LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha  emesso  la seguente ordinanza sul ricorso n. 5097/97 depositato
 il 17 ottobre 1997 avverso car. esattoriale n.  218370  -  IRPEF  90,
 contro  imposte  dirette  di Cirie' da Chiado Puli Laura, residente a
 Rocca Canavese (To) in Case Gare, 43/B, difeso da Ronchi  Riccardi  e
 Borgnino  Riccardo  c/o  studio  Bronzo  residente  a  Torino  in Via
 Palmieri, 29;
   L'Ufficio II.DD. di Cirie', a seguito di riliquidazione della  D.U.
 dei  redditi  per  l'anno  1990  relativa  alla  contribuente signora
 Chiado' Puli  Laura,  emetteva  cartella  esattoriale  con  la  quale
 richiedeva  il  pagamento  della  complessiva somma di L. 370.000 per
 omesso versamento di acconto IRPEF.
   La signora Chiado', con tempestivo ricorso, contestava  la  pretesa
 dell'ufficio  finanziario  e  chiedeva "l'annullamento della cartella
 esattoriale di cui  in  premessa  per  utilizzo  improprio  dell'art.
 36-bis  del  d.P.R. n. 600/1973 nonche' la condanna al rimborso delle
 somme eventualmente versate e vittoria delle spese di giudizio".
   A conforto della propria tesi, richiamava la sentenza  della  Corte
 di Cassazione sezione I civ., n. 7088 del 9 maggio 1997 depositata il
 29   luglio   1997  in  cui  viene  affermato  inconfutabilmente  che
 "l'amministrazione finanziaria non puo' in  base  alla  procedura  di
 liquidazione  dell'imposta di cui all'art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973,
 procedere all'iscrizione a  ruolo  in  epoca  successiva  al  termine
 sancito dallo stesso articolo".
   Nella  memoria  di costituzione (prot. n. 3701 del 4 novembre 1997)
 l'Ufficio   impositore   ribadiva   la   legittimita'    dell'operato
 dell'Ufficio  in  quanto "il termine per l'iscrizione a ruolo, a pena
 di decadenza, e' quello di cui al primo comma dell'art. 43 d.P.R.  n.
 600/1973"  e  chiedeva  il  rigetto  del  ricorso  e  la condanna "al
 pagamento a  favore  dell'amministrazione  finanziaria  delle  spese,
 competenze ed onorari".
   L'udienza  di  discussione  fissata  per  il 30 gennaio 1998 veniva
 aggiornata alla data odierna per vagliare l'eccezione di legittimita'
 costituzionale oralmente sollevata dal procuratore del ricorrente  in
 relazione  all'interpretazione  autentica  (art. 28 legge 27 dicembre
 1997  n.  449  Gazzetta   Ufficiale   30   dicembre   1997)   sancita
 sull'argomento, dal legislatore.
   La Commissione nel merito emette la seguente ordinanza;
   E'  configurabile un contrasto tra l'art. 28 legge 27 dicembre 1997
 n. 449 e gli artt. 3, 24, 53, 97 e 101 della Costituzione.
   Premesso in proposta che la Corte costituzionale ha gia' avuto modo
 di pronunziarsi piu' volte in tema di norme  recanti  interpretazione
 autentica  di  leggi  preesistenti.  La censura che viene comunemente
 mossa e' quella di uso irragionevole del  potere  di  interpretazione
 autentica  (Corte  cost.  30 marzo 1995, n. 94), censura che a parere
 del Collegio dovrebbe piu' esattamente identificarsi  come  contrasto
 con  gli  artt.  3,  comma  2,  Cost.;  in  quanto  il  comportamento
 eventualmente irragionevole del legislatore e'  in  contrasto  con  i
 principi  di  buona gestione da tale norma enunziati; e con l'art. 24
 in quanto l'uso non corretto dell'interpretazione autentica di  fatto
 vanifica  la possibilita' del cittadino di ottenere tutela avanti gli
 organi  giurisdizionali;  ottenendosi  attraverso  un   provvedimento
 presentato  come  interpretazione  autentica una modifica iniquamente
 retroattiva di una norma procedimentale.
   Questi  concetti valgono in generale; tuttavia nel caso particolare
 vengono in rilievo anche l'art. 53, in quanto le conseguenze  di  una
 modifica  di  fatto  iniquamente  retroattiva  nel campo impositivo -
 sempre in quanto presentata come interpretazione autentica - non puo'
 non ledere il principio dell'equita'  fiscale  previsto  dalla  norma
 costituzionale citata.
   Ed ancora, sempre nel caso particolare, viene in rilievo l'art.  97
 in  quanto il termine perentorio di cui all'art. 36-bis - che concede
 all'Amministrazione poteri straordinari di  riscossione  evitando  di
 fatto  la  fase dell'accertamento - mira appunto ad evitare che detto
 potere straordinario si protragga  eccessivamente  nel  tempo  e  che
 quindi  gli uffici possano disporre illimitatamente di tali facolta';
 la  qualifica  del  termine  -  pacificamente  perentorio   -   quale
 ordinatorio non puo' non porsi in tal modo in contrasto con l'obbligo
 di   imparzialita'   e   di   buon   funzionamento   della   pubblica
 amministrazione da detta norma costituzionale garantito.
   Infine si evidenzia il contrasto con l'art. 101; non si tratta  nel
 caso  particolare di attribuire un significato piuttosto che un altro
 alle parole, una volta tanto di grande chiarezza, ma di attribuire ad
 un termine il carattere di ordinatorieta' o di perentorieta':  il che
 e' funzione precipua della magistratura. Il legislatore  puo'  farlo,
 ovviamente,  ma  non  retroattivamente,  che'  altrimenti si vanifica
 appunto la funzione giurisdizionale.
   Tutto cio' evidentemente vale se vale la premessa, e cioe'  che  il
 legislatore  abbia fatto uso scorretto del potere di emanare norme di
 interpretazione autentica; ed e' la sussistenza di  tale  circostanza
 che va attentamente esaminata.
   I  limiti  di  tale  potere  sono  stati dalla Corte costituzionale
 definiti con la sentenza 12 luglio 1995 n. 311 (con richiamo alla  n.
 163 del 1991 e 413 del 1998), con cui il collegio ha precisato che la
 legge  di interpretazione autentica deve rispondere alla funzione che
 le e' propria; quella di chiarire il  senso  di  norme  preesistenti,
 ovvero  di  imporre una delle possibili varianti di senso compatibili
 col tenore letterale, sia al fine di eliminare  eventuali  incertezze
 interpretative,     sia     per    rimediare    ad    interpretazioni
 giurisprudenziali divergenti con la linea  di  politica  del  diritto
 seguita dal legislatore.
   Occorre  ora esaminare il disposto dell'art. 36-bis, per verificare
 se il medesimo possa dar luogo a qualsiasi dubbio interpretativo.
   Ecco il testo della norma come vigente al 31 dicembre 1997:
     "gli   uffici   delle   imposte,   avvalendosi    di    procedure
 automatizzate,  sulla  base  di  programmi  stabiliti annualmente dal
 Ministro delle finanze, procedono  entro  il  31  dicembre  dell'anno
 successivo  a quello di presentazione alla liquidazione delle imposte
 dovute nonche' ad effettuare rimborsi eventualmente spettanti in base
 alle dichiarazioni presentate dai contribuenti  e  dei  sostituti  di
 imposta,  sulla  scorta  dei  dati  e degli elementi desumibili dalle
 dichiarazioni stesse e dai relativi allegati ovvero  sulla  base  dei
 dati  dichiarati  o  comunicati  all'Amministrazione  finanziaria dai
 soggetti che hanno effettuato le ritenute".
   La norma come tale, come si vede, non abbisogna di  interpretazioni
 di sorta.
   Si deve pero' rilevare che nella sua formulazione originaria l'art.
 36-bis  (introdotto dall'art. 2 del d.P.R. n. 920/1976) non stabiliva
 termine alcuno, per cui  si  riteneva  operante  il  termine  fissato
 dall'art.    17,  comma 1, d.P.R. n. 600/1973 (dodici mesi dalla fine
 dell'esercizio cui la dichiarazione si riferisce).
   Dal 1 gennaio 1999 la disciplina sara' ancora diversa, ma  cio'  e'
 irrilevante  per  il problema odierno, mentre, per quanto concerne il
 caso particolare, va rilevato che lo stesso termine,  al  fine  della
 irrogazione  delle  soprattasse,  e'  rilevabile  nell'art. 98, terzo
 comma, del d.P.R. n. 602/1973.
   Il problema quindi che la giurisprudenza si  e'  posto,  visto  che
 l'amministrazione  non rispettava abitualmente il termine nella norma
 indicato, non era interpretativo, ma di perentorieta' o meno; e  cio'
 appunto   non  inerisce  l'interpretazione  della  norma,  bensi'  il
 principio generale  del  carattere  perentorio  o  meno  dei  termini
 apposti alle norme che prevedono poteri da parte degli uffici.
   Per  pervenire  al  risultato  sin  qui  generalmente  accettato, i
 giudici hanno tenuto conto anche dell'eccezionalita'  dei  poteri  di
 cui  all'art.    36-bis,  che prescindono dalla fase di accertamento,
 come si e' detto.
   Si  deve  aggiungere  che   anche   con   ordinanza   della   Corte
 costituzionale  n.  430 del 24 marzo 1988 depositata il 7 aprile 1988
 e' stato precisato che la liquidazione ex art. 36-bis, n. 600/1973 e'
 operata sulla base delle dichiarazioni presentate  mediante  un  mero
 riscontro  cartolare,  nei casi eccezionali e tassativamente indicati
 dalla legge, vertenti su errori materiali e di calcolo immediatamente
 rilevabili (senza la necessita' quindi di  alcuna  istruttoria),  che
 l'amministrazione finanziaria ha il potere-dovere di correggere anche
 a  vantaggio  del contribuente stesso; il che significa che la stessa
 Corte  costituzionale  nel  respingere  una  questione  sollevata   a
 proposito  dell'art.  36-bis  ha ben tenuto presente l'eccezionalita'
 della fattispecie.
   La giurisprudenza di legittimita' e di merito dunque, disattendendo
 gli orientamenti dell'amministrazione finanziaria, sulla base di tali
 presupposti,  ha  sempre riconosciuto la perentorieta' del termine di
 cui all'art. 36-bis.
   Recentemente, la Suprema Corte, - Sez. I civ.  -  con  sentenza  n.
 7088  del  9  maggio  1997,  ha  rammentato che la qualificazione del
 termine in questione come ordinatorio, anziche' come perentorio - del
 resto propria del diritto processuale piu' che di quello  sostanziale
 -   e'  infatti  tutt'altro  che  risolutiva,  posto  che  i  termini
 ordinatori possono essere prorogati solo prima della  scadenza  (art.
 154  C.p.c.)    e  che, pertanto, il loro inutile decorso produce gli
 stessi effetti preclusivi di  quelli  perentori  (Cassaz.  25  luglio
 1992, n. 8976; 23 gennaio 1991, n. 651; 23 febbraio 1985, n. 1633).
   Ne'  maggior  rilievo assume la circostanza che la sua inosservanza
 non  sia  stata  espressamente  sanzionata  dal  legislatore  con  la
 decadenza.
   Invero,  l'affermazione  tradizionalmente ripetuta (ma non da tutti
 condivisa), secondo cui le norme che stabiliscono termini a  pena  di
 decadenza sono di stretta interpretazione e non possono quindi essere
 applicate   analogicamente,  si  fonda  sul  convincimento  che  tali
 disposizioni abbiano carattere  eccezionale,  derogando  al  generale
 principio  della  liberta'  di  esercizio  dei diritti soggettivi. E,
 appunto per questo, non si presta ad  essere  utilizzata  nell'ambito
 del  diritto  pubblico,  il quale e' caratterizzato dalla presenza di
 poteri, il cui esercizio da parte  di  chi  ne  e'  titolare  non  e'
 libero,  ma e' sottoposto dalla legge a limiti diretti a garantire il
 soddisfacimento di finalita' di carattere istituzionale.
   Il  silenzio  della  legge  non  rappresenta  quindi  un  argomento
 sufficiente  ad  escludere  che  il termine stabilito dal primo comma
 dell'art. 36-bis sia stabilito a pena di decadenza. Tanto piu' che le
 attivita' accertative (e di conseguente rettifica delle dichiarazioni
 dei contribuenti) sono dalla legge vincolate al rispetto di  rigorosi
 termini  di  decadenza,  la  cui esistenza e' da considerare pertanto
 connaturata al loro  svolgimento,  a  tutela  del  buon  andamento  e
 dell'imparzialita'  dell'amministrazione,  oltre  che degli interessi
 dei contribuenti.
   Dunque, nessun contrasto interpretativo della norma. L'attribuzione
 del carattere perentorio al termine ivi contenuto  e'  giurisprudenza
 costante a livello di legittimita' e di merito.
   L'intervento del legislatore non era quindi affatto necessario, se'
 non al celato fine di "salvare" una serie di accertamenti palesemente
 illegittimi,  tra  cui  l'odierno,  attraverso  uno  strumento non di
 modifica legislativa, che avrebbe appunto operato solo per il futuro,
 ma di "interpretazione autentica" che in tal modo opera, anche per il
 passato,  prevaricando  e  vanificando  l'operato,   a   tutela   del
 contribuente,  da parte della magistratura. Con tutte le conseguenze,
 sotto il profilo dell'illegittimita' costituzionale, dianzi esposte.
   In conclusione, questo  collegio  ritiene  doveroso  sottoporre  al
 giudice  delle  leggi  il controllo di costituzionalita' dell'art. 28
 legge 27 dicembre 1997, n. 449, in relazione agli artt. 3, 24, 53, 97
 e 101 Cost.