stato
 assegnato alla seconda sezione, anziche' alla terza, alla  quale  era
 egualmente  attribuita  la  cognizione  dei  reati contro la pubblica
 amministrazione. Ad avviso del giudice rimettente,  anche  in  questo
 caso la scelta sarebbe da porre in relazione alla
  destinazione  a quella sezione del magistrato del pubblico ministero
 che aveva in precedenza trattato lo stesso  procedimento.
   Il giudice rimettente ricorda che la  necessita'  di  osservare  il
 principio  costituzionale  del  giudice  naturale,  precostituito per
 legge, e' stata richiamata dal Consiglio superiore della magistratura
 nella  circolare  sulla  formazione  delle   tabelle   degli   uffici
 giudiziari.   Il Consiglio ha difatti escluso sistemi discrezionali e
 personalistici di distribuzione degli affari, mentre ha affermato che
 deve essere impedita la scelta del giudice ad  opera  delle  parti  e
 che,  se una stessa materia e' attribuita a piu' sezioni, deve essere
 indicato il criterio di ripartizione degli affari tra le sezioni.
   Il  giudice  rimettente  ritiene  che  il  sistema  applicato   nel
 Tribunale  di Torino per l'assegnazione dei procedimenti alle sezioni
 sarebbe in contrasto con il principio di  precostituzione  per  legge
 del  giudice  (art.  25,  primo  comma,  Cost.).  Ma  la disposizione
 denunciata, stabilendo che non attengono alla capacita'  del  giudice
 le   disposizioni   sull'assegnazione   dei  processi  alle  sezioni,
 impedirebbe di verificare se il procedimento sia stato  assegnato  in
 contrasto  con  il  principio  costituzionale  di precostituzione del
 giudice e di sanzionare con la nullita', prevista per  la  violazione
 delle  disposizioni  concernenti  la capacita' del giudice (art. 178,
 comma 1, lettera a), cod. proc.  pen.),  anche  l'inosservanza  delle
 norme  che  debbono presiedere alla distribuzione dei processi tra le
 diverse sezioni di un medesimo ufficio giudiziario.
   2. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione di legittimita' costituzionale  sia
 dichiarata non fondata.
   La   norma  denunciata  -  stabilendo  che  le  disposizioni  sulla
 destinazione del giudice agli uffici e alle sezioni, sulla formazione
 dei collegi e sull'assegnazione dei processi  a  sezioni,  collegi  e
 giudici,  non  attengono  alla  capacita'  del  giudice - esclude che
 eventuali  violazioni  determinino  una  nullita'   assoluta,   cosi'
 evitando   che   vicende   amministrative  ed  irregolarita'  formali
 incidano, in modo spesso imprevedibile, sulla validita' dei processi.
 Cio' non significa che non debbano essere preordinate le tabelle  per
 la ripartizione in sezioni degli uffici giudiziari, per la formazione
 dei  collegi  giudicanti  e  per  l'assegnazione degli affari penali,
 cosi' come dispongono gli  artt.    7-bis  e  7-ter  dell'ordinamento
 giudiziario  (regio  decreto  30 gennaio 1941, n. 12), aggiunti dagli
 artt.  3  e  4  delle  norme   per   l'adeguamento   dell'ordinamento
 giudiziario  al  nuovo  processo  penale  (approvate  con  d.P.R.  22
 settembre 1988, n. 449). Queste  attivita'  non  assumono,  tuttavia,
 diretto  rilievo  processuale, giacche' la sanzione della nullita' e'
 riservata all'inosservanza delle disposizioni che dettano  discipline
 prive  di  rilevanti  momenti  di  discrezionalita'.  Tuttavia, se si
 verificano irregolarita' formali che fanno escludere, in concreto, la
 precostituzione del giudice o che sono sintomo  di  una  composizione
 dell'organo   giudicante   mirata  in  relazione  ad  un  particolare
 processo, opererebbe  direttamente  l'art.  25,  primo  comma,  della
 Costituzione.    Difatti,  ad  avviso dell'Avvocatura, il concetto di
 capacita'  potrebbe  essere  ricostruito,  ai  fini  della   nullita'
 prevista  dall'art.  178  cod.  proc.  pen.,  comprendendo in esso il
 requisito della precostituzione  del  giudice,  imposto  dalla  norma
 costituzionale.  Se  in  concreto  viene  meno la precostituzione del
 giudice, sarebbe violata la garanzia dell'imparzialita'  e,  mancando
 una  delle  condizioni  di capacita' del giudice, non troverebbe piu'
 applicazione  l'art.  33,  comma  2,  cod.  proc.  pen.   Ad   avviso
 dell'Avvocatura,   il  giudice  rimettente  avrebbe,  dunque,  potuto
 verificare  la  compatibilita'  del provvedimento di assegnazione del
 processo direttamente con l'art. 25, primo comma, della Costituzione,
 senza incontrare alcun ostacolo nella disposizione denunciata.
   L'Avvocatura rileva, infine,  che  l'ordinanza  di  rimessione  non
 denuncia  il contrasto del provvedimento di assegnazione del processo
 con la garanzia di imparzialita' del giudice, ma afferma piuttosto la
 scarsa ragionevolezza dei criteri che hanno ispirato il provvedimento
 di assegnazione; criteri che  aggraverebbero  ingiustificatamente  il
 carico  di  lavoro  di una sezione del tribunale rispetto alle altre.
 Ma questo non determinerebbe alcun  contrasto  con  l'art.  25  della
 Costituzione.
                         Considerato in diritto
   1.  -  La  questione  di legittimita' costituzionale investe l'art.
 33, comma 2, del codice di procedura penale. Il Tribunale  di  Torino
 ritiene  che  questa  disposizione, stabilendo che non si considerano
 attinenti   alla    capacita'    del    giudice    le    disposizioni
 sull'assegnazione  dei processi alle sezioni degli uffici giudiziari,
 possa essere in contrasto con il principio costituzionale del giudice
 naturale precostituito per  legge  (art.  25,  primo  comma,  Cost.),
 giacche'  consentirebbe  l'applicazione  di  criteri  discrezionali e
 personalistici di distribuzione degli affari e non impedirebbe che la
 scelta del magistrato possa essere determinata dalle parti, senza che
 operi la nullita' assoluta, rilevabile
  d'ufficio in ogni stato  e  grado  del  procedimento,  prevista  per
 l'inosservanza  delle  disposizioni  concernenti  le    condizioni di
 capacita'  del  giudice  e  il  numero  dei  giudici  necessario  per
 costituire  i  collegi  (artt.   178, comma 1,  lettera a) e 179 cod.
 proc. pen.).
   2. - L'art. 25, primo comma, della Costituzione, stabilendo, tra  i
 diritti  dei  cittadini, che nessuno puo' essere distolto dal giudice
 naturale precostituito per legge, attribuisce ad essi la garanzia che
 la  competenza  degli  organi  giudiziari  e'   sottratta   ad   ogni
 possibilita' di arbitrio. Al fine di assicurarne la imparzialita', e'
 escluso  che  il giudice possa essere designato tanto dal legislatore
 con norme singolari che deroghino a regole generali quanto  da  altri
 soggetti  con  atti loro rimessi, dopo che la controversia e' insorta
 (sentenze n. 56 del 1967 e n. 460 del 1994; ordinanze n. 161 del 1992
 e n.  176 del 1998).
   Se il giudizio  non  puo'  essere  sottratto  alla  cognizione  del
 giudice  naturale, individuato secondo regole generali prefissate dal
 legislatore,  ancor  prima  il  medesimo  giudizio  non  puo'  essere
 attribuito  alla  cognizione  di un giudice costituito o designato in
 relazione  ad  una  determinata  controversia:  "precostituzione  del
 giudice  e  discrezionalita'  nella  sua  concreta  designazione sono
 criteri fra i quali  non  si  ravvisa  possibile  una  conciliazione"
 (sentenza  n.  88  del 1962). L'individuazione dell'organo giudicante
 deve,  dunque,  rispondere  a  regole  e  criteri  che  escludano  la
 possibilita'     di     arbitrio     anche    nella    specificazione
 dell'articolazione interna dell'ufficio cui sia rimesso il  giudizio,
 giacche'  pure  nell'organizzazione  della  giurisdizione deve essere
 manifesta la garanzia di imparzialita' (v. sentenza n. 272 del 1998).
   3. - Le norme per  l'adeguamento  dell'ordinamento  giudiziario  al
 nuovo  processo  penale  (approvate  con d.P.R. 22 settembre 1988, n.
 449) hanno inteso  dare  risposta  alle  esigenze  prima  richiamate,
 mediante  la disciplina della predisposizione di tabelle degli uffici
 giudicanti  ripartiti  in  sezioni,  della  destinazione  dei singoli
 magistrati ad esse, della  formazione  dei  collegi  giudicanti,  dei
 criteri  per l'assegnazione degli affari penali e per la sostituzione
 dei giudici impediti (artt.  3 e 4).
   Il giudice rimettente non pone in discussione  queste  regole.  Ma,
 assumendo che ne e' stata fatta un'applicazione distorta ed orientata
 alla  scelta  della sezione giudicante in relazione al magistrato del
 pubblico  ministero  destinato  alla  trattazione  del  procedimento,
 vorrebbe  che  anche  i  criteri  di  distribuzione  delle  cause tra
 giudici,   egualmente   abilitati   all'esercizio   della    funzione
 giurisdizionale, rientrassero tra le condizioni della loro capacita'.
   4. - La questione, cosi' prospettata, non e' fondata.
   L'art.  33,  comma  1, del codice di procedura penale identifica la
 capacita' del giudice con l'idoneita' a rendere il giudizio:  vale  a
 dire con la riferibilita' del giudizio ad organi titolari, secondo il
 disegno dell'ordinamento giudiziario, della funzione giurisdizionale,
 quindi  anche  nella  composizione  prevista  per  la loro formazione
 collegiale.  I criteri di assegnazione degli  affari  nell'ambito  di
 tali  organi esulano dalla nozione generale della loro capacita' che,
 riguardando la  titolarita'  della  funzione,  non  comprende  quanto
 attiene  all'esercizio  della  funzione  stessa,  in  relazione  alla
 organizzazione interna all'organo che ne e' titolare. La ripartizione
 degli  affari  nell'ambito   dell'organo   competente   deve   essere
 effettuata   secondo  le  regole  proprie  dell'organizzazione  della
 giurisdizione.  Nel  disegno  normativo,  e'   dunque   evidente   la
 differenza tra le condizioni di capacita' del giudice ed i criteri di
 assegnazione  degli  affari.  L'art.  33  cod. proc. pen., mantenendo
 distinti questi due profili, non introduce,  al  secondo  comma,  una
 eccezione  alla  regola generale relativa alla capacita' del giudice,
 ma ne definisce i contorni rendendone espliciti  il  contenuto  ed  i
 limiti.
   5. - Il principio costituzionale di precostituzione del giudice non
 implica  che  i  criteri  di  assegnazione  dei  singoli procedimenti
 nell'ambito dell'ufficio giudiziario competente, pur  dovendo  essere
 obiettivi,    predeterminati    o    comunque   verificabili,   siano
 necessariamente configurati come elementi costitutivi della  generale
 capacita'  del  giudice, alla cui carenza il legislatore ha collegato
 la nullita' degli atti. Questo non significa che  la  violazione  dei
 criteri  di  assegnazione degli affari sia priva di rilievo e che non
 vi siano, o che non debbano essere  prefigurati,  appropriati  rimedi
 dei  quali  le  parti possano avvalersi. Cio' che, del resto, ammette
 l'Avvocatura nel caso in cui in concreto la violazione  delle  regole
 leda direttamente garanzie costituzionali.
   Ma  quando,  come nel caso ora in esame, si assume che vi sia stata
 una applicazione distorta delle regole dirette  a  rendere  effettive
 quelle  garanzie,  non e' su tale situazione di fatto che puo' essere
 fondata una valutazione di illegittimita' costituzionale della  norma
 (tra  le  molte, sentenze n. 40 del 1998 e n. 175 del 1997; ordinanza
 n. 255 del 1995).