ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 21, primo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento), promosso con ordinanza emessa l'11 marzo 1998 dal pretore di Grosseto nel procedimento penale a carico di Angelo Ercolanoni ed altro, iscritta al n. 344 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1998. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri. Udito nella camera di consiglio dell'11 novembre 1998 il giudice relatore Cesare Mirabelli. Ritenuto che, con ordinanza emessa l'11 marzo 1998 nel corso di un procedimento penale promosso per essere stati effettuati scarichi di acque di lavorazione provenienti da insediamento produttivo in assenza della prescritta autorizzazione, il pretore di Grosseto ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 21, primo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento); che la norma denunciata punisce con la sanzione penale dell'arresto o dell'ammenda chiunque apre o comunque effettua nuovi scarichi nelle acque, sul suolo o nel sottosuolo, senza aver richiesto la prescritta autorizzazione; mentre l'esercizio di uno scarico che superi i parametri di accettabilita' e' punito, dal terzo comma dello stesso art. 21 (come risultante dalla modifica introdotta dall'art. 3 del d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, convertito, con modificazioni, nella legge 17 maggio 1995, n. 172), con la sola sanzione amministrativa ovvero con la pena dell'ammenda o dell'arresto, a seconda che si tratti di scarichi provenienti da insediamenti civili e da pubbliche fognature o provenienti da insediamenti produttivi; che, ad avviso del giudice rimettente, la lesione del bene tutelato, che puo' derivare dal mancato rispetto dei limiti tabellari di accettabilita' degli scarichi, puo' essere molto superiore alla concreta lesione derivante dalla sola mancata richiesta di autorizzazione allo scarico, la quale costituisce una violazione puramente formale se lo scarico non autorizzato e' conforme alle prescrizioni tabellari di accettabilita'; punire con sanzione penale quest'ultima condotta e con sanzione amministrativa il superamento dei limiti tabellari determinerebbe una disparita' di trattamento e la violazione del principio di ragionevolezza, che deve caratterizzare la discrezionalita' del legislatore anche nelle sue scelte punitive; che il giudice rimettente prospetta, con l'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale, l'inquadramento della mancata richiesta di autorizzazione allo scarico tra gli illeciti amministrativi, limitando l'applicabilita' della sanzione penale (prevista dall'art. 21, terzo comma, della legge n. 319 del 1976) alle sole ipotesi di effettivo superamento, nello scarico, dei parametri di accettabilita'; che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata. Considerato che le norme per la tutela delle acque dall'inquinamento prevedono l'omissione della richiesta di autorizzazione per l'apertura di uno scarico come figura di illecito diversa dal superamento, negli scarichi, dei parametri di accettabilita', sanzionando distintamente le due diverse ed autonome condotte, le quali possono dar luogo ad un concorso di illeciti; che appartiene alla discrezionalita' del legislatore, esercitata nei limiti della ragionevolezza, la configurazione dei reati e la previsione delle relative sanzioni (sentenze n. 370 del 1996 e n. 84 del 1997; ordinanza n. 456 del 1997). La diversa quantificazione delle sanzioni per l'omessa richiesta di autorizzazione e per lo scarico oltre i limiti di accettabilita' non appare palesemente irragionevole, potendo il legislatore valutare come piu' grave l'omissione, che non consente o rende piu' difficoltoso individuare lo scarico ed effettuare i necessari controlli anche al fine di accertare l'eventuale ulteriore illecito del superamento dei limiti di accettabilita'; che la distinzione dei tipi di scarico, da insediamenti civili e pubbliche fognature o da insediamenti produttivi, con effetti anche sulle sanzioni per la omessa richiesta di autorizzazione all'apertura, costituisce una scelta del legislatore (sentenza n. 330 del 1996), che puo' trovare giustificazione nell'esigenza, discrezionalmente ma non irrazionalmente apprezzata dallo stesso legislatore, di un regime complessivamente piu' severo per quelli ritenuti potenzialmente piu' inquinanti; che, pertanto, la questione di legittimita' costituzionale deve essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.