LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
   Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 1812/1996 depositato
 il 23 dicembre 1996, avverso Car. Esattoriale n. 6647078 - Tosap,  94
 contro Concessionario di Bolzano Cassa di Risparmio di Bolzano S.p.a.
 da   Beta  Costruzioni  S.r.l.  a  mezzo  legale  rappr.  pro-tempore
 residente a Bolzano .Bozen. (Bolzano) in Viale Venzia, 61, difeso da:
 avv.to Miori Luciano Andrea  residente a Bolzano .Bozen. (Bolzano) in
 Via Duca D'Aosta, 51.
                               F a t t o
   La questione proposta al giudizio di questo  Collegio  nasce  dalla
 richiesta di pagamento della Tosap avanzata dal comune di Bolzano nei
 confronti  della  Ditta  "BE.TA."  Costruzioni S.r.l." in relazione a
 varie annualita' per avere quest'ultima occupato temporaneamente  con
 ponteggi  parte  dell'area  denominata  "ex  Monopolio"  dopo  averne
 chiesta    l'autorizzazione    al    comune    medesimo.    Appurato,
 successivamente,  che  l'area  non era di proprieta' comunale, ma del
 Demanio pubblico dello Stato in  quanto  area  di  sedime  di  un  ex
 Deposito   generi  di  Monopolio,  la  societa'  contestava,  in  via
 amministrativa, la pretesa del comune ed, a seguito  di  notifica  di
 cartella   esattoriale,  provvedeva  ad  impugnarla  con  ricorso  in
 Commissione Tributaria.
   In sede  di  scambio  di  memorie,  depositate  tutte  nei  termini
 anteriormente   all'udienza   dibattimentale,   il  comune  riconosce
 l'illegittimita' della pretesa disponendo il rimborso di quanto  gia'
 versato  dalla  societa'  e  chiede  che  venga dichiarata cessata la
 materia del contendere.
   La richiesta non trova l'adesione della societa' ricorrente per  la
 parte  relativa  alle  spese di giudizio al pagamento integrale delle
 quali chiede venga condannata l'amministrazione  comunale  nonostante
 abbia  fatto tardivamente ricorso all'istituto dell'autotutele con il
 ritiro della pretesa ed il rimborso di quanto indebitamente  versato.
 Sostiene,  infatti,  la parte attrice che il comportamento del comune
 del tutto ingiustificato fin dall'origine ed ostinatamente perseguito
 durante la fase amministrativa della procedura contenziosa,  l'avesse
 costretta  ad  affrontare  spese  processuali delle quali non ritiene
 giusto farsi carico.
   Peraltro, ad avviso della  ricorrente,  il  disposto  del  comma  3
 dell'art.  46 del D.Lgs. n. 546/1992 che, in caso di cessazione della
 materia del contendere, assegna l'onere delle spese di giudizio a chi
 le ha gia' anticipate, puo' essere superato dal principio, piu' volte
 enunciato  dalla  Corte  di Cassazione della soccombenza teorica". In
 buona sostanza, si tratterebbe di disporre  la  condanna  alle  spese
 cosi'  come sarebbe accaduto se si fosse pervenuti ad un giudicato di
 merito,  in  realta'  impedito  dal   ravvedimento   della   pubblica
 amministrazione.
   La richiesta formulata dalla societa' viene supportata dal richiamo
 a  due decisioni della Suprema Corte di Cassazione (la n. 4863 del 15
 luglio 1983 della I Sezione Civile e la n. 3346 del  21  aprile  1990
 della III Sezione Civile) che nulla hanno, in realta', che vedere con
 l'argomento.  Ciononostante,  questo  Collegio  e' a conoscenza di un
 tale orientamento della Corte di Cassazione che consente di formulare
 il giudicato sulle spese di causa anche nel caso in cui, venuta  meno
 la materia del contendere, il giudice ritenga che il comportamento in
 sede  contenziosa  di  una  delle  parti  sia  stato  particolarmente
 temerario. Occorre osservare che la giurisprudenza delle  Commissioni
 Tributarie  non  e' stata, al riguardo, univoca. Infatti, a fronte di
 alcune decisioni che hanno ritenuto  di  poter  superare  il  preciso
 disposto  del  terzo  comma  dell'art.  46  del  D.Lgs.  n. 546/1992,
 applicando  sic  et  simpliciter  anche  nel  campo  del  contenzioso
 tributario  il  principio  della  soccombenza teorica elaborato dalla
 Suprema Corte di Cassazione in campo civilistico (vedi, da ultimo, la
 sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce - Sez.  IV
 n.  60  del  23  maggio  1997),  altri  Collegi,  pur riconoscendo la
 coerenza del principio sia con  l'ordinamento  generale  che  con  le
 finalita' perseguite del testo di riforma del contenzioso tributario,
 hanno  trovato insuperabile la specialita' della norma che disciplina
 l'assegnazione delle spese di causa nel  procedimento  tributario  in
 caso  di  cessazione  della  materia  del contendere. Ed, in realta',
 l'art. 45 in questione non dispone che le spese siano a carico  della
 parte che le ha anticipate soltanto per il caso "di definizione della
 pendenze  tributarie  previsti  dalla  legge" e, quindi, allorche' la
 cessazione della materia del contendere dipende da una definizione in
 senso tecnico  (condono,  accertamento  con  adesione,  conciliazione
 giudiziaria,  dichiarazione  integrativa),  come  sembra sostenere la
 societa' ricorrente, ma anche "in ogni altro caso di cessazione della
 materia  del  contendere"  che  ha  un  valore   residuale   completo
 comprensivo  certamente  della  situazione venutasi a determinare nel
 presente procedimento per effetto  della  rinuncia  alla  pretesa  da
 parte del comune di Bolzano.
   Cio'   detto,  occorre  osservare  che  vari  altri  Collegi  della
 giurisdizione tributaria di  merito  hanno  ritenuto  di  tentare  di
 superare  l'illogica disposizione del comma 3 dell'art. 46 formulando
 un'ordinanza di remissione della questione alla Corte  costituzionale
 per  la  dichiarazione  d'illegittimita' della disposizione (vedi, al
 riguardo, le ordinanze della Commissione  Tributaria  Provinciale  di
 Macerata   dell'11   aprile   1997  e  della  Commissione  Tributaria
 Provinciale di Lecce del 23 maggio 1997).
                             D i r i t t o
   Il decreto legislativo che, a  decorrere  dal  1  aprile  1996,  ha
 diversamente  regolamentato  il  processo,  tributario sostituendo il
 D.P.R.  n.  636/1972,  presenta   due   articoli   che   disciplinano
 l'estinzione  del processo (l'art. 44 e l'art. 45) ed un articolo (il
 46) che disciplina l'estinzione del giudizio. Al di la' di quelli che
 sono  gli  effetti  sul  procedimento  contenzioso,  si  presenta  di
 particolare  interesse  il  rapporto  fra  l'art.  44 e l'art. 46 con
 riguardo al giudizio  sulle  spese  di  causa.    Non  interessa,  al
 riguardo,  invece, l'art. 45 che disciplina l'estinzione del processo
 per inattivita' delle parti. Infatti, in questo caso  "le  spese  del
 processo   estinto   restano  a  carico  delle  parti  che  le  hanno
 anticipate". Ne', in realta', sembra possibile una diversa  soluzione
 stante l'inattivita' delle parti.
   Diverso  e'  il  caso  degli  artt.  44  e  46  dove,  a  fronte di
 comportamenti omogenei, la legge dispone un diverso trattamento delle
 spese di giustizia maturate.
   L'art. 44 disciplina l'ipotesi di rinuncia al ricorso. In  realta',
 in tal caso, si possono verificare due ipotesi:
     a)  la  rinuncia  al ricorso da parte di uno dei ricorrenti viene
 accettata per iscritto da tutte  le  altre  parti.  In  tal  caso  il
 processo si estingue;
     b) la rinuncia al ricorso non e' accettata dalle parti costituite
 "che abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del processo".  In
 tal caso il processo prosegue.
   L'ipotesi interessante, ai fini della condanna alle spese di causa,
 e'  la  prima.  Infatti,  nel  caso  di  estinzione  del processo per
 rinuncia del ricorrente, questi deve rimborsare le spese  alle  altre
 parti, salvo diverso accordo. Quindi, la legge, pur riconoscendo che,
 in  merito,  le parti in causa si accordino diversamente, in mancanza
 di diverso accordo fa carico delle spese al rinunciante.
   Situazione analoga e' quella prevista dall'art. 46 dove,  tuttavia,
 il  vanir  meno  della materia del contendere comporta un regolamento
 del carico delle spese tale che, in ogni caso, chi le  ha  anticipate
 le deve sopportare.
   A  giustificazione  del  diverso orientamento del legislatore forse
 puo' dirsi che il primo comma dell'art. 46,  nella  sua  genericita',
 comprende numerose ipotesi di cessazione della materia del contendere
 che  avrebbero  resa  complessa una disciplina del carico della spesa
 analoga a quella dell'art. 44. Tuttavvia, cio' che  lascia  perplessi
 e'  la  rigidita'  del  terzo  comma che, disponendo la compensazione
 delle  spese,  esclude  qualsiasi  possibilita'  per  il  giudice  di
 valutare caso per caso e trattare situazioni simili in modo analogo.
   Al  Collegio  appare  giustificata la doglianza del ricorrente e la
 richiesta di addebito integrale delle spese al comune.
   Orbene, osservata la disparita' di trattamento  in  relazione  alle
 spese riservata dai due articoli in esame alla parte che abbandona la
 causa, resta da chiedersi se sia possibile che anche nel procedimento
 contenzioso  trovi  applicazione  il principio processual-civilistico
 della soccombenza virtuale.
   Se, in effetti, sia possibile superare sul  piano  logico-giuridico
 l'impedimento  alla  estensione  al processo tributario del principio
 affermatosi  nel  processo   civile   ordinario,   costituito   dalla
 specialita' dell'art. 46 del D.Lgs. n. 546/1992.
   Al  riguardo  e'  necessario  richiamare  due  istituti  di recente
 introduzione nell'ordinamento che sono confluiti od  hanno,  comunque
 influenzato l'art. 46, comma 3 delineandone i connotati:
     a)  l'istituto  del  giudicato sulle spese di lite introdotto nel
 processo tributario dall'art.  35  del  decreto  legislativo  che  ha
 novellato al riguardo;
     b)  l'istituto  dell'"autotutela"  della pubblica amministrazione
 introdotto in attuazione dei  criteri  di  efficienza,  efficacia  ed
 economicita'  specificamente  richiamati  dall'art.  1  del D.Lgs. n.
 29/1993.  In  realta',  l'istituto  dell'autotutela  non  costituisce
 un'innovazione  introdotta dal D.Lgs. n. 29/1993 in quanto, fin dalla
 fine degli anni sessanta, le pubbliche amministrazioni, nel tentativo
 di  rendere  operanti  i  principi  di   efficienza,   efficacia   ed
 economicita'  avevano  fatto  richiamo all'autotutela quale strumento
 idoneo ad evitare od a limitare  i  danni  possibilinente  scaturenti
 dall'azione amministrativa.
   Ed, in effetti, uno dei mezzi esistenti per sottrarsi a conseguenze
 piu'  dannose  nel  campo  contenzioso  e'  quello  di sottrarsi alla
 controversia.   Di  queste  esigenze  sembra  aver  fatto  tesoro  il
 comitato di esperti guidato dal prof. Glendi al fine di agevolare:
     a)  il ravvedimento della pubblica amministrazione senza gravarla
 delle spese di lite anticipate dalla controparte;
     b)  la  deflazione  del  contenzioso  in  generale  per   effetto
 dell'abbandono  sia delle cause insostenibili sia di quelle di minimo
 rilievo.
   Ma non sembra che il legislatore abbia usato la stessa  benevolenza
 o,  se vogliamo, accortezza nei confronti del ricorrente che rinuncia
 al ricorso. Anche la rinuncia al ricorso favorisce la deflazione  del
 contenzioso; ciononostante il rinunciante deve rimborsare le spese di
 lite  anticipate  dalle altre parti. Sembra, quindi, che il principio
 della pari dignita' delle parti anche nel processo tributario che  ha
 costituito  una  delle  ragioni forti della riforma venga chiaramente
 disatteso dal comma 3 dell'art. 46 del D.Lgs. n. 546/1992.
   Il Collegio, per i motivi sopra  esposti,  non  ritiene  che  possa
 trovare   ingresso   nel   processo   tributario  il  criterio  della
 soccombenza virtuale ai fini della condanna alle spese atteso che  la
 materia  e' specificatamente disciplinata nella legge che ha rango di
 legge speciale rispetto  al  codice  di  procedura  civile.  Ma,  nel
 contempo,   ritiene   che  esistano  i  presupposti  d'illegittimita'
 costituzionale del detto art. 46 comma 3 del D.Lgs. n.  546/1992  con
 riferimento  ai  principi  contenuti  negli  artt. 3, primo e secondo
 comma e 24 della Costituzione di eguaglianza dei cittadini di  fronte
 alla legge e del diritto alla difesa.