IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  1988/95
 proposto da Gramaglia Mauro, rappresentato e difeso  dall'avv.  Paolo
 Sanchini  ed  elettivamente domiciliato presso lo stesso, in Firenze,
 via G.  Richa n. 56;
   Contro il prefetto di Livorno, nella persona pro-tempore in carica,
 costituitosi  in  giudizio,  rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura
 Distrettuale dello  Stato  ed  elettivamente  domiciliato  presso  la
 stessa,  in Firenze, via degli Arazzieri n. 4; per l'annullamento del
 provvedimento di diniego del 13 aprile 1995,  con  cui  si  nega,  al
 ricorrente,  l'applicabilita'  dell'art.  7,  comma  1 della legge 21
 febbraio 1990, n. 36 e, in subordine, del diniego dell'istanza  volta
 ad ottenere il rinnovo della licenza di porto di pistola;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto   l'atto   di   costituzione  in  giudizio  della  Avvocatura
 Distrettuale dello Stato;
   Viste le memorie prodotte dalle  parti  a  sostegno  delle  proprie
 difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Udito,  alla  pubblica  udienza del 5 febbraio 1997, il consigliere
 dott. Adolfo Metro;
   Uditi,  altresi',  gli   avv.ti   P.   Sanchini   e   S.   Cappelli
 dell'Avvocatura dello Stato;
   Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Con  ricorso  notificato  in  data  19  maggio 1995 e depositato il
 successivo 24 maggio, viene impugnato il provvedimento del 13  aprile
 1995  con  cui  il  prefetto  di  Livorno  ha affermato, tra l'altro,
 l'inapplicabilita', nei confronti del ricorrente, nella sua  qualita'
 di avvocato dello Stato, dell'art. 7 della legge 21 febbraio 1990, n.
 36 in quanto tale norma concede il porto d'armi senza licenza solo ai
 magistrati dell'ordine giudiziario.
   Il    ricorrente    sostiene,    con    il    ricorso   in   esame,
 l'incostituzionalita' della surrichiamata disposizione, in  relazione
 all'art.  3  della  costituzione,  per  violazione  del  principio di
 uguaglianza, nella parte in cui esclude  che  gli  appartenenti  alle
 magistrature  amministrative,  contabile  militare  e  all'Avvocatura
 dello Stato non possono usufruire, a  differenza  degli  appartenenti
 alla  magistratura ordinaria in senso stretto, del porto d'armi senza
 licenza.
   L'Avvocatura dello Stato, costituitasi in giudizio,  ha  sostenuto,
 per tale profilo, l'infondatezza del gravame.
                             D i r i t t o
   Ritiene   il   collegio   che  l'eccezione  di  incostituzionalita'
 dell'art.  7, comma 1 della legge 21  febbraio  1990,  n.  36,  debba
 ritenersi fondata.
   Il  regolamento  al T.U.L.P.S., r.d. 35/1940, dispone, all'art. 73,
 primo comma, che oltre agli altri soggetti ivi indicati, (e cioe', il
 capo della Polizia, il  Prefetti,  i  Vice  Prefetti,  gli  Ispettori
 provinciali  amministrativi,  gli  Ufficiali  di pubblica sicurezza),
 anche "i Pretori e i  Magistrati  addetti  al  pubblico  Ministero  o
 all'Ufficio di istruzione, sono autorizzati a portare, senza licenza,
 le  armi  di  cui  all'art.  42  della  legge" (e cioe' l'art. 42 del
 T.U.L.P.S., r.d. n. 773/1931, che prevede la facolta' del Questore di
 "dare licenza per porto d'armi").
   Successivamente, l'art. 7, comma 1, della legge 21  febbraio  1990,
 n.  36  ha  ampliato  la  portata  della citata norma del T.U.L.P.S.,
 estendendo la facolta' di porto d'armi senza licenza, oltre che  alle
 persone  indicate  nel  cit. art. 73 del r.d. 635/1940, anche "... ai
 magistrati   dell'ordine   giudiziario,   anche   se  temporaneamente
 collocati fuori dal ruolo organico... ".
   Tale ampliamento "soggettivo" realizzato dalla cit. legge n. 36/90,
 trova  ovvio  fondamento   nella   consapevolezza,   da   parte   del
 legislatore,  che  non  solo  la  magistratura requirente penale ed i
 giudicl  istruttori  penali  (e  cioe'  i  magistrati  gia'  indicati
 nell'art.  73  T.U.L.P.S.), ma tutta la magistratura, svolge funzioni
 il  cui  esercizio  puo'  esporre  a  reali  e  consistenti,   seppur
 ipotetici, rischi per la incolumita' personale.
   Il   carattere   che  accomuna  i  magistrati  titolari  di  uffici
 totalmente diversi sotto il profilo  delle  materie  trattate  e  dei
 compiti  svolti,  e'  dato, quindi, dal fatto che i medesimi, essendo
 dotati di potere decisorio nei procedimenti  loro  affidati,  debbono
 svolgere  tale  compito  in  assoluta  indipendenza  ed in assenza di
 qualsivoglia influenza coartante.
   Tale posizione di liberta', insindacabilita'  ed  indipendenza,  in
 relazione  alle  scelte adottate, puo' comportare varie implicazioni,
 tra cui, la esposizione a pericolo per l'incolumita' personale,  piu'
 o meno concreto a seconda delle questioni trattate.
   Pertanto,  la  funzione  del magistrato e' stata ritenuta a rischio
 sotto il profilo  della  sicurezza  personale,  indipendentemente  da
 elementi   di   allarme   che   possono  rendere  quel  rischio  piu'
 consistente,  quale  potrebbe  essere  lo  svolgimento  di  attivita'
 collegata  alla indagine su reati; ma lasciando a ciascun magistrato,
 in base alla propria valutazione, la possibilita' di portare armi per
 provvedere alla propria sicurezza, e  cio',  senza  rilascio  di  una
 licenza o di oneri economici per il suo rilascio.
   La   tutela   della  sicurezza  del  magistrato  e  la  valutazione
 discrezionale dell'esposizione a pericolo, lasciata alla  valutazione
 discrezionale  dell'interessato, e giunta, anzi, fino a ricomprendere
 anche le posizioni di soggetti temporaneamente collocati fuori ruolo,
 facendo  cosi'  venir  meno  anche  il  collegamento  immediato   con
 l'esercizio  delle  funzioni,  e  cio',  presumibilmente,  al fine di
 continuare a garantire la  possibilita'  di  difesa  personale  anche
 rispetto  ad  attivita'  che,  pur  se rischiose, non godono piu' del
 requisito dell'attualita', in quanto non piu' riferibili,  quantomeno
 immediatamente,     all'esercizio    di    attivita'    latu    sensu
 giurisdizionali.
   In  relazione  a  tali  considerazioni,  appare  evidente  che   la
 disposizione  normativa  in  esame,  nella  parte  in  cui concede la
 facolta'  di  portare  armi  senza  licenza  soltanto  ai  magistrati
 dell'ordine  giudiziario,  senza estenderla alle altre magistrature e
 alla Avvocatura dello Stato, non puo' configurarsi  come  espressione
 della   volonta'  discrezionale  del  legislatore  ma  si  pone  come
 violativa del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), con  specifico
 riferimento  all'unita'  della  funzione giurisdizionale (artt. 102 e
 103 Cost.) ed alla  tradizionale  equiparazione,  ai  fini  giuridici
 (oltre  che  economici),  di tutte le magistrature e della Avvocatura
 dello Stato alla stessa disciplina dell'ordine giudiziario  (art.  23
 r.d. 3 ottobre 1933, n. 611).
   Del  resto,  va  rilevato che i giudici del Consiglio di Stato, dei
 Tribunali Amministrativi, della  Corte  dei  conti  e  dei  Tribunali
 militari   possono   svolgere   attivita'  giustiziali  collegate  ad
 interessi di rilevanza ben maggiore di quelle svolte  dai  magistrati
 ordinari  anche sotto il profilo del connesso rischio incidente sulla
 sicurezza personale.
   Valutazioni non dissimili, possono essere formulate  nei  confronti
 degli Avvocati dello Stato che, pur non essendo officiati di funzioni
 giurisdizionali,  svolgono  funzioni  giustiziali  e di consulenza di
 notevole contenuto e  sicurezza,  in  posizione  di  indipendenza  ed
 autonomia,  quali, ad esempio, funzioni difensive di parte civile nei
 processi penali,  atti  riservati,  atti  che  coinvolgono  interessi
 pubblici, ecc.
   Se ne deduce che il cit. art. 7 della legge n. 36/90, pur nella sua
 specialita',  nella  parte  in cui circoscrive la sua applicazione ai
 soli magistrati dell'ordine giudiziario, senza estenderla alle  altre
 Magistrature  e  all'Avvocatura  dello  Stato che condividono, con la
 magistratura ordinaria, identiche esigenze di difesa personale,  deve
 ritenersi   incostituzionale   per   violazione   del   principio  di
 uguaglianza  e  di  parita'  di  trattamento  rispetto  a  situazioni
 giuridiche analoghe, in riferimento alla natura e alla qualificazione
 dei  soggetti  a  cui  queste  vengono imputate (art. 3 Cost.), ed in
 parte, (per i  soli  magistrati  non  appartenenti  al  c.d.  "ordine
 giudiziario"   anche   in   relazione   alla  unita'  della  funzione
 giurisdizionale, cui agli artt.  102 e 103 della Costituzione.
   A tale stregua, vanno sottoposte alla Corte  le  questioni  di  cui
 sopra  e,  conseguentemente,  va disposta la sospensione del presente
 giudizio e la trasmissione degli atti alla corte costituzionale.