ha pronunciato la seguente Ordinanza nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 210 e 513 del codice di procedura penale, nonche' dell'art. 6, commi 1, 2 e 5 della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), promossi con ordinanze emesse il 5 dicembre 1997 dal tribunale di Trento, il 9 gennaio 1998 dal tribunale di Castrovillari, il 19 dicembre 1997 dal tribunale di Trento ed il 31 marzo 1998 dal tribunale di Venezia, rispettivamente iscritte ai nn. 79, 106, 194 e 500 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 8, 9, 13 e 28, prima serie speciale, dell'anno 1998; Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1998 il giudice relatore Guido Neppi Modona; Ritenuto che il tribunale di Trento (r.o. n. 79 del 1998), il tribunale di Castrovillari (r.o. n. 106 del 1998), il tribunale di Trento (r.o. n. 194 del 1998) e il tribunale di Venezia (r.o. n. 500 del 1998) hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 210 e 513 del codice di procedura penale, nonche' dell'art. 6, commi 1, 2 e 5, della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifiche delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 101, 102, primo comma, 111 e 112 della Costituzione; che tutte le questioni sono state sollevate nel corso di dibattimenti nei quali i soggetti che avevano reso in precedenza dichiarazioni erga alios, citati ai sensi dell'art. 210 cod. proc. pen., si sono avvalsi della facolta' di non rispondere e gli imputati non hanno prestato il consenso alla utilizzazione delle precedenti dichiarazioni; che, in particolare, il Tribunale di Trento, in entrambe le ordinanze, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 210 cod. proc. pen., nella parte in cui (comma 1) equipara la posizione dell'imputato di reato connesso, ovvero probatoriamente collegato, nei cui confronti il procedimento penale sia ancora in corso, a quella di chi sia gia' stato condannato con sentenza divenuta irrevocabile; che secondo il tribunale di Trento la disposizione impugnata sacrifica irragionevolmente il principio di non dispersione della prova per tutelare un soggetto la cui posizione processuale e' oramai definita e per il quale nessuna conseguenza sfavorevole potra' mai scaturire da qualsivoglia dichiarazione resa nel procedimento connesso o collegato, cosi' violando: gli artt. 3, 101 e 112 della Costituzione (r.o. n. 79 del 1998), e cioe' il principio secondo il quale il processo deve tendere all'accertamento della verita' storica; gli artt. 2, 3, 25, 101 e 112 della Costituzione (r.o. n. 194 del 1998), e cioe' i principi di obbligatorieta' e legalita' dell'azione penale, esonerando un soggetto, per il quale peraltro non vi e' piu' ragione di garantire il diritto di difesa, dall'obbligo di testimonianza, che e' obbligo di solidarieta' sociale; che il tribunale di Castrovillari censura l'art. 210 cod. proc. pen. nella parte in cui (commi 1 e 4) prevede la facolta' di non rispondere anche per l'imputato in procedimento connesso la cui posizione processuale sia stata definita con sentenza di condanna, ancorche' non definitiva; che a parere del rimettente consentire a tale soggetto di non sottoporsi all'esame dibattimentale determina la violazione degli artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 101, 102, primo comma, 111 e 112 Cost., perche' verrebbe irragionevolmente sacrificato il principio della indefettibilita' della giurisdizione, nonche' l'interesse dell'imputato chiamato a difendersi in dibattimento nei confronti delle dichiarazioni eteroindizianti rese in precedenza dall'imputato in procedimento connesso; che il tribunale di Venezia censura il medesimo art. 210 perche' consente (comma 4) che l'imputato di reato connesso, che abbia reso dichiarazioni indizianti a carico di soggetti non presenti nel momento in cui tali dichiarazioni venivano rilasciate, possa avvalersi della facolta' di non rispondere nel dibattimento a carico di tali soggetti; che a parere del tribunale di Venezia sarebbero cosi' violati gli artt. 3, 24, 25, secondo comma, 101 e 112 Cost., perche', irragionevolmente, da un canto si impone al pubblico ministero la raccolta di prove sul fatto da accertare, dall'altro si condiziona l'effettivo esercizio della azione penale e lo scopo della ricerca della verita' alla volonta' di un soggetto "controinteressato", e si lede cosi' anche: il principio di uguaglianza tra imputati (essendo il dichiarante arbitro di scegliere in quale processo parlare e in quale avvalersi del diritto al silenzio); il diritto di difesa dell'accusato (che ha interesse a vedere affermata la propria innocenza attraverso l'accertamento della verita' storica e il controesame dell'accusatore); il principio costituzionale che impone allo Stato di punire i colpevoli; il principio della sottoposizione del giudice alla legge nonche' il principio di non dispersione dei mezzi di prova (elevato a rango di principio costituzionale dalla sentenza n. 255 del 1992 della Corte costituzionale); che il tribunale di Trento nella seconda ordinanza (r.o. n. 194 del 1998) e il tribunale di Castrovillari dubitano anche della legittimita' costituzionale dell'art. 513 cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 267 del 1997, nella parte in cui fanno dipendere dall'esercizio di un potere meramente discrezionale delle parti la lettura e l'utilizzabilita' dei verbali contenenti le dichiarazioni dell'imputato che, esaminato ex art. 210 cod. proc. pen., si sia avvalso della facolta' di non rispondere; che a parere dei rimettenti la disposizione impugnata violerebbe gli artt. 2, 3, 24, 25, 101, 111 e 112 Cost.: perche', mediante la creazione di un meccanismo di disposizione della prova, ne ostacola irragionevolmente la formazione, sacrificando la funzione conoscitiva del dibattimento, l'accertamento della verita' e lo stesso esercizio della giurisdizione, e perche', rendendo non conoscibile dal giudice una fonte di prova legittimamente raccolta, si pone in contrasto con i principi di uguaglianza, legalita' e obbligatorieta' dell'azione penale, effettivita' della tutela giurisdizionale; perche', rendendo il dichiarante arbitro della scelta di investire o meno il giudice della conoscenza di quanto da lui narrato, si presta a macroscopiche disparita' di trattamento, vuoi con riferimento all'ipotesi di imputati che siano ancora sottoposti alle indagini preliminari e che subiscano gli effetti di incidente probatorio tempestivamente richiesto, vuoi rispetto a coloro che si trovino a subire gli effetti di una sopravvenuta impossibilita' di ripetizione dell'esame, ad esempio per morte del dichiarante, vuoi, infine, rispetto a coimputati la cui posizione sia definita in altro processo, nel quale il dichiarante non si sia avvalso della facolta' di non rispondere; che, infine, il tribunale di Venezia, il tribunale di Castrovillari e il tribunale di Trento censurano il regime transitorio introdotto dall'art. 6 della legge n. 267 del 1997, nella parte in cui rende immediatamente applicabile la nuova disciplina dell'art. 513 cod. proc. pen. ai procedimenti in fase dibattimentale, nonostante il rinvio a giudizio sia successivo all'entrata in vigore della legge; che, al riguardo, il tribunale di Venezia omette, pero', ogni riferimento ai parametri costituzionali violati; il tribunale di Castrovillari non impugna esplicitamente la disposizione transitoria e svolge le sue censure in relazione all'art. 513 cod. proc. pen., in quanto immediatamente applicabile; il tribunale di Trento omette in parte motiva qualsiasi cenno alla questione di costituzionalita', menzionata solo in dispositivo; che in tutti i giudizi di legittimita' costituzionale e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, riportandosi integralmente, stante l'analogia delle questioni, all'atto di intervento relativo al giudizio di costituzionalita' promosso con ordinanza r.o. n. 776 del 1997, gia' deciso con sentenza n. 361 del 1998, nonche', per il solo giudizio di legittimita' promosso con ordinanza r.o. n. 500 del 1998, anche all'atto di intervento relativo alla questione sollevata dal tribunale di Lecco con ordinanza del 1 dicembre 1997, fissata per la camera di consiglio del 10 febbraio 1999, nel quale si rileva che l'esclusione di alcuni soggetti dall'ambito di operativita' dell'art. 210 cod. proc. pen., e la conseguente eliminazione del divieto previsto dall'art. 197 cod. proc. pen., condurrebbe ad un ampliamento dell'area del precetto penale sostanziale, e dunque ad un intervento additivo precluso alla Corte; Considerato che tutte le ordinanze di rimessione sottopongono a censura la facolta', riconosciuta alle persone indicate dall'art. 210, comma 1, cod. proc. pen., di avvalersi, a norma del comma 4 del medesimo articolo, della facolta' di non rispondere; che l'esercizio di tale facolta' viene denunciato in relazione al regime di inutilizzabilita' ai fini della decisione, in mancanza dell'accordo delle parti, delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dall'imputato in procedimento connesso, alla stregua delle modifiche introdotte nell'art. 513, comma 2, cod. proc. pen., dalla legge n. 267 del 1997, anch'esso sottoposto a scrutinio di legittimita' costituzionale; che, attesa la sostanziale identita' delle questioni, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi; che, in particolare, nelle due ordinanze del tribunale di Trento (r.o. nn. 79 e 194 del 1998) la facolta' di non rispondere viene censurata in riferimento alla posizione di imputati di reato connesso gia' condannati con sentenza divenuta irrevocabile, mentre nell'ordinanza del tribunale di Castrovillari (r.o. n. 106 del 1998) le censure si riferiscono alla posizione di un imputato gia' condannato, ma con sentenza non definitiva; che, successivamente all'emissione delle ordinanze, questa Corte, con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso sul quadro normativo risultante dal disposto degli artt. 210 e 513 cod. proc. pen.; che in tale sentenza la Corte, da un lato, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 513, comma 2, cod. proc. pen. "nella parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilita' di altri gia' oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell'accordo delle parti alla lettura si applica l'art. 500, commi 2-bis e 4, del codice di procedura penale", dall'altro, ha rigettato le eccezioni sollevate nei confronti dell'art. 210, comma 4, cod. proc. pen., rilevando che l'attuale qualificazione come imputati dei soggetti indicati in tale norma rende coerente la scelta del legislatore di attribuire loro la facolta' di non rispondere ed individuando gli strumenti per porre rimedio alle censure di illegittimita', gia' allora rivolte all'art. 210 cod. proc. pen., nell'estensione all'esame dell'imputato in procedimento connesso su fatti concernenti la responsabilita' di altri della disciplina delle contestazioni prevista dall'art. 500, commi 2-bis e 4, cod. proc. pen.; che, con riguardo alle ordinanze che investono anche la disciplina transitoria (r.o. nn. 106, 194 e 500 del 1998), la citata sentenza n. 361 del 1998, nel disporre la restituzione degli atti relativi a questioni che avevano impugnato l'art. 6 della legge n. 267 del 1997, ha affermato che doveva essere valutato dai rimettenti se le questioni potessero considerarsi superate a seguito della modifica della disciplina a regime, "che ora permette di recuperare mediante il sistema delle contestazioni i singoli contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza"; che pertanto occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti affinche' verifichino se, alla luce della nuova disciplina applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti.