ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 513, comma 1,
 del codice di procedura penale come modificato dalla legge  7  agosto
 1997,  n.  267  (Modifica  delle disposizioni del codice di procedura
 penale in tema di valutazione delle prove),  promossi  con  ordinanze
 emesse il 22 gennaio 1998 dal tribunale di Trani, il 10 febbraio 1998
 dalla Corte di assise di Agrigento, il 22 dicembre 1997 dal Tribunale
 di Napoli, l'11 marzo ed il 18 febbraio 1998 dal tribunale di Locri e
 l'8  maggio 1998 dal tribunale di Napoli, rispettivamente iscritte ai
 nn.  234,  237,  319,  351,  353  e 549 del registro ordinanze 1998 e
 pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 15, 19, 21 e
 34, prima serie speciale, dell'anno 1998;
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 10 dicembre 1998 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona;
   Ritenuto che il tribunale di Trani (r.o. n. 234 del 1998), la Corte
 di assise di Agrigento (r.o. n. 237 del 1998), il tribunale di Napoli
 (r.o. n. 319 del 1998) e il tribunale di Locri (r.o. nn.  351  e  353
 del  1998)  hanno  sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25,
 97, 101, 102, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art.  513,  comma  1,  del  codice  di  procedura
 penale,  come  modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica
 delle  disposizioni  del  codice  di  procedura  penale  in  tema  di
 valutazione  delle prove), nella parte in cui tale norma subordina al
 consenso  degli  altri  imputati  l'utilizzabilita'  ai  fini   della
 decisione delle dichiarazioni rese dal coimputato che in dibattimento
 rifiuti  di  sottoporsi  all'esame o si avvalga della facolta' di non
 rispondere;
     che il tribunale di Trani censura, congiuntamente  all'art.  513,
 comma  1, cod. proc. pen., l'art. 6 della legge n. 267 del 1997 nella
 parte in cui, quando il coimputato sia esaminato  dopo  l'entrata  in
 vigore  della  legge,  prevede l'immediata applicabilita' della nuova
 disciplina;
     che   analoga   questione,   avente   ad   oggetto    l'immediata
 applicabilita'  della  nuova  normativa  ai  procedimenti in corso al
 momento della entrata in  vigore  della  legge,  e'  prospettata,  in
 riferimento  agli artt.   3, 101 e 112 Cost., dal tribunale di Napoli
 (r.o. n.  549  del  1998),  sia  pure  con  impugnazione  formalmente
 indirizzata al solo art. 513 cod. proc. pen. novellato;
    che  tutte le questioni (comprese quelle prospettate dal tribunale
 di Napoli con le ordinanze iscritte ai nn. 319 e 549 del 1998, con le
 quali viene impugnato genericamente l'intero testo dell'art. 513 cod.
 proc. pen.) sono state sollevate nel corso di procedimenti nei  quali
 alcuni coimputati, citati per la prima volta dopo l'entrata in vigore
 della  legge n. 267 del 1997, hanno rifiutato di sottoporsi all'esame
 dibattimentale  ovvero  si  sono  avvalsi  della  facolta'   di   non
 rispondere,  e  i difensori degli altri coimputati non hanno prestato
 il consenso alla utilizzazione  delle  dichiarazioni  precedentemente
 rese;
     che  secondo i rimettenti la norma impugnata sarebbe in contrasto
 con l'art. 3 della Costituzione per la irragionevole diversita' della
 disciplina riservata alle dichiarazioni rese nel corso delle indagini
 preliminari  dall'imputato  che  in  dibattimento  si  avvalga  della
 facolta'  di  non  rispondere  o  rifiuti di sottoporsi all'esame, le
 quali, pur essendo oggettivamente e  imprevedibilmente  irripetibili,
 non  sono utilizzabili nei confronti di altri senza il loro consenso,
 rispetto:
      a)  alla  disciplina  delle  dichiarazioni  rese  in  precedenza
 dall'imputato  in  procedimento  connesso  del quale non e' possibile
 ottenere la presenza  per  fatti  o  circostanze  imprevedibili,  che
 secondo  quanto  disposto  dall'art.  513, comma 2, prima parte, cod.
 proc. pen. possono invece essere utilizzate ai  sensi  dell'art.  512
 cod. proc. pen. (r.o. n.  237 del 1998);
      b)  alla  disciplina  delle dichiarazioni rese dall'imputato che
 decida di  sottoporsi  all'esame  dibattimentale,  le  quali  possono
 essere  utilizzate, ai sensi dell'art. 503, comma 5, cod. proc. pen.,
 previo ricorso al meccanismo delle contestazioni  (r.o.  n.  237  del
 1998);
      c) alla disciplina relativa alle dichiarazioni testimoniali rese
 nel  corso  delle indagini preliminari, utilizzabili per la decisione
 ai sensi dell'art. 512 cod. proc. pen. se divenute irripetibili nella
 fase  del  giudizio  "per  cause  naturali"  ovvero  in   conseguenza
 dell'esercizio  del  diritto di astenersi dal rispondere del prossimo
 congiunto (viene richiamata la sentenza n. 179 del 1994), e  comunque
 utilizzabili   previo  ricorso  al  meccanismo  delle  constestazioni
 previsto dall'art.  500 cod. proc. pen. (r.o. n. 237 del 1998 e  r.o.
 319 del 1998, con particolare riferimento all'ipotesi contemplata nel
 comma  5  dell'500  cod.  proc. pen. e al controllo del giudice sulla
 presenza  di  eventuali  forme  di  intimidazione  che  possano  aver
 determinato il rifiuto di rispondere; nonche' r.o. n. 549 del 1998);
     che  ulteriori profili di irragionevole disparita' di trattamento
 sono evidenziati in relazione:
      a) alla posizione  di  imputati  raggiunti  dalle  dichiarazioni
 accusatorie  di  altri  imputati,  a  seconda che questi ultimi siano
 giudicati cumulativamente o  separatamente,  essendo  necessario,  ai
 fini  della  utilizzabilita' delle dichiarazioni rese nel corso delle
 indagini preliminari, in un caso il  consenso  degli  altri  imputati
 (art.  513,  comma  1,  cod. proc. pen.) e nell'altro l'accordo delle
 parti (art. 513, comma 2, cod. proc. pen.), con pregiudizio in questa
 seconda evenienza dello stesso diritto  di  difesa  qualora,  per  il
 mancato accordo, non sia possibile acquisire dichiarazioni favorevoli
 a tutti o ad alcuni imputati (r.o. n. 319 del 1998);
      b)  alla  situazione  dell'imputato  raggiunto  da dichiarazioni
 spontanee di altro coimputato o  imputato  in  procedimento  connesso
 rese in dibattimento al di fuori dello schema dell'esame incrociato e
 utilizzabili   ai  fini  della  decisione,  rispetto  alla  posizione
 dell'imputato  che   sia   raggiunto   da   pregresse   dichiarazioni
 accusatorie  non ribadite a dibattimento a seguito dell'esercizio del
 diritto al  silenzio  del  dichiarante  e,  a  differenza  di  quelle
 spontanee,  non  utilizzabili  ai  fini  della decisione, anche se in
 ipotesi di identico contenuto accusatorio (r.o. n. 319  del 1998);
      c) alla possibilita' di addivenire, in processi  per  delitti  a
 concorso necessario, alla condanna del dichiarante (nei confronti del
 quale  sono  sempre  utilizzabili  le  dichiarazioni  autoaccusatorie
 precedentemente rese) e alla assoluzione degli  altri  imputati  (nei
 confronti dei quali, viceversa, le dichiarazioni eteroaccusatorie non
 possono   essere   utilizzate   senza   il   loro   consenso),  cosi'
 determinandosi una irragionevole disparita' di trattamento  fra  tali
 soggetti (r.o.  n. 319 del 1998);
      d) alla diversa disciplina riservata, nei processi in corso alla
 data  di  entrata  in  vigore  della  legge  n.  267  del  1997, alla
 situazione del coimputato, esaminato per la prima volta nella vigenza
 della nuova legge, che si avvalga della facolta' di  non  rispondere,
 rispetto  al caso, disciplinato dall'art. 6, commi 2 e 5, della legge
 n. 267 del  1997,  del  dichiarante  gia'  esaminato  prima  di  tale
 momento,   per   il   quale   e'  prevista  una  nuova  citazione  ed
 e'consentita,  nel  caso  di  nuovo  esercizio  della facolta' di non
 rispondere, la utilizzabilita' delle  sue  precedenti  dichiarazioni,
 sia  pure  con  la  particolare  regola di giudizio di cui al comma 5
 della medesima disposizione (r.o. nn.  351 e 352 del  1998,  r.o.  n.
 234, in riferimento anche agli artt.  97 e 112 Cost., per conseguente
 violazione   del   principio   di   buon   andamento  della  pubblica
 amministrazione e del  principio  della  obbligatorieta'  dell'azione
 penale, nonche' r.o. n. 549 del 1998, in riferimento anche agli artt.
 112 e 101 Cost.);
     che  i  rimettenti  lamentano  inoltre  che  la  norma impugnata,
 vietando  l'acquisizione,  in  mancanza  del  consenso  degli   altri
 imputati,  di quanto legittimamente acquisito prima del dibattimento,
 deroga irragionevolmente al principio di non dispersione della  prova
 e  impedisce  al  giudice di pervenire ad una decisione giusta, cosi'
 sacrificando l'esercizio della funzione giurisdizionale, il cui  fine
 e'  quello della ricerca della verita', con conseguente lesione degli
 artt. 3 e 101, secondo comma, della Costituzione  (r.o.  n.  237  del
 1998), degli artt. 2, 3 e 25, secondo comma, della Costituzione (r.o.
 n.  319  del  1998), degli artt. 3 e 111 della Costituzione (r.o. nn.
 351 e 352 del 1998);
     che, infine, secondo i rimettenti l'art. 513, comma 1, cod. proc.
 pen.,  condizionando  alla  volonta'  delle  parti  l'ingresso  delle
 dichiarazioni   rese   in  precedenza  fra  il  materiale  probatorio
 sottoposto alla  valutazione  del  giudice,  introduce  un  principio
 dispositivo   in   materia   probatoria   che  viola  i  principi  di
 uguaglianza,  legalita',  esercizio  dell'azione   penale,   funzione
 conoscitiva  del  processo,  indefettibilita' della giurisdizione, in
 contrasto con gli  artt.  2,  3,  24,  101,  102,  111  e  112  della
 Costituzione  (r.o. n. 237 del 1998), con gli artt. 2, 3, 24, 25, 101
 e 112 della Costituzione (r.o. n. 319 del 1998), con gli  artt.  101,
 111 e 112 della Costituzione (r.o. nn. 351 e 353 del 1998);
     che  nei  giudizi  di legittimita' costituzionale promossi con le
 ordinanze iscritte ai nn. 237, 351, 353 e 549 del r.o.  del  1998  e'
 intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e
 difeso    dall'Avvocatura    generale   dello   Stato,   riportandosi
 integralmente,  stante  l'analogia  delle  questioni,  al   contenuto
 dell'atto  di  intervento  relativo  ai  giudizi di costituzionalita'
 promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776  e  787  del  r.o.  del
 1997, gia' decisi con sentenza n. 361 del 1998;
     che  nel giudizio promosso con l'ordinanza iscritta al n. 234 del
 r.o. del 1998 l'Avvocatura ha depositato atto di intervento nel quale
 chiede che la questione venga dichiarata infondata, rilevando:  - che
 l'individuazione del momento di operativita' della nuova disciplina a
 seconda  dell'avvenuta  lettura  delle  precedenti  dichiarazioni  e'
 scelta   di  diritto  transitorio  che,  non  essendo  manifestamente
 irragionevole, rientra nella discrezionalita' del legislatore; -  che
 e'  erroneo  il  richiamo  all'art.  112 della Costituzione dal quale
 sarebbe desunto il principio di non dispersione dei mezzi di prova, e
 che, comunque, le esigenze di garanzia dell'imputato sono  dotate  di
 pari rilievo costituzionale;
     che e' infondato il richiamo al parametro dell'art. 97 Cost.
   Considerato  che  tutte  le  ordinanze  di rimessione, muovendo dal
 quadro normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge  7
 agosto   1997,   n.   267,   sottopongono  a  censura  il  regime  di
 inutilizzabilita' ai fini della decisione, in mancanza  del  consenso
 degli  altri  imputati, delle dichiarazioni rese sul fatto altrui dal
 coimputato che in dibattimento rifiuti di sottoporsi all'esame  o  si
 avvalga della facolta' di non rispondere;
     che  i  giudizi, attesa la sostanziale identita' delle questioni,
 vanno riuniti;
     che,  successivamente  alla  emissione  delle  ordinanze,  questa
 Corte,  con  sentenza  n. 361 del 1998, ha inciso sul predetto quadro
 normativo, dichiarando la illegittimita' costituzionale in parte  qua
 tra  l'altro,  degli  artt.  513,  comma  2, ultimo periodo e 210 del
 codice di procedura penale;
     che, per effetto di detta pronuncia, qualora il  coimputato,  che
 abbia  in  precedenza  reso  dichiarazioni  su  fatti  concernenti la
 responsabilita' di altri, in dibattimento rifiuti o  comunque  ometta
 in  tutto  o  in  parte  di  rispondere  su tali fatti, si applica la
 disciplina degli artt. 210 e 513, comma 2, cod. proc. pen.,  nonche',
 in   mancanza   dell'accordo   delle   parti,   il  meccanismo  delle
 contestazioni previsto dall'art.  500, commi 2-bis, e 4,  cod.  proc.
 pen.;
     che,  con  riguardo  alle  ordinanze che investono specificamente
 anche la disciplina transitoria (r.o. n. 234 e n. 549 del  1998),  la
 citata  sentenza  n. 361 del 1998, nel disporre la restituzione degli
 atti  relativi  a  questioni  che  avevano  impugnato   la   medesima
 normativa,  aveva  affermato che doveva essere valutato dai giudici a
 quibus se le questioni  potessero  considerarsi  superate  a  seguito
 della  modifica  della  disciplina  a  regime,  "che  ora permette di
 recuperare  mediante  il  sistema  delle  contestazioni   i   singoli
 contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in  precedenza";
     che  pertanto  occorre  restituire gli atti ai giudici rimettenti
 affinche'  verifichino  se,  alla   luce   della   nuova   disciplina
 applicabile  a  seguito  della sentenza n. 361 del 1998, le questioni
 sollevate siano tuttora rilevanti;