ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  26,  comma
 primo,  del  d.P.R.  26  aprile  1986, n. 131 (Approvazione del testo
 unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro), promosso
 con ordinanza emessa il 19 novembre 1996 dalla Commissione tributaria
 regionale di Torino sul ricorso proposto dall'Ufficio del Registro di
 Torino contro Bilanzuoli Antonietta, iscritta al n. 514 del  registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio dell'11 novembre  1998  il  giudice
 relatore Fernanda Contri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Nel corso di un procedimento conseguente all'impugnazione, da
 parte dell'Ufficio del Registro  di  Torino,  della  decisione  della
 Commissione  tributaria  di  primo  grado,  la Commissione tributaria
 regionale di Torino, con ordinanza emessa il  19  novembre  1996,  ha
 sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e 53 della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26,  comma  primo,
 del  d.P.R.    26  aprile  1986, n. 131 (Approvazione del testo unico
 delle disposizioni  concernenti  l'imposta  di  registro),  il  quale
 dispone  che  "I trasferimenti immobiliari, escluse le permute aventi
 per oggetto immobili ma fino a  concorrenza  del  minore  dei  valori
 permutati,  posti  in  essere tra coniugi ovvero tra parenti in linea
 retta o  che  tali  siano  considerati  ai  fini  dell'imposta  sulle
 successioni  e donazioni si presumono donazioni, con esclusione della
 prova contraria, se l'ammontare complessivo dell'imposta di  registro
 e  di  ogni  altra  imposta  dovuta  per  il  trasferimento, anche se
 richiesta successivamente alla  registrazione,  risulta  inferiore  a
 quello  delle  imposte  applicabili in caso di trasferimento a titolo
 gratuito, al netto delle detrazioni spettanti"; la detta questione e'
 stata sollevata  riguardo  all'inciso  "con  esclusione  della  prova
 contraria" nel caso di trasferimento posto in essere tra coniugi.
   Il  giudice  rimettente  espone  anzitutto in fatto: che in sede di
 registrazione  di  un  contratto  di  compravendita  della  quota  di
 comproprieta'   di  un  immobile,  stipulato  da  coniugi  legalmente
 separati,  l'Ufficio  del  Registro  di  Torino  aveva  richiesto  il
 pagamento dell'imposta sulle donazioni (anziche' di quella dovuta per
 i  trasferimenti  a  titolo oneroso) e l'INVIM per intero (anziche' a
 tassazione agevolata, trattandosi di immobile destinato ad abitazione
 non di lusso); che la venditrice,  affermando  di  essere  legalmente
 separata  dal  coniuge,  in  forza  di  provvedimento di omologazione
 emesso dal Tribunale  di  Torino,  aveva  proposto  ricorso,  essendo
 risultata  vana l'istanza di rimborso dell'eccedenza corrisposta; che
 la Commissione tributaria di primo grado di Torino aveva  accolto  il
 ricorso  della  parte  venditrice,  ritenendo  che  la presunzione di
 liberalita' dovesse valere per i soli coniugi conviventi,  non  anche
 per  quelli  separati;  che  avverso  tale pronuncia aveva interposto
 appello l'Ufficio del Registro,  sostenendo  che  la  presunzione  di
 liberalita'  viene meno soltanto con la pronuncia di cessazione degli
 effetti civili del matrimonio,  non  gia'  con  la  mera  separazione
 personale dei coniugi.
   Il  giudice  a  quo,  dopo  aver  osservato che la norma in oggetto
 configura  una  presunzione  iuris  et  de  iure   in   ordine   alla
 qualificazione  giuridica  del  contratto  stipulato  fra  coniugi  -
 presunzione connessa a fatti estrinseci al  negozio,  e  precisamente
 alla misura dell'imposta applicabile - afferma che detta presunzione,
 contro  la  quale  non  e'  ammessa  prova  contraria,  determina  un
 trattamento deteriore dei coniugi che pongono in essere un  contratto
 di   compravendita   rispetto   alle  parti  stipulanti  il  medesimo
 contratto, che non siano legate da vincolo di coniugio:   mentre  per
 queste  ultime  la  qualificazione giuridica del negozio stipulato si
 opera in base alle regole civilistiche, a norma  dell'art.    20  del
 d.P.R.  n.  131  del  1986,  per i coniugi, invece, la qualificazione
 deriva dall'esito della  tassazione;  inoltre,  mentre  le  ordinarie
 parti  stipulanti possono liberamente provare la natura del contratto
 oggetto di tassazione, ai coniugi e' invece preclusa  ogni  prova  al
 riguardo.
   Il  rimettente afferma poi che tale disciplina confligge con quella
 del regime patrimoniale tra coniugi,  la  quale,  relativamente  alla
 separazione dei beni, non prevede alcun trattamento differenziato dei
 coniugi rispetto alle normali parti contrattuali.
   Ad  avviso  del rimettente, la norma censurata, nel precludere ogni
 prova contraria  per  superare  la  presunzione  di  liberalita',  si
 appalesa  irragionevole ed e' quindi in contrasto con il principio di
 eguaglianza.
   Osserva, ancora, il giudice a quo che la  sottoposizione  dell'atto
 alla   maggiore   tassazione,  pur  restando  immutati  gli  elementi
 oggettivi costituenti la base imponibile,  deriva  non  gia'  da  una
 maggiore  capacita'  contributiva,  bensi'  da una qualita' personale
 delle parti - quella di coniugi - che e' di  per  se'  insignificante
 sotto  il profilo della capacita' contributiva; pertanto, la norma in
 questione postula, soltanto sulla base di una qualita' soggettiva dei
 contraenti, una speciale capacita' contributiva, anche se questa  non
 sussiste,    ed    impedisce   la   prova   diretta   a   dimostrarne
 l'insussistenza; da cio'  sorge  il  contrasto  della  norma  con  il
 principio  della  capacita'  contributiva,  che  viene  desunta da un
 elemento - la qualita' di coniugi - inidoneo a dimostrarla.
   In ordine al requisito della rilevanza della  questione  sollevata,
 osserva  il  giudice tributario che la parte venditrice ha offerto la
 prova  della  effettivita'  della  compravendita,   con   particolare
 riguardo  al pagamento reale del prezzo, e che tale prova sarebbe del
 tutto irrilevante, qualora si dovesse applicare la norma censurata.
   2. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha
 concluso per l'infondatezza della questione.
   Osserva la difesa erariale che la presunzione di liberalita' per  i
 trasferimenti  immobiliari  tra  coniugi e tra parenti in linea retta
 non contrasta con il principio di eguaglianza, in quanto, sulla  base
 dell'id  quod plerumque accidit, i rapporti tra di essi intercorrenti
 e la comunanza di vita e di interessi che lega i  medesimi  non  sono
 paragonabili   a  quelli  tra  altri  soggetti.  Ne'  puo'  ritenersi
 irragionevole  l'esclusione  della  prova  contraria,  in  quanto  la
 particolarita'    dei   citati   rapporti   renderebbe   agevole   la
 precostituzione della prova dell'onerosita' del trasferimento,  anche
 se  l'onerosita'  non  vi  sia stata. L'assolutezza della presunzione
 deve quindi dirsi ragionevole, poiche', altrimenti,  essa  rimarrebbe
 inoperante.
    Ad  avviso  dell'Avvocatura  e'  del pari insussistente la pretesa
 violazione  del  principio  di  capacita'  contributiva.  Poiche'  e'
 legittimo  ritenere  che  i  trasferimenti immobiliari tra i soggetti
 considerati  dalla  norma  avvengono  senza  un  reale  ed  effettivo
 corrispettivo,  consegue  necessariamente  da  cio'  che la capacita'
 contributiva manifestata dall'atto e'  quella  delle  donazioni,  non
 gia' quella dei trasferimenti onerosi.
    Afferma poi la difesa erariale che, contrariamente all'assunto del
 rimettente, il rapporto di coniugio o di parentela in linea retta non
 e'  indifferente  ai  fini  della  capacita' contributiva, poiche' e'
 proprio in relazione a quel rapporto che la norma ricollega l'assenza
 di corrispettivo, misurando in tal  modo  la  capacita'  contributiva
 sulla  base  dell'arricchimento  che deriva da un trasferimento senza
 corrispettivo.
    La  giurisprudenza  della  Corte  - prosegue l'Avvocatura - ha del
 resto piu'  volte  riconosciuto  la  legittimita'  delle  presunzioni
 tributarie,  purche'  fondate su criteri ragionevoli e sempre che non
 si  risolvano  in  una  base  fittizia   dell'imposizione.   E   tali
 caratteristiche  devono  riconoscersi  nella presunzione in esame, in
 quanto l'assenza di corrispettivo nei trasferimenti considerati dalla
 norma e' del tutto  ragionevole,  si'  che  la  conseguente  maggiore
 imposizione risponde a criteri di razionalita'.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La Commissione tributaria regionale di Torino ha sollevato,
 in riferimento agli artt. 3 e 53  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 26, comma primo, del d.P.R.  26
 aprile  1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni
 concernenti l'imposta di registro), nella parte  in  cui  esclude  la
 prova  contraria  della  presunzione di liberalita' dei trasferimenti
 immobiliari  posti  in  essere  tra  coniugi,  la  quale   opera   se
 l'ammontare  complessivo  dell'imposta  di  registro  e di ogni altra
 imposta dovuta per il trasferimento risulta inferiore a quello  delle
 imposte  applicabili  in  caso di trasferimento a titolo gratuito, al
 netto delle detrazioni spettanti.
    Ad avviso del  giudice  a  quo,  la  norma  censurata  sarebbe  in
 contrasto  con  il principio di eguaglianza, in quanto i coniugi, che
 abbiano stipulato un contratto di compravendita, sottoposto  in  sede
 di  registrazione  all'imposizione  propria  delle donazioni, trovano
 preclusa l'ammissibilita' della prova in ordine all'effettiva  natura
 onerosa  del  negozio,  la  cui  qualificazione  giuridica,  ai  fini
 dell'applicazione dell'imposta di registro o di  quella  dell'imposta
 di  donazione,  deriva  dall'esito di un elementare esame comparativo
 del  diverso  peso  fiscale:  essi  coniugi  subiscono,  quindi,   un
 trattamento   deteriore  rispetto  a  parti  stipulanti  il  medesimo
 contratto ma non legate da  vincolo  di  coniugio;  sarebbe  altresi'
 violato   il  principio  della  capacita'  contributiva,  poiche'  la
 maggiore  tassazione  cui  e'  assoggettato   l'atto   e'   correlata
 unicamente  ad  una  qualita'  personale  delle  parti, alle quali e'
 inibita la  prova  della  insussistenza  di  una  maggiore  capacita'
 contributiva.
   2. - La questione e' fondata.
   La  presunzione  di  liberalita'  era gia' prevista dall'art. 5 del
 decreto   legislativo   luogotenenziale   8   marzo   1945,   n.   90
 (Modificazioni delle imposte sulle successioni e sulle donazioni), il
 quale,  al  primo comma, stabiliva che "le trasmissioni di immobili a
 titolo  oneroso  tra  parenti  entro  il  terzo  grado  si  presumono
 liberalita'  e  come  tali  sono  soggette  alla  imposta  quando  la
 provenienza del prezzo pagato non viene dimostrata in base  a  titoli
 aventi data certa ai sensi del Codice civile, e sempre che la imposta
 di   trasferimento  a  titolo  oneroso  risulti  inferiore  a  quella
 stabilita per i trasferimenti a titolo gratuito".  Benche'  la  ratio
 della  norma  fosse sostanzialmente identica a quella che ha ispirato
 la disposizione oggi censurata, tuttavia  il  legislatore  dell'epoca
 preferi' porre una presunzione iuris tantum consentendo alle parti la
 possibilita'  di offrire prova contraria e indicando i mezzi ritenuti
 a tal fine idonei.
   Le caratteristiche della citata presunzione indussero questa Corte,
 con  la  sentenza  n.  99  del  1968,  a  ritenere  che tale norma si
 sottraesse alle censure di illegittimita' costituzionale, mosse sotto
 il duplice profilo della violazione del principio di eguaglianza e di
 quello di capacita' contributiva, rilevandosi che il fondamento - non
 irragionevole - della presunzione riposava da un lato  sul  fatto  di
 comune  esperienza  che  fra  parenti  di un certo grado gli immobili
 vengono trasferiti a titolo  gratuito  e  dall'altro  sulla  notevole
 differenza  della  imposizione  fiscale  tra  gli atti di donazione e
 quelli di compravendita, tale da indurre le parti a simulare un  atto
 di  contenuto  diverso,  allo  scopo di pagare una imposta minore. Si
 affermo' quindi  che  la  norma  rispondeva  ad  innegabili  esigenze
 fiscali  e  che appariva corretto il sistema adottato dal legislatore
 di  creare  una  presunzione  iuris  tantum  suscettibile  di   prova
 contraria.
   La  presunzione  di  liberalita'  fu  poi  radicalmente trasformata
 dall'art.   25  del  d.P.R.  26  ottobre  1972,  n.  634  (Disciplina
 dell'imposta di registro), che, oltre a limitarla ai parenti in linea
 retta, introdusse un regime piu' rigoroso, escludendo la possibilita'
 di offrire prova contraria.
   Caduto   medio   tempore  il  divieto  di  donazione  tra  coniugi,
 attraverso la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art.
 781 del codice civile, pronunciata da questa Corte con sentenza n. 91
 del 1973, alla disciplina della  presunzione  di  liberalita'  furono
 apportate  ulteriori modifiche con l'emanazione del d.P.R. n. 131 del
 1986, il cui  articolo  26,  in  questa  sede  censurato,  ne  estese
 l'ambito di applicazione ai trasferimenti immobiliari intervenuti tra
 coniugi, confermando l'esclusione della prova contraria.
   3.  -  La  norma  impugnata,  avente  il  chiaro  fine  di impedire
 operazioni di elusione fiscale, cosi'  da  assicurare  all'erario  il
 piu'    alto    gettito    tra    quelli    rispettivamente   offerti
 dall'applicazione della normativa tributaria in tema di trasferimenti
 a titolo oneroso e  di  trasferimenti  a  titolo  gratuito,  pone  la
 presunzione   che   i  trasferimenti  immobiliari  tra  coniugi  sono
 considerati   donazioni,   e   assoggetta   quindi   tali   atti   al
 corrispondente regime, allorche' l'ammontare complessivo dell'imposta
 di  registro  e  di  ogni  altra  imposta dovuta per il trasferimento
 risulti inferiore a quello  delle  imposte  applicabili  in  caso  di
 trasferimento a titolo gratuito, al netto delle detrazioni spettanti.
 Alla   base   della  predetta  presunzione  sta  la  valutazione  del
 legislatore, fondata sul principio  dell'id  quod  plerumque  accidit
 secondo  cui  il  vincolo  di  coniugio  e'  sempre di per se' indice
 dell'assenza di onerosita', tanto da non essere consentita  la  prova
 contraria.
   L'analisi della ragionevolezza di tale valutazione e' demandata dal
 rimettente  a  questa  Corte,  cui  spetta  altresi'  il  compito  di
 accertare se la indicata previsione normativa  si  ponga  o  meno  in
 contrasto con il principio costituzionale di capacita' contributiva.
   Ora,  quantunque possa senz'altro convenirsi, per dettato di comune
 esperienza,  che  frequentemente,  ma  non  sempre,  i  trasferimenti
 immobiliari  tra  coniugi  intervengono  a  titolo gratuito, tuttavia
 questa affermazione non risolve  la  questione,  poiche'  e'  agevole
 formulare   ipotesi   nelle   quali  l'onerosita'  del  trasferimento
 immobiliare e' certa,  in  quanto  direttamente  discendente  da  una
 particolare situazione delle relazioni personali tra i coniugi. E', a
 tal fine, sufficiente considerare i casi in cui il vincolo coniugale,
 non  ancora reciso, abbia subito un forte allentamento per effetto di
 separazione legale, come nella fattispecie prospettata dal giudice  a
 quo o anche in conseguenza di mera separazione di fatto, che, essendo
 stata   causata   da  seria  controversia,  si  prolunghi  per  tempi
 apprezzabili. Nei casi appena  esposti,  e'  subito  evidente  che  i
 coniugi  possono  assumere  la  veste  di parti che addivengono ad un
 assetto dei propri interessi economici mediante  la  stipulazione  di
 negozi   giuridici  nei  quali,  essendo  assente  ogni  funzione  di
 liberalita', prevalgono ragioni  che  consistono  nella  volonta'  di
 esaurire rapporti collegati a situazioni familiari ormai compromesse.
   Le citate esemplificazioni non assumono peraltro rilevanza soltanto
 sociologica,  poiche' il dato fattuale, rappresentato dal consistente
 numero delle separazioni tra coniugi, le quali vengono  regolate  dal
 lato  patrimoniale  mediante attribuzioni a carattere oneroso, incide
 direttamente sulla rispondenza  della  norma  all'id  quod  plerumque
 accidit.  A  cio'  deve aggiungersi che l'acquisizione di un'autonoma
 capacita' economica da parte di ciascuno dei  coniugi,  anche  al  di
 fuori  delle  sopra  formulate  ipotesi  di  separazione, ha comunque
 determinato un notevole mutamento nei  rapporti  patrimoniali  tra  i
 medesimi,  si'  che  il  trasferimento  a  titolo  oneroso di un bene
 immobile o di una quota indivisa  di  esso  o  di  un  diritto  reale
 parziario  da  un  coniuge  all'altro  in  costanza di matrimonio non
 costituisce piu' evento del tutto eccezionale.
   E allora non puo' negarsi come  l'esclusione  della  prova  diretta
 alla  dimostrazione  della  onerosita'  del  trasferimento si traduca
 inevitabilmente in un assioma che  non  trova  piu'  riscontro  nella
 realta'. Onde, il rigore di una norma che - venuti meno i presupposti
 che  la  giustificavano  -  reputa  irrefutabili ed insuscettibili di
 prova contraria le presunzioni configurate, mostra per cio'  solo  il
 proprio limite: la non ragionevolezza.
   La  disposizione  normativa  in  esame, il cui fondamento riposa su
 interpretazioni delle vicende sociali che possono in fatto  rivelarsi
 fallaci,  in quanto divergenti dagli accadimenti della quotidianita',
 e' dunque non solo irragionevole, ma anche lesiva del principio oltre
 che di eguaglianza anche  di  capacita'  contributiva,  poiche'  essa
 sottopone  gli  atti  di trasferimento immobiliare tra coniugi ad una
 tassazione  piu'  elevata  non  gia'  in   ragione   della   concreta
 manifestazione di maggiore capacita' contributiva, bensi' in funzione
 della mera qualita' soggettiva delle parti contraenti, senza che alle
 medesime  sia  consentito  offrire  la  prova  della  vera natura del
 negozio giuridico stipulato.
   Deve quindi dichiararsi l'illegittimita' costituzionale della norma
 censurata,  limitatamente  all'esclusione   della   prova   contraria
 relativa   alla   presunzione   di   liberalita'   dei  trasferimenti
 immobiliari.