IL TRIBUNALE
   Nella  causa  n.  1121/97  r.g.  promossa   da   Fracasso   Rosella
 Clementina, con l'avv. Fermo Benussi, attrice;
   Contro  Montanaro  Graziano  in  proprio  e  nella  sua qualita' di
 titolare della ditta  Bar  Grattacielo  di  Montanaro  Graziano,  con
 l'avv. Rocco Oddone, convenuto;
   Ha pronunciato la seguente ordinanza:
                               F a t t o
   Espletata  l'istruttoria,  l'attrice  chiedeva  fissarsi udienza di
 precisazione delle conclusioni e formulava istanza ex art. 186-quater
 c.p.c.; questo giudice, con ordinanza,  condannava  il  convenuto  al
 risarcimento   del  danno  subito  dall'attrice  per  complessive  L.
 10.950.000,  oltre  interessi,  ed   alla   refusione   delle   spese
 processuali.
   Proposta  da questo giudice istanza di astensione al presidente del
 tribunale per "gravi ragioni di convenienza" (art. 51, cpv., c.p.c.),
 la medesima veniva rigettata.
                  Diritto e rilevanza della questione
   Questo giudice  solleva  d'ufficio  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  51, primo comma, n. 4, c.p.c., nella parte
 in cui non prevede l'obbligo di astensione del giudice che abbia, con
 ordinanza, deciso sull'istanza ex art.  186-quater  c.p.c.  e,  nella
 specie,  abbia  condannato  il  resistente  al  pagamento,  in favore
 dell'altra parte, di una somma di denaro e delle spese processuali.
   Ritiene, infatti, il giudicante di non poter  procedere  alla  fase
 decisoria  della causa ed alla pronuncia della sentenza - in funzione
 dl giudice unico ex art. 190-bis  c.p.c.  -  indipendentemente  dalla
 deliberazione  della  questione  di legittimita' costituzionale della
 norma enunciata, derivando dalla stessa l'obbligatorieta' o meno  per
 questo giudice di astenersi dal giudizio.
   Infatti,  nella  fattispecie concreta, il g.i. ha accolto l'istanza
 ex art. 186-quater  c.p.c.  formulata  dall'attrice,  condannando  il
 convenuto  al  risarcimento  del  danno ed alla refusione delle spese
 processuali.
   Consegue che, ove ne ricorra l'obbligo, questo giudice ha il dovere
 di astenersi facendone espressa  dichiarazione  e  dandone  immediata
 notizia  al  capo  dell'ufficio  competente  (art. 78, secondo comma,
 disp. att.).
   Qualora invece non ricorra tale obbligo, deve proseguire nella fase
 decisoria della causa e pronunciarsi con sentenza  per  il  caso  che
 questa non venga rinunciata o il processo non si estingua.
                      Non manifesta infondatezza
   La  questione  di  legittimita' costituzionale della norma in esame
 deve  essere  valutata  come   non   manifestamente   infondata   con
 riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.
   Contrasto con l'art. 24 della Costituzione.
   1.  -  L'art.  51,  n.  4  c.p.c., prevede l'obbligo del giudice di
 astenersi se ha avuto conoscenza  della  causa  in  altro  grado  del
 processo.
   La    norma    enunciata    "e'    funzionale   al   principio   di
 imparzialita'-terzieta' della  giurisdizione,  che  ha  pieno  valore
 costituzionale  con  riferimento  a  qualunque  tipo  di processo, in
 relazione  specifica  al  quale,  peraltro,  puo'  e   deve   trovare
 attuazione  (Corte  cost.,  sentenza  27  ottobre-7 novembre 1997, n.
 326).
   Tale principio risponde all'esigenza di proteggere il giudizio  del
 merito  della causa dal pregiudizio effettivo o anche solo potenziale
 derivante  da  valutazioni  emesse  in  occasione  di   provvedimenti
 adottati in un momento precedente.
   Il  pericolo  della  compromissione  dell'imparzialita' del giudice
 sussiste in concreto ove questi,  "sia  costretto,  nel  decidere,  a
 ripercorrere  l'identico  itinerario  logico precedentemente seguito"
 (Corte cost., sentenza 14-24 luglio 1998, n. 341).
   Cio' si verifica, in particolare, quando preesistono valutazioni di
 contenuto che cadono sulla stessa res iudicanda ossia quando  vi  sia
 la  duplicazione  di  giudizi,  non meramente formali, della medesima
 natura, presso lo stesso giudice (Corte  cost.,  sentenza  24  aprile
 1996, n. 131).
   In  questo  caso  sussiste  infatti  il  rischio  di  un  effettivo
 condizionamento del giudice  in  quanto  "l'ambito  della  precedente
 cognizione  e quello della successiva sono il medesimo" (Corte cost.,
 n. 326/97, citata).
   2.  -  Ritiene  questo  giudice  che,  alla  stregua  dei  principi
 enunciati,  non  sia  manifestamente  infondato  il  dubbio  circa la
 costituzionalita' dell'art. 51, comma 1, n. 4 c.p.c. nella  parte  in
 cui  non  prevede l'obbligo del giudice che abbia emesso un'ordinanza
 ex art. 186-quater c.p.c. di astenersi dall'ulteriore  trattazione  e
 decisione della causa.
   L'ordinanza  successiva  al'istruzione e infatti un provvedimento a
 cognizione  piena  -  dal  contenuto   decisorio   ed   esecutivo   -
 potenzialmente idoneo ad acquistare l'efficacia di sentenza.
   In  particolare,  la  decisione  in  ordine  all'istanza e' assunta
 quando il contraddittorio si e' sviluppato  pienamente;  inoltre,  il
 giudice  ha  l'obbligo di valutare l'istruzione eventualmente svolta,
 tutti i documenti e le eccezioni sollevate dalle parti.
   L'art. 186-quater, comma 3, c.p.c. stabilisce poi  che  l'ordinanza
 "e revocabile con la sentenza che definisce il giudizio"; quindi, per
 il caso che il processo non si estingua e la pronuncia della sentenza
 non  sia rinunciata, il giudice e' tenuto ad esaminare nuovamente gli
 atti delle parti ed il materiale  probatorio  in  base  al  quale  ha
 emesso l'ordinanza.
   Cio'  comporta la duplicazione di un giudizio contenutistico, della
 stessa natura, da parte del medesimo giudice.
   L'ordinanza, infatti, e' funzionale  alla  soluzione  anticipata  -
 rispetto  alla  sentenza  - della controversia, quindi la valutazione
 del giudice e' operata sulla medesima res judicanda.
   Appare quindi logico  presumere  che  possa  esservi  una  naturale
 tendenza  a  mantenere,  in  sede  di  redazione  della  sentenza, il
 giudizio gia' espresso in altro momento decisionale  -  a  cognizione
 piena  - del medesimo procedimento, cosi' compromettendo il principio
 dell'imparzialita'   del   giudice  e  con  pregiudizio  del  diritto
 inviolabile alla difesa in ogni stato e grado del processo.
   Ne' puo' ritenersi che l'eventuale  successiva  precisazione  delle
 conclusioni  ed  il  deposito  di comparse conclusionali, espressione
 dell'impulso   paritario   delle   parti,    possano    efficacemente
 condizionare  la  conclusione del giudizio ed influire sul meccanismo
 psicologico  che  presiede  alla  formazione  del  convincimento  del
 giudice.
   A  parere  di questo giudice, nel caso in esame, ricorrono pertanto
 tutte le condizioni necessarie per dover ritenere un'incompatibilita'
 endoprocessuale tale da rendere doverosa l'astensione.
   3. - L'art. 51, capoverso,  c.p.c.  prevede  invero  l'obbligo  del
 giudice  di  richiedere  al  capo  dell'ufficio  l'autorizzazione  ad
 astenersi  in  ogni  caso  in  cui   "esistano   gravi   ragioni   di
 convenienza".
   Tale rimedio, peraltro, se ben si attaglia a tutti i casi in cui la
 sovrapposizione  di  giudizi e' meramente eventuale, non puo' trovare
 applicazione quando cio' avvenga, come nella fattispecie in esame, in
 via generale.
   4.  -  Questo  giudice,  infine,  e'  consapevole  che  l'eventuale
 accoglimento  della  questione di costituzionalita' in esame potrebbe
 comportare notevoli difficolta'  nella  organizzazione  degli  uffici
 giudiziari:    un  giudice  decidera' sull'istanza ex art. 186-quater
 c.p.c.; un diverso giudice redigera' la sentenza (salve le  residuali
 ipotesi in cui l'ordinanza acquisti efficacia di sentenza).
   Il    legislatore,    nell'esercizio    della   sua   insindacabile
 discrezionalita', con il d.-l. 21 dicembre 1995, n.  238  (convertito
 con  legge 20 dicembre 1995, n. 534), tra le varie ipotesi normative,
 ha  optato  per  un'ordinanza  che  solo   eccezionalmente   acquista
 efficacia di sentenza.
   E'  appena  il  caso  di  ricordare  che  il  C.S.M.  -  nel parere
 deliberato nella seduta del 23 novembre 1995, in relazione al disegno
 di legge di conversione (tra l'altro) del d.-l. 21  giugno  1995,  n.
 238  - aveva auspicato l'adozione di una diversa ordinanza: "esaurita
 l'istruzione, su istanza di parte, il g.i. definisce il giudizio  con
 ordinanza avente efficacia di sentenza".
   Tuttavia il giudice e' soggetto soltanto alla legge ed ha l'obbligo
 di applicarla fino a che ritenga che non sia manifestamente infondato
 il dubbio del suo contrasto con una norma della Costituzione