ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  513,  comma  2,
 del  codice  di procedura penale come modificato dalla legge 7 agosto
 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni  del  codice  di  procedura
 penale  in  tema  di valutazione delle prove), promossi con ordinanze
 emesse il 1 dicembre 1997 dal tribunale di  Pistoia,  il  24  ottobre
 1997  dal  tribunale  di Milano, il 17 dicembre 1997 dal tribunale di
 Verbania, il 19 dicembre 1997 dal tribunale di  Monza,  il  19  marzo
 1998  dalla  Corte  di assise di Agrigento, il 14 novembre 1997 dalla
 Corte di assise di Modena, il 1 aprile 1998 dal tribunale di Roma, il
 16 aprile 1998 dal tribunale di Frosinone ed il  1  giugno  1998  dal
 tribunale di Napoli, rispettivamente iscritte ai nn. 3, 92, 219, 310,
 343,  352,  389,  442  e 729 del registro ordinanze 1998 e pubblicate
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 4, 9, 14, 18,  20,  21,
 23, 25 e 41, prima serie speciale, dell'anno 1998;
   Visti  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 10  dicembre  1998  il  giudice
 relatore Guido Neppi Modona;
   Ritenuto  che  il  tribunale  di  Pistoia  (r.o. n. 3 del 1998), il
 tribunale di Milano (r.o. n. 92 del 1998), il tribunale  di  Verbania
 (r.o.  n.    219  del  1998),  il tribunale di Monza (r.o. n. 310 del
 1998), la Corte di assise di Agrigento (r.o. n.  343  del  1998),  la
 Corte  di  assise  di  Modena (r.o. n. 352 del 1998), il tribunale di
 Roma (r.o. n. 389 del 1998), il tribunale di Frosinone (r.o.  n.  442
 del  1998)  e  tribunale  di  Napoli  (r.o.  n.  729  del 1998) hanno
 sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 27,  primo  comma,
 101,  102,  111  e  112 della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art.   513, comma  2,  del  codice  di  procedura
 penale,  come  modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica
 delle  disposizioni  del  codice  di  procedura  penale  in  tema  di
 valutazione  delle  prove),  nella parte in cui subordina all'accordo
 delle  parti  l'utilizzabilita'  ai  fini   della   decisione   delle
 dichiarazioni    rese   nella   fase   delle   indagini   preliminari
 dall'imputato in procedimento connesso che si avvalga in dibattimento
 della facolta' di non rispondere;
     che, in particolare, il tribunale di Monza, la Corte di assise di
 Modena  e  il  tribunale  di  Roma impugnano, congiuntamente all'art.
 513, comma 2, cod. proc. pen., l'art. 6 della legge n. 267  del  1997
 (il  tribunale  di Roma con specifico riguardo ai commi 2 e 5 di tale
 disposizione e in "combinato disposto" con il nuovo art.  513,  comma
 2,  cod. proc. pen.), nella parte in cui non prevede che nei processi
 nei quali alla data di entrata in vigore della legge sia  gia'  stato
 emesso  il  decreto  che  dispone  il  giudizio  continui  a  trovare
 applicazione la disciplina previgente, e dunque nella  parte  in  cui
 non   prevede   che  il  giudice,  nel  caso  in  cui  l'imputato  in
 procedimento connesso, sentito per la prima volta dopo  l'entrata  in
 vigore  della  legge,  si  avvalga  della facolta' di non rispondere,
 possa acquisire le dichiarazioni rese nel corso delle indagini  anche
 senza l'accordo delle parti;
     che    analoga   questione,   avente   ad   oggetto   l'immediata
 applicabilita' della nuova normativa  ai  procedimenti  in  corso  al
 momento della entrata in vigore della legge, e' stata prospettata, in
 riferimento  agli  artt.  3, 101 e 112 Cost., dal tribunale di Napoli
 (r.o. n.  729  del  1998),  sia  pure  con  impugnazione  formalmente
 indirizzata al solo art. 513 cod. proc. pen. novellato;
     che tutte le questioni (compresa quella prospettata dal tribunale
 di  Napoli,  che  impugna  genericamente l'intero testo dell'art. 513
 cod. proc. pen.) sono state sollevate nel corso di  dibattimenti  nei
 quali  alcuni  imputati in procedimenti connessi, citati per la prima
 volta dopo l'entrata in vigore della legge n. 267 del 1997,  si  sono
 avvalsi  della  facolta'  di  non  rispondere,  e  le parti non hanno
 prestato il consenso alla utilizzazione delle dichiarazioni  rese  in
 precedenza;
     che  secondo i rimettenti la norma impugnata sarebbe in contrasto
 con l'art. 3 della Costituzione per la irragionevole diversita' della
 disciplina riservata alle dichiarazioni rese nel corso delle indagini
 dall'imputato in procedimento connesso che in dibattimento si avvalga
 della  facolta'  di   non   rispondere,   le   quali,   pur   essendo
 oggettivamente    e    imprevedibilmente   irripetibili,   non   sono
 utilizzabili in mancanza dell'accordo delle parti, rispetto:
      a)  alla  disciplina  delle  dichiarazioni  rese  in  precedenza
 dall'imputato  in  procedimento  connesso  del quale non e' possibile
 ottenere la presenza  per  fatti  o  circostanze  imprevedibili,  che
 secondo  quanto  disposto  dall'art.  513, comma 2, prima parte, cod.
 proc. pen. possono invece essere utilizzate ai  sensi  dell'art.  512
 cod. proc. pen. (r.o. nn.  219, 343 e 442 del 1998, nonche' r.o. n. 3
 del  1998  sotto  il  profilo della intrinseca irragionevolezza della
 norma impugnata);
      b)  alla  disciplina  prevista   per   le   dichiarazioni   rese
 dall'imputato  in  procedimento  connesso  che  decida  di sottoporsi
 all'esame dibattimentale, le quali possono essere utilizzate ai sensi
 dell'art. 503, comma 5, cod. proc. pen., previo ricorso al meccanismo
 delle contestazioni (r.o. n. 343 del 1998);
      c) alla disciplina  riservata  alle  dichiarazioni  testimoniali
 rese nel corso delle indagini preliminari, delle quali e' previsto il
 "recupero" in dibattimento ai sensi degli artt. 511-bis 512 e 512-bis
 cod.  proc.  pen., in particolare se divenute irripetibili nella fase
 del   giudizio   "per   cause   naturali"   ovvero   in   conseguenza
 dell'esercizio  del  diritto di astenersi dal rispondere del prossimo
 congiunto, e comunque utilizzabili ai  fini  della  decisione  previo
 ricorso  al  meccanismo  delle  constestazioni previsto dall'art. 500
 cod. proc.  pen.  (r.o.  nn.  3  e  343  del  1998,  con  particolare
 riferimento  alle  ipotesi  contemplate nei commi 4 e 5 dell'art. 500
 cod. proc.   pen. e  al  controllo  del  giudice  sulla  presenza  di
 eventuali  forme  di  intimidazione  che  possano aver determinato il
 rifiuto di rispondere, nonche' r.o. nn. 219 e 729 del 1998);
     che i  rimettenti  lamentano  inoltre  che  la  norma  impugnata,
 vietando  l'acquisizione di quanto legittimamente acquisito prima del
 dibattimento   in   mancanza   dell'accordo   delle   parti,   deroga
 irragionevolmente  al  principio  di  non  dispersione  della prova e
 impedisce al giudice di pervenire  ad  una  decisione  giusta,  cosi'
 sacrificando  l'esercizio della funzione giurisdizionale, il cui fine
 e' quello della ricerca della verita', con conseguente lesione  degli
 artt.  3  e  27, primo comma, della Costituzione (r.o. n. 3 del 1998,
 secondo cui il principio di conservazione delle prove  e'  "immanente
 al canone della responsabilita' penale, che il giudice e' chiamato ad
 accertare"),   degli   artt.  3,  25  e  101,  secondo  comma,  della
 Costituzione (r.o. n. 92 del 1998), degli artt.  3,  24,  25  e  101,
 secondo  comma,  della  Costituzione  (r.o.    n. 219 del 1998, nella
 quale, in riferimento all'art. 24 Cost., si denuncia anche la lesione
 del diritto di difesa dell'imputato che per il mancato accordo  delle
 parti  non  possa  ottenere  l'acquisizione  di  dichiarazioni  a lui
 favorevoli),  degli  artt.  3,  101,  secondo  comma,  e  111   della
 Costituzione  (r.o.  n. 343 del 1998), dell'art. 3 della Costituzione
 per intrinseca irragionevolezza (r.o. n. 442 del 1998);
     che analoghe  censure,  connesse  alla  asserita  violazione  del
 principio   di   non  dispersione  della  prova,  sono  rivolte  alla
 disciplina transitoria contenuta nell'art. 6 della legge n.  267  del
 1997  dal  tribunale  di Monza (in riferimento agli artt. 3, 25, 101,
 111 e 112 Cost.), dalla Corte di assise  di  Modena  (in  riferimento
 agli  artt.  3,  24,  111  e  112  Cost.),  dal tribunale di Roma (in
 riferimento al solo art. 3 Cost.), nonche' dal  tribunale  di  Napoli
 (in  riferimento agli artt.  3, 101 e 112 Cost.), le cui censure, pur
 formalmente indirizzate al nuovo art. 513 cod. proc. pen.,  investono
 in  realta'  la  disciplina  transitoria  per  la  dedotta  possibile
 vanificazione dei risultati acquisiti nel corso delle indagini  prima
 dell'entrata in vigore della legge;
     che, infine, secondo i rimettenti l'art. 513, comma 2, cod. proc.
 pen.,  condizionando  alla  volonta'  delle  parti  l'ingresso  delle
 dichiarazioni  rese  in  precedenza  fra  il   materiale   probatorio
 sottoposto  alla  valutazione  del  giudice,  introduce  un principio
 dispositivo  in  materia  probatoria  che   viola   i   principi   di
 uguaglianza,   legalita',   esercizio  dell'azione  penale,  funzione
 conoscitiva del processo, indefettibilita'  della  giurisdizione,  in
 contrasto con gli artt. 3 e 27, primo comma, della Costituzione (r.o.
 n.  3  del  1998),  con  gli  artt.  101,  secondo comma, e 112 della
 Costituzione (r.o. n. 92 del 1998), con gli artt. 2, 3, 24, 101, 102,
 111 e 112 della Costituzione (r.o. n. 343 del 1998),  con  gli  artt.
 101, secondo comma, e 112 della Costituzione (r.o.  n. 442 del 1998);
     che  nei  giudizi  di legittimita' costituzionale promossi con le
 ordinanze iscritte ai nn. 3, 92, 219, 310, 343, 442 e  729  del  r.o.
 del  1998  e'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 riportandosi  integralmente,  stante  l'analogia  delle questioni, al
 contenuto   dell'atto   di   intervento   relativo   ai   giudizi  di
 costituzionalita' promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787
 del r.o. del 1997, gia' decisi con sentenza n. 361 del 1998, nonche',
 per il solo giudizio di legittimita' promosso con ordinanza  iscritta
 al  n.  219  del r.o. del 1998, anche all'atto di intervento relativo
 alla questione sollevata dal tribunale di Lecco con ordinanza  del  1
 dicembre  1997,  fissata  per  la camera di consiglio del 10 febbraio
 1999;
     che nel giudizio promosso con l'ordinanza iscritta al n. 389  del
 r.o. del 1998 l'Avvocatura ha depositato atto di intervento chiedendo
 che   la   questione   sia   dichiarata  inammissibile  o  infondata,
 riportandosi  al  contenuto  dell'atto  di  intervento  relativo   al
 giudizio di costituzionalita' promosso con l'ordinanza iscritta al n.
 153  del r.o. del 1998, anch'esso gia' deciso con sentenza n. 361 del
 1998;
   Considerato che tutte le  ordinanze  di  rimessione,  muovendo  dal
 quadro  normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7
 agosto  1997,  n.  267,  sottopongono  a   censura   il   regime   di
 inutilizzabilita'  ai  fini della decisione, in mancanza dell'accordo
 delle parti, delle  dichiarazioni  rese  nella  fase  delle  indagini
 preliminari  dall'imputato in procedimento connesso che si avvalga in
 dibattimento della facolta' di non rispondere;
     che i giudizi, attesa la sostanziale identita'  delle  questioni,
 vanno riuniti;
     che,  successivamente  alla  emissione  delle  ordinanze,  questa
 Corte, con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso  sul  predetto  quadro
 normativo, dichiarando la illegittimita' costituzionale, tra l'altro,
 dell'art.    513,  comma  2,  ultimo periodo, del codice di procedura
 penale "nella parte in cui non prevede che,  qualora  il  dichiarante
 rifiuti  o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti
 concernenti la  responsabilita'  di  altri  gia'  oggetto  delle  sue
 precedenti  dichiarazioni,  in mancanza dell'accordo delle parti alla
 lettura si applica l'art.   500, commi  2-bis  e  4,  del  codice  di
 procedura penale";
     che,  con  riguardo  alle  ordinanze che investono specificamente
 anche la disciplina transitoria (r.o. n. 310,  352,  389  e  729  del
 1998),   la  citata  sentenza  n.  361  del  1998,  nel  disporre  la
 restituzione degli atti relativi a questioni che avevano impugnato la
 medesima normativa, ha  affermato  che  doveva  essere  valutato  dai
 giudici  a  quibus  se le questioni potessero considerarsi superate a
 seguito della modifica della disciplina a regime, "che  ora  permette
 di  recuperare  mediante  il  sistema  delle  contestazioni i singoli
 contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza";
     che pertanto occorre restituire gli atti  ai  giudici  rimettenti
 affinche'   verifichino   se,   alla   luce  della  nuova  disciplina
 applicabile a seguito della sentenza n. 361 del  1998,  le  questioni
 sollevate siano tuttora rilevanti;