ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  del  combinato  disposto
 degli  artt.  71  e  72  del codice di procedura penale, promosso con
 ordinanza emessa il 25 luglio 1997 dal pretore di Avezzano,  iscritta
 al  n.  689  del  registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 42,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 25  novembre  1998  il  giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
   Ritenuto  che  nel corso di un dibattimento per il delitto di furto
 aggravato il pretore di Avezzano sottoponeva  l'imputato  a  perizia,
 avendo motivo di ritenere che l'imputato stesso non fosse in grado di
 partecipare   coscientemente   al   processo,  e  che  l'accertamento
 psichiatrico   concludeva   "per   l'incapacita'   dell'imputato   di
 partecipare  coscientemente  al  processo,  per la sua incapacita' di
 intendere e di volere al momento del fatto", nonche' per l'assenza di
 pericolosita' sociale;
     che, ordinata la sospensione del processo e designato un curatore
 speciale, a norma dell'art. 71, commi 1 e 2, del codice di  procedura
 penale,  il  pretore,  alla scadenza del sesto mese dall'ordinanza di
 sospensione, disponeva, ai sensi dell'art. 72, comma 1, dello  stesso
 codice, un nuovo accertamento psichiatrico il cui esito non differiva
 da quello precedentemente eseguito; in piu', il perito - a seguito di
 specifico   quesito  del  giudicante  -  formulava  una  prognosi  di
 immodificabilita'  in  senso  migliorativo,  riconoscendo  ...  cause
 precocissime che hanno determinato un danno organico permanente;
     che  all'ulteriore  scadenza  dei  sei mesi, il pretore, prima di
 disporre un nuovo accertamento, premessa l'inutilita'  di  periodiche
 verifiche   essendo  assente  ogni  possibilita'  di  una  favorevole
 evoluzione dello stato patologico, ha, con ordinanza  del  25  luglio
 1997,  denunciato,  in riferimento all'art. 3 della Costituzione, gli
 artt. 71 e 72 del codice di procedura penale, nella parte in cui  non
 consentono al giudice, nel caso in cui l'incapacita' dell'imputato di
 partecipare coscientemente al processo sia irreversibile, di definire
 il  processo  stesso  "con  pronuncia  di  mero  rito,  attestante il
 difetto, rebus sic stantibus, di una condizione del procedere"; ferma
 restando la riproponibilita' dell'azione  penale  (salva  l'incidenza
 della  prescrizione),  a  norma dell'art. 345 del codice di procedura
 penale, ove l'irreversibilita' della malattia mentale  dovesse  venir
 meno o fosse stata erroneamente diagnosticata;
     che il giudice a quo argomenta come la questione ora proposta sia
 diversa  da  quella  dichiarata  non  fondata con sentenza n. 281 del
 1995, sia per il tertium comparationis evocato, e cioe' la situazione
 dell'imputato che versi solo transitoriamente in stato di incapacita'
 di intendere e di volere, con conseguente irragionevole equiparazione
 delle due ipotesi  poste  a  confronto,  sia  per  la  soluzione  ora
 additata,   da  ritenere  "costituzionalmente  obbligata"  in  quanto
 derivante "da principi generali di sistematicita' e coerenza  interna
 dell'ordinamento";
     che  nel  giudizio  ha  spiegato  intervento  il  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri, riportandosi a quanto  dedotto  nell'atto  di
 intervento  proposto  in relazione alla questione decisa con sentenza
 n. 281 del 1995;
   Considerato che il rimettente,  col  precisare  che  l'accertamento
 psichiatrico  disposto  aveva  acclarato  lo  stato di incapacita' di
 intendere e di volere  al  momento  del  fatto  e  che  tuttavia  non
 potrebbe  pronunciare  il  proscioglimento  per  tale  causa  perche'
 "siffatte   pronunce   implicano   un'implicita    affermazione    di
 responsabilita'   e   inducono   o   possono  indurre  a  conseguenze
 sfavorevoli (iscrizione nel casellario  giudiziale,  applicazione  di
 misure   di  sicurezza  ecc.)  incompatibili  con  la  condizione  di
 minorita' dell'imputato", non ha indicato le ragioni per le quali, in
 presenza di un imputato  in  tale  stato  da  non  poter  partecipare
 coscientemente al processo, non si sia proceduto ad assumere le prove
 ai sensi del combinato disposto degli artt.  71, comma 4, e 70, comma
 2,  del codice di procedura penale, anche utilizzando in dibattimento
 lo strumento previsto dall'art. 507 dello stesso  codice,  dato  che,
 come  questa  Corte ha gia' avuto occasione di precisare (v. sentenza
 n. 281 del 1995, nonche' sentenze n. 340 del 1992  e  23  del  1979),
 l'attuale  sistema  se,  da  un  lato, risulta informato "alla tutela
 della   liberta'   di   determinazione   dell'imputato",   favorisce,
 dall'altro  lato,  "il  compimento delle attivita' acquisitive in suo
 favore",  secondo  una  linea  diretta  comunque  a  precludere   che
 "perdurando  l'incapacita', possa essere pronunciata una decisione di
 condanna dalla quale scaturirebbe la sicura violazione dell'art.  24,
 secondo comma, della Costituzione";
     che, peraltro, mentre per un verso,  trattandosi  di  infermo  di
 mente  tunc  et  nunc  non  restava  precluso al giudice a quo previa
 acquisizione, con le modalita' sopra ricordate, delle prove a  favore
 dell'imputato,  prosciogliere  l'imputato  stesso o nel merito ovvero
 per  infermita'  di  mente al momento del fatto, tanto piu' che, come
 risulta dall'ordinanza  di  rimessione,  il  perito  aveva  accertato
 l'assenza di pericolosita' sociale;
     che,  dunque,  il  giudice  a  quo  omettendo,  non soltanto ogni
 riferimento all'attivita' di acquisizione probatoria da  cui  sarebbe
 potuta  scaturire  anche  una pronuncia di assoluzione nel merito, ma
 pure ogni richiamo alla possibilita' di prosciogliere  l'imputato  ai
 sensi  dell'art.    88  del  codice penale, ha mancato di motivare in
 ordine al necessario requisito della rilevanza;
     che, di conseguenza, la  questione,  cosi'  come  proposta,  deve
 essere dichiarata manifestamente inammissibile;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;