ha pronunciato la seguente Ordinanza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 297, comma 3, del codice di procedura penale, promossi con due ordinanze emesse il 26 gennaio 1998 dal Tribunale di Lecce, iscritte ai nn. 222 e 223 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1998. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1999 il giudice relatore Giuliano Vassalli. Ritenuto che il Tribunale di Lecce, con due ordinanze recanti la medesima motivazione, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 297, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui non stabilisce la inoperativita' del principio di retrodatazione per "le ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima della presentazione della richiesta di applicazione di una misura cautelare disposta per il fatto con il quale sussiste connessione"; che a parere del tribunale rimettente la normativa impugnata si porrebbe in contrasto con il principio sancito dall'art. 3 della Costituzione, in quanto: a) irragionevolmente parifica il caso in cui il pubblico ministero abbia artificiosamente diluito nel tempo i vari interventi cautelari, rispetto a quello in cui lo stesso pubblico ministero abbia scoperto elementi relativi a taluni reati solo dopo la richiesta di emissione della prima ordinanza cautelare; b) irragionevolmente collega la deroga al principio di retrodatazione all'intervenuto rinvio a giudizio per reati "connessi" oggetto della prima ordinanza custodiale; c) il discrimine fornito dal rinvio a giudizio, anziche' fornire maggiori garanzie, e' fonte di incertezze e possibili abusi, essendo correlato alla scelta del pubblico ministero di chiedere il rinvio a giudizio per alcuni dei reati "connessi"; che nei giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. Considerato che le ordinanze sollevano l'identica questione e che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unico provvedimento; che questa Corte, chiamata a pronunciarsi sull'identico quesito, ha disatteso la fondatezza delle censure rilevando, fra l'altro, che l'introduzione di parametri certi e predeterminati, quali quelli previsti dalla normativa oggetto di impugnazione, "lungi dall'assumere connotazioni di arbitrarieta', si appalesa nella specie come opzione del tutto coerente rispetto alla avvertita esigenza di configurare limiti obiettivi e ineludibili alla durata dei provvedimenti che incidono sulla liberta' personale e cio' con particolare riguardo alla fase delle indagini preliminari, la quale, per essere affidata alle iniziative investigative del pubblico ministero, mal si presta a controlli successivi sul sempre opinabile terreno della tempestivita' delle relative acquisizioni" (v. sentenza n. 89 del 1996); che nelle ordinanze di rimessione non e' dato rinvenire argomenti nuovi o diversi da quelli allora esaminati e che, pertanto, la questione ora proposta deve essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.