IL PRETORE A scioglimento della riserva che precede; 1. - Rilevato che nel giudizio in oggetto, introdotto ai sensi dell'art. 205 del codice della strada (decreto legislativo n. 285/1992), a seguito dell'esperimento del mezzo di prova indicato dalla ricorrente questo giudice ritiene di dover pervenire ad un giudizio di rigetto del ricorso con conferma del provvedimento opposto; Considerato che l'ordinanza impugnata e' stata emessa dal prefetto di Palermo a seguito della proposizione da parte dell'attuale ricorrente di un ricorso ex art. 203 del codice della strada e che, pertanto, la somma ingiunta e' stata determinata in una misura "non inferiore al doppio del minimo edittale" in forza dell'art. 204, comma 1, del codice della strada, ossia in forza della norma per la quale il prefetto, ove ritenga fondato l'accertamento, "ingiunge il pagamento di una somma determinata, nel limite non inferiore al doppio del minimo edittale"; Osservato che la norma ora indicata comporta un innalzamento del minimo della sanzione per effetto della sola valutazione di infondatezza del ricorso a prescindere dai criteri indicati dall'art. 195 del codice della strada; Valutato che il potere attribuito al giudice dall'art. 23, comma 11, legge n. 689/1981 di modificare il provvedimento opposto "anche limitatamente all'entita' della sanzione", come non consente una riduzione che vada al di sotto del limite edittale previsto dalla norma sanzionatoria, cosi' non legittima una riduzione al di sotto del limite previsto da una disposizione generale, qual e' l'art. 204 citato, in quanto circa questa seconda ipotesi, e' evidentemente precluso all'autorita' giudiziaria dinanzi al quale il provvedimento e' impugnato di pervenire ad un accoglimento seppure parziale del ricorso applicando una disposizione di legge diversa da quella applicabile dall'autorita' amministrativa che il provvedimento ha emesso, atteso che ragionando diversamente l'autorita' amministrativa potrebbe subire gli effetti negativi del giudizio (anche in termini di spese) senza avere in alcun modo violato la legge (vizio di legittimita') o aver compiuto valutazioni discrezionali non corrette (vizio di merito) e l'autorita' giudiziaria verrebbe a svolgere un ruolo non gia' di controllo sulla legalita' e sulla legittimita' dell'atto amministrativo ma di amministrazione diretta; Valutato pertanto che non puo' in alcun modo ritenersi condivisibile quanto affermato da codesta Corte, da ultimo nell'ordinanza n. 306 del 1998 (ma gia' nelle ordinanze n. 67 e 350 del 1994), secondo cui "il giudice ... non e' vincolato ad alcun limite per la rideterminazione della sanzione", in quanto questa affermazione puo' ritenersi corretta solo nella misura in cui la si precisi nel senso che il giudice non e' vincolato all'entita' stabilita dall'amministrazione ne' ad una mera rivalutazione dei criteri indicati dall'amministrazione medesima (e - solo - in questo senso si esprime la Corte di cassazione nella sentenza n. 911 del 1996 richiamata dalla Corte costituzionale nell'ordinanza citata), mentre risulterebbe in tutta evidenza non corretta ove la si dovesse leggere nel senso che il giudice non e' subordinato neppure ai limiti sanzionatori previsti dalla legge, fra i quali rientra anche quello di cui all'art. 204, atteso che, si ribadisce, se il limite opera per l'amministrazione titolare del potere sanzionatorio non puo' non operare anche per l'autorita' giudiziaria che l'esercizio di quel potere sanzionatorio deve - limitarsi a - valutare; Considerato ancora che a ritenere diversamente si avrebbe anche l'effetto, non solo paradossale per quanto si vedra' infra (n. 6), di costringere il cittadino che vuole avere una determinazione dell'entita' della sanzione secondo i criteri dettati dall'art. 195, comma 2, del codice della strada a dover sempre impugnare dinanzi al pretore l'ordinanza ingiunzione emessa ex art. 204 del codice della strada, svilendo in tal modo anche l'assunta efficacia deflattiva della norma; 2. - Osservato che questo giudice e' perfettamente a conoscenza della circostanza che l'illegittimita' dell'art. 204 del codice della strada, nella parte in cui prevede l'obbligo per la pubblica amministrazione di ingiungere il pagamento di una somma non inferiore al doppio del minimo edittale, e' gia' stata prospettata a codesto consesso in piu' circostanze, e che alla medesima questione e' sempre stata data risposta negativa (ord. 67, 350 del 1994; sent. 366 del 1994; ord. 268 del 1996; ord. 424 del 1997, ma soprattutto sent. 255 del 1994); Valutato, tuttavia, che le ragioni esposte finora nei provvedimenti predetti non acquietano in alcun modo i dubbi di legittimita' costituzionale che la disciplina vigente solleva; Considerato, infatti, che, a parte le ordinanze gia' citate sopra - confermate anche con la sent. n. 366/1994 -, che ritengono sussistente un potere che l'autorita' giudiziaria non possiede (e che ove confermate quali espressione del diritto vivente darebbero luogo a loro volta ai dubbi di costituzionalita' che si svolgeranno in via subordinata al punto n. 6), i motivi articolati dalla Corte che dovrebbero confermare la legittimita' della disposizione in parola sono i seguenti: A) la misura della sanzione puo' ben essere modulata dal legislatore in modo da perseguire finalita' deflattive del contenzioso amministrativo (lo riporta riassuntivamente ord. 306/1998); B) in ogni caso il ricorso al prefetto non e' un presupposto necessario all'esperimento del ricorso giurisdizionale (e' il principio affermato nella sentenza n. 255 del 1994); 3. - Valutato che ambedue i motivi hanno in comune una non condivisibile qualificazione del procedimento disciplinato dall'art. 203 del codice della strada (la sent. n. 255/1994 si riferiva per vero all'analogo istituto introdotto nel corpo del vecchio codice della strada con la legge n. 122 del 1989), appare opportuno partire da questo profilo: la sentenza n. 255/1994 affermo' che il sistema risultante dalla disciplina dell'art. 142-bis del codice della strada ora abrogato (del tutto omologo all'art. 203 del codice della strada vigente) poteva essere interpretato in due soli modi: o nel senso che l'esperimento del ricorso al prefetto fosse un presupposto necessario per esperire la successiva tutela giurisdizionale o nel senso che il ricorso amministrativo fosse un rimedio meramente facoltativo; ritenendo legittima la sola seconda interpretazione; in realta' esisteva e esiste una diversa e - absit iniuria verbis - piu' corretta interpretazione del sistema risultante dagli artt. 203 e 204 del codice della strada, la quale parte dalla constatazione che l'istituto qualificato ancora oggi dall'art. 203 del codice della strada come "ricorso", non e' in alcun modo riconducibile nello schema tipico dei ricorsi amministrativi. L'atto in questione, infatti, e' un mero atto di impulso con il quale il cittadino che non ritiene di aderire all'accertamento compiuto nei suoi confronti sollecita una pronuncia dell'organo titolare del potere di controllo sul settore della vita sociale asseritamente turbato dalla condotta ascrittagli. Il "ricorso" al prefetto, pertanto, non si pone come momento di tutela amministrativa esterna al procedimento sanzionatorio, ma costituisce un momento dello stesso procedimento, per la precisione, l'atto introduttivo al momento conclusivo, caratterizzando questo rito rispetto al modulo procedimentale tipico previsto dalla legge n. 689/1981 solo per il fatto che, in ragione di finalita' deflattive "analoghe a quelle previste in altre discipline processuali" (cosi' Corte costituzionale 366/1994), il provvedimento conclusivo espresso verrebbe pronunciato solamente quando lo richiedesse il soggetto passivo dell'accertamento. In altri termini, il procedimento sanzionatorio disciplinato dal codice della strada e' costruito secondo uno schema patteggiato in cui il cittadino o aderisce all'accertamento, prestandovi acquiescenza, e con cio' eliminando la necessita' del passaggio del procedimento alla fase di emissione dell'ordinanza ingiunzione oppure lo contesta, imponendo il completamento del procedimento con l'emissione del provvedimento conclusivo, secondo lo schema ordinario. Il tutto secondo un meccanismo che si avvicina a quello introdotto dalle disposizioni generali sul procedimento amministrativo di cui alla legge 1990, n. 241, nelle quali l'accordo puo' sostituire il provvedimento; peraltro la dottrina amministrativistica ha da tempo elaborato la distinzione fra ricorsi amministrativi e "procedimenti amministrativi sfocianti in atti di amministrazione attiva, in cui si inserisce, in vista dell'emanazione di questi ultimi, una fase quasi contenziosa", evidenziando altresi' mentre che nei ricorsi il conflitto di interessi viene risolto quando gia' un provvedimento e' stato emanato, in funzione della sua caducazione o della sua modifica, invece nei procedimenti amministrativi con intervento degli interessati il conflitto e' risolto in una fase anteriore, interna al procedimento; senza considerare che sarebbe del tutto anomalo un "ricorso" introdotto contro mero atto di accertamento, il quale costituisce una semplice dichiarazione di scienza proveniente dall'operatore di polizia amministrativa circa i fatti dallo stesso constatati e che riveste un carattere meramente strumentale, quale atto di impulso del procedimento sanzionatorio, idoneo ad acquisire efficacia esecutiva in luogo del provvedimento solo in forza del significato di adesione all'accertamento che la legge attribuisce, per l'appunto, alla mancata richiesta da parte dello stesso cittadino destinatario dell'accertamento dell'emissione di un provvedimento espresso; non si puo' non convenire che la lettura che qui si sostiene appare quanto meno legittima, per cui essa e' gia' per questo idonea a far venir meno il ragionamento svolto dalla Corte costituzionale nella sentenza citata; ma in realta' essa e' anche la lettura maggiormente rispondente al dato letterale delle norme in analisi, al profilo sistematico del rito in cui si innestano e al disposto costituzionale: in primo luogo, infatti, l'art. 204 del codice della strada non prevede che l'accoglimento del "ricorso" provochi una pronuncia sul "provvedimento" impugnato (com'e' tipico dei ricorsi), ma dispone che ne segua l'emissione dell'ordinanza ingiunzione conclusiva del procedimento (com'e' proprio del procedimento generale di cui alla legge n. 689/1981, art. 18), e non prevede che l'accoglimento del ricorso produca un qualche effetto caducatorio di un provvedimento (che non c'e'), ma stabilisce che esso comporti l'archiviazione degli atti, come avviene nel procedimento generale di cui all'art. 18, legge n. 689/1981; in secondo luogo, solo questa lettura consente di ricondurre ad omogeneita' il procedimento sanzionatorio di cui al codice della strada e il procedimento sanzionatorio generale di cui alla legge n. 689/1981, altrimenti destinati ad essere irriducibili l'uno all'altro; in terzo luogo, solo l'interpretazione che qui si sostiene realizza davvero un effetto deflattivo per l'intera pubblica amministrazione - comprensiva dell'amministrazione della giustizia -, perche' se il cittadino puo' non reagire all'accertamento compiuto nei suoi confronti, evitando all'amministrazione di dover pronunciare un provvedimento, ma successivamente puo' impugnare il medesimo accertamento dinanzi all'autorita' giudiziaria non vi e' alcuna efficacia deflattiva, dovendo su quel ricorso incardinarsi un procedimento giurisdizionale (piu' complesso e gravoso per lo Stato della mera emissione dell'ordinanza ingiunzione), con onere anche per l'amministrazione pubblica di parteciparvi, e con il rischio per la stessa di subire la condanna al pagamento di spese processuali che avrebbe potuto evitare se fosse stata messa nelle condizioni di conoscere prima le ragioni di lagnanza svolte dal cittadino; tutto cio' senza poi dire - e lo si accenna solo incidentalmente - che l'affermazione (svolta dalla Corte nella sentenza n. 255/1994, accompagnata dalla corretta specificazione (svolta dalla stessa Corte costituzionale nell'ord. n. 315/1995 e nella sent. n. 347/1995), per cui e' rimesso al giudice di merito di stabilire il quomodo ed il quando della esperibilita' della tutela giurisdizionale, (cioe' contro quale atto o provvedimento debba agire il cittadino) ha provocato una radicale difformita' di orientamenti applicativi: l'uno che impone in ogni caso l'emissione di un'ordinanza ingiunzione senza necessita' di ricorso; l'altro che ammette il ricorso direttamente contro il verbale entro trenta giorni dalla notifica; l'altro che ammette il ricorso solo dopo che il verbale ha acquistato efficacia esecutiva, ossia entro trenta giorni dalla scadenza dei sessanta di cui all'art. 203.3 del codice della strada; l'altro ancora che ammette il ricorso solo contro il provvedimento di iscrizione a ruolo, da impugnare entro trenta giorni dal momento in cui questo viene comunicato tramite la notifica della cartella di pagamento. Contrasti che traspaiono anche nella giurisprudenza della stessa Corte costituzionale, la quale nella sent. n. 437/1995 affermo' incidentalmente l'ammissibilita' di introdurre il ricorso di cui all'art. 205 del codice della strada a seguito dell'emissione della cartella di pagamento, salvo poi dare per scontato in alcune recenti pronunce (sent. 276/1998; sent. 330/1998) che, al contrario, il ricorso potrebbe essere introdotto direttamente contro il verbale, anche prima che divenga titolo esecutivo e sia iscritto a ruolo, mentre la Corte di cassazione, partendo dalla sent. 255/1994, e' pervenuta ad ammettere il ricorso contro il verbale solo dopo che questo sia divenuto definitivo (Cass. n. 98/1998), lasciando, peraltro, residuare numerosi dubbi, sui quali non ci si deve soffermare in questa sede; 4. - Valutato, conclusivamente, che, allo stato, non puo' ritenersi che la tutela giurisdizionale di cui all'art. 205 del codice della strada sia esercitabile senza aver previamente esperito il "ricorso" di cui all'art. 203 del codice della strada, perche' questo risultato e' stato conseguito per effetto di una sentenza interpretativa di codesta Corte alla quale non si puo' aderire per le ragioni esplicitate, ne deriva che il motivo indicato come b) non e' in grado di far considerare legittima la disciplina di cui all'art. 204 del codice della strada; 5. - Valutato che quanto al motivo sub A) la legittimita' di percorrere scelte deflattive del contenzioso amministrativo, a parte quanto detto circa la collocazione dell'art. 204 del codice della strada in una fase che non e' contenziosa, si deve, in ogni caso, osservare che la suddetta scelta deflattiva si deve confrontare con i dati costituzionali per cui: a) situazioni identiche non possono essere trattate in maniera difforme (art. 3), mentre nel quadro legittimato dalla Corte il cittadino al quale viene riscontrata la violazione di una qualunque norma sanzionatoria ha diritto a che l'accertamento venga rivalutato dall'amministrazione titolare del potere sanzionatorio, nel pieno contraddittorio (art. 18, comma 2, legge n. 689/1981), senza che solo per essersi attivato a tutela delle sue ragioni egli rischi un innalzamento del minimo edittale fino al doppio, invece al cittadino che abbia violato una norma del codice della strada il solo esercizio del medesimo diritto comporta questo rischio; b) il principio di buon andamento dell'amministrazione (art. 97, comma 1, della Costituzione) impone di valorizzare, come regola di efficienza dell'attivita' della stessa pubblica amministrazione il contraddittorio con i destinatari dei provvedimenti, in forza dell'assunto proprio di un sistema democratico e partecipativo che il contraddittorio consente al soggetto pubblico di affinare le proprie condotte, di accrescere la propria conoscenza dei dati fattuali e di aumentare l'adesione alle proprie scelte, mentre ove l'iniziativa del cittadino sia scoraggiata, incentivando in tal modo un'acquiescenza generalizzata, che investe anche accertamenti illegittimi o errati, l'efficienza medesima e il buon andamento ne rimangono frustrati; c) il principio per cui tutti debbono poter agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24 della Costituzione) non puo' essere limitato ponendo sbarramenti sanzionatori alla richiesta di definizione del procedimento sanzionatorio mediante un provvedimento espresso, rispetto al quale solamente (come dice l'art. 205 del codice della strada, non piu' modificabile dall'interpretazione della Corte che si e' sopra superata) e' possibile esperire la tutela giurisdizionale; 6. - Rilevato, in via subordinata, che ove si volesse interpretare la medesima disposizione, in connessione con gli artt. 205 e 195 del codice della strada, nel senso che essa gia' ora consentirebbe al giudice di ridurre la sanzione anche sotto il limite posto nella norma medesima (e cio' come detto appare davvero difficilmente sostenibile in termini strettamente giuridici), si paleserebbe un contrasto: a) con l'art. 3 della Costituzione, in quanto cozza con il principio di ragionevolezza introdurre una disposizione sanzionatoria con funzione deflattiva del carico di lavoro per un'amministrazione dello Stato e poi consentire che la medesima sanzione possa essere eliminata mediante l'instaurazione di un procedimento molto piu' complesso e gravoso per la stessa amministrazione (legittimata passiva nei giudizi incardinati per ottenere la determinazione corretta dell'entita' della sanzione con eliminazione del surplus sanzionatorio) e per altre amministrazioni (quella della giustizia, onerata della trattazione di un numero sovrabbondante di giudizi introdotti unicamente per rideterminare la sanzione entro i limiti ordinari), con trasformazione degli effetti in inflattivi; b) con l'art. 97, comma 1, della Costituzione in quanto l'amministrazione dello Stato nel suo complesso - comprensiva dell'amministrazione della giustizia - subirebbe gli effetti negativi di una tale soluzione, in termini di efficienza e di costi monetari, dovendo sopportare l'aggravio derivante dall'instaurazione di procedimenti giurisdizionali diretti unicamente a realizzare quell'adeguamento della sanzione amministrativa alle circostanze del caso di specie che la norma impugnata impedisce di effettuare all'autorita' amministrativa organicamente preposta al controllo di quel settore della vita sociale; c) con l'art. 113 della Costituzione perche' la norma cosi' interpretata comporta la facolta' per l'autorita' giudiziaria di modificare un provvedimento amministrativo anche se questo e' del tutto conforme alla legge, sia in termini di legalita' che di merito, avendo irrogato il minimo ammesso della sanzione; d) con l'art. 24 della Costituzione, in quanto per ottenere la riduzione della sanzione forzatamente elevata, il cittadino dovrebbe sopportare i costi del giudizio (di un legale o ove non se ne avvalga le spese vive) con il rischio di non poterne ottenere il ristoro a causa dell'evidente impossibilita' per il giudice di condannare al pagamento anche parziale delle spese l'amministrazione che ha emesso un provvedimento del tutto legittimo sia sotto il profilo di merito che di legalita'; e) in alternativa con quanto sub d), ancora dell'art. 97, comma 1, della Costituzione per il fatto che l'amministrazione potrebbe essere condannata al pagamento delle spese del giudizio, malgrado la perfetta legittimita' della propria condotta e l'impossibilita' di agire diversamente; Attesa, dunque, la rilevanza sia della questione principale, perche' ove non accolta questo giudice dovra' confermare un'ordinanza che ingiunge il pagamento di una sanzione pecuniaria che e' stata maggiorata fino al doppio del minimo solo in ragione del fatto che l'attuale ricorrente ha solo provocato, com'e' suo diritto, la pronuncia del provvedimento conclusivo del procedimento da parte dell'autorita' preposta a quel compito; sia della questione subordinata, perche' questo giudice, ove rigettata la prima questione in forza del motivo gia' indicato, dovrebbe modificare il provvedimento impugnato riducendo la sanzione per adeguarla ai criteri di cui all'art. 195 del codice della strada e mantenendo, peraltro, ogni spesa in capo alla ricorrente;