LA COMMIISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente sentenza sul ricorso n. 725/98 depositato il 6 maggio 1998, avverso s/rif su I. rimb n. ist. del 30 gennaio 1998 contro D.R.E. Emilia-Romagna (Forli') dalla S.I.L.C.E.A. s.r.l. residente a Gatteo (Forli') in via S. Allende, 29, difeso da Antonelli dott. Alessandro, residente a Forli' in via C. Pisacane, 18; La Soc. SILCEA S.r.l. ha proposto ricorso contro il silenzio-rifiuto in ordine alla richiesta di rimborso del versamento di ritenute effettuate quale sostituto d'imposta sugli accantonamenti per T.F.R. dei propri dipendenti (art. 3, comma 211, legge n. 662/1996 e art. 2, comma 1, decreto-legge n. 79/1997, convertito in legge n. 140/1997) per l'importo di L. 62.032.000 attinente agli anni 1996/1997, sostenendo l'illegittimita' costituzionale di dette norme e quindi la non debenza, degli acconti versati. Il chiesto rimborso di conseguenza impegna la C.T. ad esaminare la ricorrenza della non manifesta infondatezza della proposta eccezione di incostituzionalita'. La sollevata illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 211, legge n. 662/1996 come modificato dall'art. 2, comma l, del decreto-legge n. 79/1997, convertito in legge n. 140/1997, che ha posto a carico degli imprenditori l'obbligo di versare al fisco il 5,89% dell'ammontare complessivo degli accantonamenti del T.F.R. "a titolo di acconto" delle imposte dovute dai dipendenti al percepimento del T.F. R. merita attenta disamina sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione. La prima considerazione da fare, anche se non proposta dalla ricorrente, attiene al contrasto della impugnata normativa con l'istituzione del T.F.R., che sotto l'aspetto contabile e' un accantonamento a fronte di un onere futuro. Infatti, l'acconto in oggetto costituisce per il datore di lavoro la corresponsione anticipata di parte dell'indennita' di fine rapporto. Cosa contraria alla natura del trattamento che, in concreto, senza espressa mutazione normativa, non rispetta la condizione essenziale della cessazione de rapporto. Per l'appunto, l'acconto d'imposta dovuta dal lavoratore, essendo prelevato dall'accantonamento effettuato dal datore di lavoro e come tale di sua appartenenza, viene corrisposto, non gia' con denaro del lavoratore, al quale non possono spettare che al termine del rapporto, ma dell'imprenditore, che in definitiva paga l'altrui imposta con propria diminuzione patrimoniale, se non altro sotto il profilo della rendita da interessi legali. La seconda considerazione concerne la legittimazione del datore di lavoro, quale sostituto d'imposta, a sollevare l'eccezione di incostituzionalita' in argomento, in quanto tenuto alla contribuzione fiscale del sostituito. Su tali premesse la eccepita incostituzionalita' delle norme impugnate assume un evidente rilievo. Infatti, incide sui precetti dettati dagli artt. 3 e 53 della Costituzione miranti all'eguaglianza dei cittadini sotto i fondamentali principi che ciascuno paghi le proprie imposte e non gia' quelle altrui, che il sostituto di imposta versi per conto del sostituito non denari propri, bensi quelli di costui mediante ritenuta e che ciascuno partecipi alla spesa pubblica secondo la propria capacita' contributiva, presupponente un reddito conseguito, quindi reale e non virtuale. Nella fattispecie nessuno di tali principi risulta rispettato. Non il primo, perche' la societa' datrice di lavoro, con propri danari accantonati (e non attribuiti o assegnati) ha pagato imposte dei dipendenti. Non il secondo, perche' come sostituto d'imposta detta societa' avrebbe dovuto versare denari di appartenenza dei dipendenti; cosa questa non avvenuta per non essersi verificata la fine del rapporto di dipendenza. Non il terzo, perche' in costanza del rapporto di lavoro i dipendenti non avevano, ne' maturato, ne' conseguito il trattamento, ovvero l'indennita' di fine rapporto (vedi Cassazione n. 11247/1993 ). Per cui, non avevano realizzato, come sancisce al comma l l'art. 16 del d.P.R. n. 917/86, il relativo reddito tassabile, necessario per la legittimazione dell'imposizione fiscale, determinante la c.d. capacita' contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione. Alla fattispecie non sono paragonabili le ritenute sui dividendi delle societa' di capitali e sugli interessi nei depositi bancari, perche' seguono sempre la delibera di distribuzione degli utili ed il periodo prestabilito di maturazione degli interessi. Mentre, nell'ipotesi di cui e' causa, contrariamente ed invariabilmente, la ritenuta ed il versamento avvengono prima della maturazione dell'indennita' di fine rapporto, a prescindere dal conseguimento del reddito, quindi della capacita' contributiva del dipendente. Pertanto, la sollevata eccezione di incostituzionalita', rilevante ai fini della decisione di merito, appare non manifestamente infondata.