LA CORTE DEI CONTI
   Ha pronunciato la seguente ordinanza 572/98/ord.  nel  giudizio  di
 pensione iscritto al n. 9309/C del registro di segreteria promosso ad
 istanza di Oliveri Giuseppe nei confronti del Ministero dell'Interno.
   Visto  l'atto  introduttivo  del giudizio depositato il 21 febbraio
 1997.
   Visti gli atti e documenti tutti del fascicolo processuale.
   Udito  alla  pubblica  udienza  del  7  ottobre  1998  il  relatore
 Consigliere Pino Zingale.  Non  rappresentato  il  ricorrente  e  non
 costituita l'Amministrazione.
                               F a t t o
   Al  signor  Giuseppe  Oliveri, Dirigente Superiore della Polizia di
 Stato, cessato dal servizio e collocato nell'ausiliaria  a  decorrere
 dall'11  ottobre 1987, con D.M. n. 7044 del 19 novembre 1990 e' stato
 conferito l'assegno privilegiato di sesta  categoria  dalla  predetta
 data  al  10  ottobre  1991,  sulla base dello stipendio calcolato ai
 sensi dell'art. 156 del r.d. n. 2395 dell'11 novembre  1923,  perche'
 piu' favorevole;
   Con  d.m. n. 2456 del 14 maggio 1993 al predetto Ufficiale e' stata
 attribuita la pensione privilegiata di sesta categoria  a  vita,  con
 decorrenza  dall'11  ottobre  1991;  successivamente, con d.m. del 24
 gennaio 1996, in aggiunta al citato trattamento privilegiato e' stata
 conferita l'indennita' di  ausiliaria  dall'11  ottobre  1987  al  10
 ottobre  1995,  ai  sensi  dell'art.  44  della  legge  n. 224/1986 e
 dell'art. 6 della legge n. 404/1990 nonche' rideterminata la pensione
 privilegiata a decorrere dall'11 ottobre 1995  ai  sensi  dei  citati
 articoli.
   Con  atto  depositato  il  21  febbraio  1997  il  dott. Oliveri ha
 impugnato il silenzio rifiuto con il quale il Ministero  dell'Interno
 ha  rigettato  la  sua istanza tendente ad ottenere la riliquidazione
 del  trattamento  pensionistico   privilegiato   in   godimento   con
 l'inclusione   nella  base  pensionabile  delle  due  ore  di  lavoro
 straordinario  obbligatorio  e  continuativo  retribuito   ai   sensi
 dell'art. 63, comma 3, della legge 1 aprile 1981, n. 121.
   Il Ministero dell'Interno non si e' costituito.
   Alla   pubblica  udienza,  non  comparsa  l'Amministrazione  e  non
 rappresentato il ricorrente il ricorso e' stato posto in decisione.
                             D i r i t t o
   Il sistema di determinazione della base pensionabile dei dipendenti
 militari dello Stato era fissato dall'art. 53 del d.P.R. 29  dicembre
 1973, n. 1092, prima dell'entrata in vigore dell'art. 2 della legge 8
 agosto  1995,  n.  335  il  quale, con effetto dal 1 gennaio 1996, ha
 disposto l'applicazione anche  nei  loro  confronti,  ai  fini  della
 determinazione  della  base contributiva e pensionabile, dell'art. 12
 della legge 30 aprile 1969, n.  153  e  successive  modificazioni  ed
 integrazioni,  il  quale  stabilisce  che per la determinazione della
 base imponibile per  il  calcolo  dei  contributi  di  previdenza  ed
 assistenza sociale e per la determinazione delle prestazioni a carico
 delle  gestioni di previdenza e di assistenza sociale interessate, si
 considera retribuzione tutto cio' che il lavoratore riceve dal datore
 di lavoro in danaro o in natura, al lordo di qualsiasi  ritenuta,  in
 dipendenza  del rapporto di lavoro, con esclusione di alcune voci ivi
 tassativamente indicate.
   Il citato art. 53 del d.P.R. 1092/1973, applicato nella fattispecie
 oggetto del presente giudizio al fine  dell'ulteriore  ricalcolo  poi
 operato  ai  sensi  dell'art. 67, comma 4, del medesimo t.u., dispone
 che ai fini della determinazione  della  misura  del  trattamento  di
 quiescenza del personale militare la base pensionabile sia costituita
 dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga e dagli assegni o indennita'
 pensionabili  ivi tassativamente indicati ed integralmente percepiti,
 aumentati  del  18%;  agli  stessi  fini,  nessun  altro  assegno   o
 indennita',  anche  se pensionabili, possono essere considerati se la
 relativa disposizione  di  legge  non  ne  prevede  espressamente  la
 valutazione nella base pensionabile.
   Ne consegue che il compenso per lavoro straordinario non rientrando
 tra le voci espressamente previste al fine della determinazione della
 base pensionabile, secondo il pregresso sistema al quale occorre fare
 riferimento  nel  presente  giudizio,  non puo' in alcun modo formare
 oggetto di valutazione in tal senso.
   Tuttavia, osserva il Collegio che lo straordinario del quale qui si
 discute solo nominalmente puo' essere definito tale, atteso  che,  ai
 sensi  dell'art.  63  della  legge  1  aprile 1981, n. 121 i turni di
 lavoro  giornaliero  del  personale  della  pubblica   sicurezza   si
 sarebbero   dovuti   articolare   sulla   base   di  quarantadue  ore
 settimanali, anche se le due ore eccedenti le quaranta ore previste a
 regime per il predetto personale si sarebbero dovute retribuire  come
 prestazione straordinaria.
   A  cio'  si  aggiunga  che ai sensi dell'art. 7 del d.P.R. 27 marzo
 1984, n. 69 e con effetto dal primo giorno del mese  successivo  alla
 data  di  entrata  in vigore di quel decreto, l'orario di servizio di
 cui all'art.  63  della  citata  legge  n.  121/1981  fu  fissato  in
 trentanove  ore  settimanali  e,  a  decorrere dal 1 ottobre 1984, in
 trentotto ore settimanali, con turni di  lavoro  giornalieri  formati
 sulla   base,   rispettivamente,   di   quarantuno   e  quaranta  ore
 settimanali, confermandosi che la discrasia tra l'orario ordinario di
 servizio e quello determinato  per  i  turni  di  lavoro  giornalieri
 dovesse essere retribuita come prestazione di lavoro straordinario.
   Infine,  ai  sensi  dell'art. 1 del d.P.R. 23 giugno 1988, n. 234 e
 con effetto dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata
 in vigore di quel decreto, l'orario di servizio di  cui  all'art.  63
 della  citata  legge  n. 121/1981 e' stato fissato in trentasette ore
 settimanali, ferme restando le due ore di  servizio  retribuite  come
 prestazioni di lavoro straordinario di cui all'art. 7, secondo comma,
 del d.P.R. 27 marzo 1984, n. 69.
   Non  pare  potersi  revocare  in  dubbio che il compenso per lavoro
 straordinario costituisca, secondo i principi  generali,  adempimento
 sinallagmatico  alla  prestazione di lavoro effettuata oltre l'orario
 stabilito (Cons.  Stato  (Sez.  VI),  18  dicembre  1992,  n.  1126);
 peraltro  il  ricorso  a tale strumento non puo' che essere di natura
 eccezionale e per contingenti ed imprevedibili esigenze  di  servizio
 non   risolvibili   con   gli   ordinari  strumenti  organizzativi  e
 programmatori (cfr. T.A.R.  Toscana, sez. II, 19  dicembre  1994,  n.
 457 e Cons. Stato, Sez. VI, 24 aprile 1992 n. 356).
   L'avere  stabilito  con  legge,  sia  pure  per  un  determinato ma
 sicuramente piu' che congruo lasso di tempo (peraltro poi  ampiamente
 ripreso  e  prorogato  dalla  contrattazione  collettiva ed elevato a
 modello organizzatorio ordinario e permanente), che i turni di lavoro
 avrebbero dovuto prevedere un'articolazione di un determinato  numero
 di  ore  settimanali  superiore a quello previsto come ordinario, non
 puo' far acquisire alla suddetta eccedenza nominale la vera natura di
 lavoro straordinario in quanto, al contrario, accedeva pur sempre  al
 previsto normale impegno lavorativo.
   Ai  fini  pensionistici, tenuto conto della tassativita' delle voci
 sussumibili nella base pensionabile ai sensi dell'art. 53 del  d.P.R.
 29  dicembre 1973, n. 1092 e dalla quale erano esclusi gli emolumenti
 per lavoro straordinario, l'art. 63, comma 3, della  legge  1  aprile
 1981,  n.  121  appare  solo  come  uno  strumento  utile  al fine di
 escludere la computabilita' a fini di quiescenza della suddetta quota
 di  retribuzione  (c.d.  straordinaria)  in   presenza,   pero',   di
 presupposti di fatto e di diritto che ne avrebbero dovuto determinare
 l'inclusione   nel   normale   stipendio  mensile  e  la  correlativa
 soggezione alle ritenute previdenziali a fini pensionistici.
   Tale situazione determina, ad avviso del Collegio, fondati dubbi di
 legittimita' costituzionale dell'art. 63,  comma  3,  della  legge  1
 aprile  1981,  n.  121  nella  parte  in  cui,  pur disponendo che la
 differenza tra l'orario fissato al primo comma e quello indicato  nel
 comma   successivo   sia   retribuita   come  prestazione  di  lavoro
 straordinaria,  non  ne  prevede  pero'   l'inclusione   nella   base
 pensionabile  e la correlativa soggezione alle ritenute previdenziali
 per  fini  di  quiescenza,   con   riferimento   all'art.   3   della
 Costituzione.
   La   suddetta   situazione   ha  creato,  infatti,  un'illogica  ed
 incomprensibile disparita' di trattamento rispetto  alla  generalita'
 dei  dipendenti  pubblici  che,  a fronte di un determinato monte ore
 settimanale di obbligo lavorativo, rapportato ad un corrispondente ed
 adeguato stipendio mensile, godevano dell'inclusione di  quell'intera
 retribuzione  nella  base  pensionabile  con  l'esclusione delle sole
 vere, effettive ed occasionali ore di straordinario, mentre nel  caso
 di  specie  ad  essere esclusa e' la retribuzione di ore che ricadono
 nell'ordinario obbligo di servizio, sia pure transitoriamente (ma poi
 permanentemente) stabilito e per un lasso di tempo molto lungo ed  in
 assenza di imprevedibili ed occasionali esigenze lavorative.
   La  questione  e'  rilevante  al  fine  del  decidere, poiche' solo
 dall'accoglimento della questione di  costituzionalita'  nei  termini
 qui  prospettati  potrebbe  profilarsi  la  fondatezza  della domanda
 proposta dal ricorrente.
   Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai  sensi  dell'art.  23
 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87  e gli atti rimessi alla Corte
 Costituzionale per il giudizio di competenza.