ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  13,  comma  2,
 del  codice  di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 27
 ottobre 1997 dal Tribunale di  Messina,  nel  procedimento  penale  a
 carico  di  M.  C.,  iscritta al n. 150 del registro ordinanze 1998 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  11,  prima
 serie speciale, dell'anno 1998;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella Camera di consiglio del 25  novembre  1998  il  giudice
 relatore Guido Neppi Modona;
   Ritenuto  che  il  tribunale  di  Messina ha sollevato questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 13,  comma  2,  del  codice  di
 procedura penale, nella parte in cui non prevede l'operativita' della
 connessione  dei  procedimenti  tra  reati comuni e reati militari in
 tutte   le  ipotesi  stabilite  dall'art.  12  cod.  proc.  pen.,  in
 riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione;
     che, in relazione all'art. 3  Cost.,  il  rimettente  lamenta  la
 irragionevole  disparita'  di trattamento riservata agli appartenenti
 alle Forze armate, in quanto, nel caso in cui pendano a  loro  carico
 procedimenti  per  reati  comuni  e  militari,  tali imputati possono
 venire giudicati in un unico procedimento solo quando il reato comune
 e' piu' grave di quello  militare,  cosi'  risultando  sacrificato  -
 malgrado  la loro posizione sia sostanzialmente identica ove il reato
 militare sia piu' grave di quello comune -  l'"interesse  sostanziale
 al  simultaneus  processus,  sia  in  ragione  dell'onere  aggiuntivo
 derivante dall'essere sottoposto a piu' procedure, sia,  soprattutto,
 in  considerazione  del  vantaggio di una difesa unitaria a fronte di
 un'accusa relativa a fatti connessi";
     che, al riguardo, il rimettente precisa che la disciplina dettata
 dall'art. 13, comma 2, cod. proc. pen. e' ispirata da valutazioni  di
 mera    opportunita'   politica,   certamente   secondarie   rispetto
 all'interesse dell'imputato al simultaneus processus e  tali  da  non
 giustificare  l'esclusione  della piena operativita' delle ipotesi di
 connessione di cui all'art. 12 cod. proc. pen.;
     che, in riferimento all'art.  76  Cost.,  il  giudice  rimettente
 lamenta la violazione per eccesso di delega della direttiva numero 14
 dell'art.  2  della  legge  16  febbraio  1987,  n.  81, in quanto il
 legislatore delegante "ha  posto  il  principio  della  connessione",
 "stabilendo,   quale   unica   eccezione   all'operativita'  di  tale
 principio, i processi a carico di imputati minorenni",  in  tal  modo
 escludendo  che  ulteriori  deroghe  potessero  rientrare nell'ambito
 della discrezionalita' del legislatore delegato;
     che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo
 che  la  questione  sia  dichiarata  infondata e riportandosi, stante
 l'analogia  delle  questioni,  all'atto  di  intervento  relativo  al
 giudizio di costituzionalita' promosso con l'ordinanza iscritta al n.
 980 del 1996 e deciso con ordinanza n. 169 del 1997;
   Considerato  che,  nel  perseguire  il  risultato di un simultaneus
 processus tra reati appartenenti alla giurisdizione ordinaria e reati
 appartenenti alla giurisdizione militare, legati da  connessione,  il
 rimettente   sovrappone   erroneamente   i  distinti  istituti  della
 connessione e della riunione dei processi, mostrando di non avvertire
 che il primo istituto  e'  strumento  attributivo  della  competenza,
 operante  nei  casi  previsti dall'art. 12 cod. proc. pen., mentre il
 secondo,  quale  criterio   di   mera   organizzazione   del   lavoro
 giudiziario, trova applicazione, in base all'art. 17 cod. proc. pen.,
 solo  quando  piu'  processi,  pendenti davanti al medesimo giudice e
 legati da connessione o da altri nessi tra reati,  sono  suscettibili
 di  trattazione congiunta, e cioe' quando la riunione non pregiudichi
 la loro rapida definizione (v. ordinanza n. 247 del 1998);
     che,  dunque,  l'auspicato  ampliamento  dell'operativita'  della
 connessione  fra  reati  appartenenti  alle  sopraindicate  sfere  di
 giurisdizione,   con   attribuzione   di   ogni   regiudicanda   alla
 giurisdizione  dell'autorita'  giudiziaria ordinaria, non condurrebbe
 necessariamente di per se' al cumulo dei  processi,  dipendendo  tale
 evenienza  dal  verificarsi  di presupposti di natura processuale del
 tutto accidentali (v. Relazione al Progetto preliminare del codice di
 procedura penale p. 13);
     che il legislatore delegante, con la direttiva n. 14 dell'art.  2
 della  legge-delega  n.  81  del  1987,  non  ha  affatto  dettato un
 principio normativo volto a favorire il cumulo delle regiudicande, ma
 anzi, mirando a escludere ogni discrezionalita' nella  determinazione
 del  giudice  competente  e  delineando  percio' la connessione quale
 criterio autonomo di attribuzione della competenza  in  vista  di  un
 piu'  rigoroso  rispetto  del  principio  del  giudice  naturale  (v.
 Relazione al Progetto preliminare ivi), da un lato  ha  espresso  "un
 evidente  favor  per  la  separatezza  dei  processi,  ritenuta utile
 soprattutto al fine di una  maggiore  speditezza  degli  stessi"  (v.
 sentenza  n.  254 del 1992, nonche' ordinanza n. 159 del 1996, che ha
 confermato "la  persistente  validita'  dell'opzione  di  trattazione
 autonoma  di ciascuna res iudicanda" anche dopo la modifica dell'art.
 12 cod. proc. pen. introdotta  dall'art.    1  del  decreto-legge  20
 novembre  1991,  n.  367, convertito in legge 20 gennaio 1992, n. 8);
 dall'altro ha implicitamente previsto che la forza  attrattiva  della
 connessione  operi  anche  qualora non sia possibile o conveniente la
 riunione dei procedimenti connessi;
     che comunque con tale direttiva, che  la  Relazione  al  progetto
 preliminare riferisce anche ai rapporti fra diverse giurisdizioni, il
 legislatore  delegante,  diversamente da quanto opinato dal giudice a
 quo, non ha inteso attribuire  alla  competenza  per  connessione  il
 valore  di  regola generale ed assoluta, derogabile solo con riguardo
 ai reati commessi da imputati minorenni, ne', tantomeno, ha  indicato
 alcun  particolare  criterio  per stabilire in quali ipotesi il reato
 comune attragga il reato militare nella giurisdizione ordinaria;
     che, infatti, la direttiva n. 14 si limita  a  stabilire  che  la
 disciplina   dell'istituto   della   connessione   dovra'   prevedere
 espressamente i relativi casi, con esclusione di qualsiasi  forma  di
 discrezionalita'   nella   determinazione   del   giudice  competente
 (criterio, quest'ultimo, puntualmente rispettato dall'art. 13,  comma
 2,  cod.  proc.  pen.),  introducendo  poi  una  espressa  ipotesi di
 esclusione della connessione, certamente non tassativa, in quanto  il
 legislatore  delegato  risulta  abilitato  ad  individuare  i casi di
 connessione;
     che,  conseguentemente,  non  sussiste  il  denunciato  vizio  di
 costituzionalita' per eccesso di delega;
     che,  quanto  alla  dedotta lesione dell'art. 3 Cost., l'art. 13,
 comma 2, cod. proc. pen. -  che  opera  una  riduzione  dei  casi  di
 connessione   tra   reati  comuni  e  reati  militari  rispetto  alla
 disciplina  prevista  dall'art.  49,  terzo  comma,  del  codice   di
 procedura  penale  del  1930 (poi superato dall'art. 8 della legge 23
 marzo 1956, n. 167, a sua volta sostitutivo dell'art. 264 del  codice
 penale  militare  di pace mediante una disciplina che ha privilegiato
 la  vis attractiva del giudice ordinario)  -  delinea  una  soluzione
 normativa  non  censurabile,  in quanto espressione di una scelta non
 irragionevole del legislatore, che si inserisce nell'impostazione  di
 fondo  del  processo  penale in favore della trattazione separata dei
 procedimenti;
     che, infatti, con riferimento ai rapporti tra i procedimenti  per
 reati  comuni  e  militari,  non  puo' dirsi imposto dal principio di
 ragionevolezza un assetto  normativo  che,  in  vista  dell'interesse
 dell'imputato  a  un  (del  tutto  eventuale)  simultaneus  processus
 travalichi  in  ogni  caso  i  limiti  entro  cui  ordinariamente  si
 esercitano le due  distinte  giurisdizioni  (v.,  in  relazione  alla
 disciplina  della  connessione  tra  reati comuni e militari sotto la
 vigenza del codice di procedura penale del 1930, sentenze n. 206  del
 1987, n. 73 del 1980, n. 196 del 1976, n. 29 del 1958);
     che  la scelta del vigente codice di procedura penale di limitare
 i casi di connessione tra reati comuni e  militari  alle  ipotesi  di
 maggiore   gravita'   del   reato   comune   risponde   all'esigenza,
 sottolineata nella relazione al progetto definitivo  del  codice  (p.
 166),  di  evitare  che,  attraverso  l'estensione  della  competenza
 attrattiva del giudice ordinario a tutte le  ipotesi  di  connessione
 previste   dall'art.   12   cod.   proc.   pen.,   l'esercizio  della
 giurisdizione militare risultasse eccessivamente e  irragionevolmente
 penalizzato, in quanto operante, paradossalmente, anche nelle ipotesi
 in   cui   il  reato  militare  fosse  connesso  con  un  mero  reato
 contravvenzionale di competenza del giudice
  ordinario;
     che pertanto,  contrariamente  a  quanto  sostenuto  dal  giudice
 rimettente,  la  disciplina dettata dall'art. 13, comma 2, cod. proc.
 pen. non si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza, ne'
 determina  una   ingiustificata   disparita'   di   trattamento   tra
 appartenenti alle Forze armate imputati di reati comuni e militari;
     che  la  questione  sollevata dal rimettente deve pertanto essere
 dichiarata manifestamente infondata;
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;