ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7 del d.-l. 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanita' e di pubblico impiego, nonche' disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438, promosso con ordinanza emessa il 5 dicembre 1997 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, sul ricorso proposto da Vito Tenore contro il Ministero di grazia e giustizia ed altro, iscritta al n. 439 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1998; Visto l'atto di costituzione di Vito Tenore, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1999 il giudice relatore Cesare Mirabelli; Ritenuto che nel corso di un giudizio promosso da un magistrato, il quale chiedeva l'attribuzione dello stesso trattamento economico riconosciuto ad altro magistrato, nominato uditore giudiziario successivamente ma che aveva maturato una piu' elevata retribuzione in una carriera diversa, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, con ordinanza emessa il 5 dicembre 1997, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 36, 97 e 113 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 del d.-l. 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanita' e di pubblico impiego, nonche' disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438; che la disposizione denunciata ha stabilito che la soppressione di precedenti disposizioni che consentivano l'allineamento stipendiale, disposta con il d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, va interpretata nel senso che dalla data di entrata in vigore di tale d.-l. non possono essere piu' adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, anche se con effetti anteriori all'11 luglio 1992; che il giudice remittente ricorda che precedenti questioni di legittimita' costituzionale che hanno investito la stessa disposizione sono state dichiarate non fondate (sentenza n. 6 del 1994) e successivamente manifestamente infondate, ma ripropone i dubbi di legittimita' costituzionale, denunciando la violazione degli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, giacche' precludere la possibilita' di accogliere i ricorsi di quanti avrebbero avuto titolo all'allineamento stipendiale prima della soppressione di tale istituto equivarrebbe ad escludere per costoro la tutela giurisdizionale; lo stesso giudice denuncia, inoltre, la violazione degli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, in quanto l'attribuzione della maggiore retribuzione dipenderebbe dalla tempestivita' o meno degli uffici amministrativi nell'applicazione dell'allineamento stipendiale; che si e' costituita la parte ricorrente nel giudizio principale, chiedendo che la questione di legittimita' costituzionale sia accolta; che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo la infondatezza della questione. Considerato che analoghe questioni di legittimita' costituzionale che hanno investito l'art. 7 del d.-l. n. 384 del 1992 sono state dichiarate non fondate dalla Corte (sentenza n. 6 del 1994), giacche' la soppressione con efficacia retroattiva dei meccanismi di allineamento stipendiale e' diretta a superare irrazionalita' e diseguaglianze determinate dall'applicazione di tale istituto, attraverso il quale il trattamento riconosciuto a singoli dipendenti, per evitare loro arretramenti retributivi derivanti da sviluppi o mutamenti della carriera, veniva esteso ad un'intera categoria di dipendenti in conseguenza del fatto, del tutto accidentale, che un soggetto dotato di un trattamento "personalizzato" piu' favorevole venisse ad inserirsi nell'ambito di tale categoria, cosi' alterando il principio secondo cui la progressione nel trattamento economico deve corrispondere a criteri prefissati nella legge o nei contratti collettivi, e collegarsi, in ogni caso, a miglioramenti nella qualita' e quantita' delle prestazioni effettuate; che eventuali disparita' tra coloro che hanno ottenuto l'allineamento stipendiale prima dell'entrata in vigore della norma impugnata e coloro che, nella medesima situazione, non possono godere di tale vantaggio, non assumono, come la Corte ha piu' volte ribadito (sentenza n. 6 del 1994; ordinanze nn. 105 e 394 del 1994 e nn. 40 e 523 del 1995), rilievo costituzionale, dal momento che tale disparita' "non potrebbe giustificare la sopravvivenza, sia pure limitata, di un istituto che si e' voluto espungere radicalmente dall'ordinamento proprio in relazione alla sua intrinseca irrazionalita' ed agli effetti sperequativi che andava determinando"; che la disposizione denunciata ha escluso l'allineamento stipendiale stabilendo una disciplina retroattiva di carattere sostanziale, che, in quanto tale, non incide sulla tutela giurisdizionale diretta ad applicare il diritto oggettivo (cfr. sentenza n. 6 del 1994; ordinanza n. 394 del 1994); che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.