ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 322-bis del
 codice di procedura penale,  promosso  con  ordinanza  emessa  il  24
 dicembre  1997  dal  Tribunale  di  Firenze nel procedimento penale a
 carico di P.F. ed altro, iscritta al n.  98  del  registro  ordinanze
 1998  e  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9,
 prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Udito nella camera di consiglio del 30 settembre  1998  il  giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Firenze,  adito  quale giudice di
 appello  avverso  i  provvedimenti  cautelari  reali,  ha   sollevato
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 322-bis del codice
 di procedura penale, "nella parte in cui non prevede che le parti ivi
 indicate  possano  proporre  appello  anche  contro  le  ordinanze in
 materia di sequestro conservativo" in riferimento agli artt. 3  e  24
 della Costituzione;
     che  il  rimettente premette che il pubblico ministero, a seguito
 del rigetto di un'istanza di sequestro conservativo dei beni mobili e
 immobili di due imputati, presentata  ai  sensi  degli  artt.  316  e
 seguenti   cod.  proc.  pen.,  aveva  proposto  appello  contro  tale
 provvedimento,  eccependo  in  subordine,  ove  il  tribunale  avesse
 ritenuto  inammissibile  il  gravame, l'illegittimita' costituzionale
 dell'art. 322-bis cod.  proc. pen;
     che  il giudice a quo ritenuto di non poter addivenire, stante il
 principio  di  tassativita'  dei  mezzi  di  impugnazione,   ad   una
 interpretazione  estensiva  della  disciplina  delle  impugnazioni in
 materia  di  sequestro  conservativo,  ritiene   non   manifestamente
 infondata  la  questione  di costituzionalita' della disciplina sopra
 indicata, richiamandosi, in particolare, ai principi  espressi  nella
 sentenza   n.   253   del  1994,  con  cui  la  Corte  ha  dichiarato
 l'illegittimita' costituzionale dell'art.   669-terdecies cod.  proc.
 civ.,  nella  parte in cui non ammette il reclamo avverso l'ordinanza
 con cui e' stata  rigettata  la  domanda  di  sequestro  conservativo
 proposta nel processo civile;
     che, in riferimento all'art. 3 Cost., ad avviso del rimettente la
 mancata  previsione  nel  procedimento penale dell'appello avverso il
 provvedimento di diniego del  sequestro  conservativo  determinerebbe
 una  ingiustificata disparita' di trattamento tra il destinatario del
 provvedimento di sequestro, che ha la facolta' di chiedere il riesame
 a norma dell'art. 318 cod. proc. pen., e il pubblico  ministero,  che
 rimane  privo  di  tutela a fronte di un provvedimento di rigetto del
 sequestro da lui richiesto;
     che non sussisterebbero del resto plausibili ragioni del  diverso
 trattamento  riservato  in  tema  di impugnazioni al destinatario del
 provvedimento che dispone il sequestro  conservativo  e  al  pubblico
 ministero,  non  essendo  ravvisabile nella disciplina che abilita il
 pubblico  ministero  a  chiedere  il  sequestro  conservativo  quella
 "disparita' delle condizioni materiali di partenza", richiamata dalla
 sentenza  n.  253 del 1994 come presupposto che potrebbe giustificare
 un trattamento differenziato;
     che  ad  avviso  del   rimettente   la   simmetrica   equivalenza
 riconosciuta   nel   processo   civile   nella  materia  de  qua  tra
 attore-ricorrente e convenuto-resistente in caso di accoglimento o di
 rigetto della domanda di sequestro conservativo  dovrebbe  riproporsi
 nel processo penale nei confronti delle posizioni dell'imputato e del
 pubblico  ministero  in  caso  di  accoglimento  o  di  rigetto della
 richiesta della misura cautelare;
     che la mancata previsione  dell'appello  del  pubblico  ministero
 avverso il provvedimento di diniego del sequestro conservativo appare
 al  giudice  a  quo lesiva del principio costituzionale che impone di
 garantire alle parti un "giusto processo" con particolare riferimento
 all'art.  24  Cost.,  in  quanto  la  diversita'  di  disciplina  tra
 sequestro  conservativo  e preventivo che si e' determinata a seguito
 dell'introduzione  dell'art.  322-bis  cod.  proc.  pen.  non   trova
 ragionevole     giustificazione,     ed    e'    anzi    contraddetta
 dall'attribuzione al pubblico ministero della "potesta'" di  chiedere
 la misura cautelare senza che poi gli venga assicurata l'effettivita'
 della tutela giurisdizionale;
     che,   infine,  il  rimettente  rileva  che  una  disciplina  che
 assicurasse "in maniera  uniforme  i  requisiti  minimi  imposti  dal
 sistema  di  garanzie  costituito  dagli  artt.  3  e  24  Cost." con
 riferimento alla posizione  delle  parti  nell'esercizio  dei  propri
 diritti, dovrebbe necessariamente prevedere l'estensione dell'appello
 avverso i provvedimenti in materia di sequestro conservativo a favore
 di tutte le parti del processo.
   Considerato  - per quanto concerne la censura relativa alla dedotta
 sperequazione tra la posizione dell'imputato, cui e' riconosciuta  la
 facolta'  di  proporre  reclamo  avverso  l'ordinanza  che dispone il
 sequestro conservativo, e quella del pubblico  ministero,  privo  del
 potere   di  impugnare  il  provvedimento  di  diniego  della  misura
 cautelare - questa Corte ha  avuto  occasione  di  affermare  in  via
 generale  che  la  diversita'  dei  poteri  spettanti  in  materia di
 impugnazioni all'imputato e al  pubblico  ministero  e'  giustificata
 dalla differente garanzia rispettivamente loro assicurata dagli artt.
 24  e 112 della Costituzione (sentenza n. 98 del 1994); che il potere
 di   impugnazione   del   pubblico    ministero    non    costituisce
 estrinsecazione   necessaria   dei   poteri   inerenti  all'esercizio
 dell'azione penale (sentenza n. 280 del 1995); che il principio della
 parita' tra accusa e difesa non comporta necessariamente  l'identita'
 tra  i  poteri  processuali  del  pubblico  ministero e dell'imputato
 (sentenza n. 363 del 1991, con particolare riferimento  alla  mancata
 previsione dei poteri di impugnazione in capo al pubblico ministero);
     che  la  peculiarita' della posizione del pubblico ministero e la
 piena autonomia del sistema  processuale  penale  rispetto  a  quello
 civile rendono ininfluente il richiamo alla sentenza n. 253 del 1994,
 in  quanto  il  difetto  di  simmetria  tra  istituti in qualche modo
 analoghi dell'uno e dell'altro procedimento non costituisce,  di  per
 se',  indice  di  irragionevolezza  o  di violazione del principio di
 eguaglianza (v. da ultimo sentenze n. 326 del 1997 e nn. 51 e 53  del
 1998);
     che,  infine,  dal confronto tra la disciplina prevista dall'art.
 322-bis cod. proc.  pen.,  che  riconosce  sia  all'imputato  che  al
 pubblico   ministero  la  facolta'  di  proporre  appello  contro  le
 ordinanze in materia di sequestro preventivo, e quella  sottoposta  a
 scrutinio  di  legittimita'  costituzionale  a  causa  della  mancata
 previsione in capo al  pubblico  ministero  del  potere  di  proporre
 appello   avverso   il   provvedimento   di   diniego  del  sequestro
 conservativo, non  puo'  desumersi  alcuna  violazione  dell'art.  24
 Cost.:  e'  infatti  del  tutto  ragionevole  e plausibile che l'art.
 322-bis cod. proc.  pen.  riconosca  il  potere  di  impugnazione  al
 pubblico  ministero,  in quanto il sequestro preventivo persegue fini
 pubblicistici volti alla prevenzione dei reati (v.  sentenza  n.  334
 del  1994),  mentre  il  sequestro conservativo di cui al primo comma
 dell'art. 316 cod. proc. pen. e' finalizzato  alla  soddisfazione  di
 interessi patrimoniali, sia pure facenti capo allo Stato;
     che,   pertanto,   la   questione  va  dichiarata  manifestamente
 infondata.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.