LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sui  ricorsi  proposti da
 Manganelli Giuseppe, nato il 7 novembre 1969, De Bari Cosimo Damiano,
 nato il 14 giugno 1964 avverso l'ordinanza emessa il giorno 31 luglio
 1998 dal tribunale di Bari;
   Visti gli atti, l'ordinanza denunziata, e i ricorsi;
   Udita la relazione fatta dal consigliere dott. Arturo Cortese;
   Udito il pubblico ministero in persona  del  sostituto  procuratore
 generale,  dott.  Fulvio  Uccella, che ha concluso per l'annullamento
 senza rinvio se la richiesta del riesame fu presentata  al  tribunale
 di Bari e per il rigetto del ricorso in caso contrario;
   Udito  il  difensore avv. Di Terlizzi che chiede l'accoglimento del
 ricorso.
                               F a t t o
   Con ordinanza emessa il giorno 31 luglio 1998 il tribunale di  Bari
 rigettava  l'appello proposto da Manganelli Giuseppe e De Bari Cosimo
 Damiano avverso l'ordinanza del 6 luglio 1998 con cui il tribunale di
 Trani  aveva  respinto  l'istanza  di  declaratoria  di  perdita   di
 efficacia della misura cautelare a suo tempo irrogata, in conseguenza
 dell'assunto  mancato  rispetto,  durante il procedimento di riesame,
 del termine di cui al comma 5 dell'art. 309 c.p.p., come interpretato
 dalla sentenza della Corte costituzionale n. 232 del 1998.
   Rilevava in particolare il tribunale che  non  era  vincolante  ne'
 accettabile  l'interpretazione  di  cui  alla  citata  sentenza - che
 identificava il dies a quo per la decorrenza del termine in questione
 con la data di presentazione della richiesta di riesame, tenuto conto
 del diverso  "diritto  vivente",  fondato  sull'interpretazione  piu'
 plausibile del disposto di cui al citato comma 5 dell'art. 309 c.p.p.
 alla cui stregua il termine in questione non puo' che decorrere dalla
 ricezione,   da  parte  dell'Autorita'  procedente,  dell'avviso  del
 presidente del tribunale  del  riesame  relativo  alla  presentazione
 della richiesta del gravame dell'interessato. Ne' nella specie poteva
 porsi  alcuna questione di legittimita' costituzionale, di cui non si
 ravvisavano i presupposti e su cui peraltro la  Corte  costituzionale
 si  era  gia'  pronunciata  con la cennata sentenza interpretativa di
 rigetto.
   Ricorrono i due indagati, richiamandosi ai  decisivi  argomenti  di
 cui alla citata sentenza n. 232/1998 della Corte della costituzionale
 ed  evidenziando  l'inconfigurabilita',  nella  specie,  di qualunque
 giudicato  cautelare,  per  non  essere  mai  stata,  in  precedenza,
 prospettata   e  decisa  l'eccezione  processuale  fatta  valere  con
 l'istanza di revoca che dato luogo al presente procedimento.
   In    subordine   hanno   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale del disposto di cui all'art. 309, commi 5 e 9, c.p.p.,
 per contrasto con gli articoli 3, 13 e  24  della  Costituzione,  ove
 interpretato  in  senso difforme dalla citata sentenza, sottolineando
 la rilevanza della questione stessa in ragione della perduranza della
 misura cautelare.
                             D i r i t t o
   Va premesso in fatto che nella specie,  relativamente  alla  misura
 cautelare  ancora  in atto: la richiesta di riesame fu presentata per
 il Manganelli in data 21 ottobre 1996 e per il De  Bari  in  data  29
 ottobre  1996;  gli  atti, trasmessi dal p.m. su richiesta effettuata
 dal tribunale, per il primo, il 22 ottobre 1996 (e pervenuta al  p.m.
 il  giorno  successivo),  ed inoltrata, per il secondo, il 30 ottobre
 1996, pervennero al tribunale rispettivamente, il 28 ottobre  1996  e
 il  4 novembre 1996, con un ritardo, quindi, di due giorni, nel primo
 caso, e di un giorno, nel secondo, rispetto alla scadenza del termine
 di cinque giorni di cui al comma 5 dell'art.  309  c.p.p.,  calcolato
 con decorrenza dalla presentazione della richiesta di riesame.
   Alla  stregua,  pertanto,  della sentenza interpretativa di rigetto
 della Corte costituzionale  n.  232/1998,  per  le  misure  cautelari
 ancora  in  atto  per  i  ricorrenti,  non  essendosi sulla questione
 oggetto delle istanze di revoca  formato  alcun  pregresso  giudicato
 cautelare,  doveva e dovrebbe essere ritenuta e dichiarata la perdita
 di efficacia, con conseguente liberazione degli interessati.
   Rileva pero' il Collegio che l'interpretazione data al disposto del
 comma 5 dell'art. 309 c.p.p.. nella citata sentenza n. 232/1998,  pur
 se  ispirata  al  lodevole  intento  di  porre  rimedio  in forma non
 ablativa ad un assetto normativo ritenuto altrimenti non  conforme  a
 costituzione, non puo' essere condivisa, in quanto eccedente i limiti
 di un'ermeneusi compatibile col testo della norma codicistica.
   Bisogna,   invero,  considerare  che  l'inserimento,  nel  comma  5
 dell'art.  309 c.p.p.., dell'inciso "e comunque non oltre  il  quinto
 giorno",  operato  dal legislatore del 1995, in una alla modifica del
 comma 10 dello stesso articolo,  ha  inequivocamente  determinato  un
 prolungamento,   con   connessa   attribuzione   del   carattere   di
 perentorieta', del  termine  precedentemente  previsto,  e  residuato
 nella   norma  con  l'originaria  portata  ordinatoria,  del  "giorno
 successivo", stabilito per la trasmissione degli  atti  al  tribunale
 del riesame da parte della richiesta autorita' procedente. In ragione
 di  tale natura di termine di prolungamento a chiusura perentoria del
 residuato termine precedente, il nuovo termine non puo', secondo  una
 vincolante  logica  testuale,  che  avere  il medesimo dies a quo del
 termine  originario.  Ora,  tale  dies  a  quo,  sia  per  l'evidente
 connessione letterale e sintattica all'interno del comma 5, dell'art.
 309  c.p.p.,  sia  per l'esplicita indicazione del collegato disposto
 dell'art. 100, disp.  att.  c.p.p.,  coincide  indiscutibilmente  con
 quello   della   ricezione,   da   parte  dell'autorita'  giudiziaria
 procedente,  dell'avviso  della  presentazione  della  richiesta   di
 riesame  effettuato  sotto  la vigilanza del presidente del tribunale
 interessato.
   Una lettura dei  dati  normativi  che  individui,  per  il  termine
 originario  e  per  il  medesimo  termine  poi prolungato, decorrenze
 diverse, urta, in un modo non componibile per via interpretativa, con
 la valenza letterale e  sistematica  dei  dati  stessi,  quali  sopra
 descritti.
   Ma   una   ulteriore   decisiva  smentita  di  ordine  logico  alla
 interpretazione fornita  nella  sentenza  n.  232/1998  e'  data  dal
 rilievo  che  un termine, assegnato con carattere di perentorieta' ad
 un organo per effettuare un adempimento, e' "tarato" con  riferimento
 ai  tempi  ragionevolmente  previsti come necessari e sufficienti per
 farvi luogo, e non puo'  quindi,  intrinsecamente,  tollerare,  senza
 contraddire  la  ratio  stessa  della propria esistenza e durata, una
 decorrenza ancorata ad un evento esulante  in  se'  dalla  conoscenza
 dell'organo medesimo.
   Ne' la sollecitazione, portata dal disposto di cui alla prima parte
 del   comma  5,  dell'art.  309  c.p.p.,  alla  compressione  massima
 dell'intervallo  fra  tale  evento  e  la  sua  conoscenza  da  parte
 dell'organo  tenuto  all'adempimento,  puo'  legittimare,  a  livello
 interpretativo,  la  fictio  di  coincidenza  fra  l'uno  e  l'altra.
 Nell'assetto  degli  adempimenti  procedurali  previsti dall'art. 309
 c.p.p.., la fase intercorrente tra la presentazione  della  richiesta
 di  riesame  presso  la  cancelleria  del  tribunale del riesame e la
 ricezione,   da   parte   dell'autorita'   giudiziaria    procedente,
 dell'avviso  di  tale  presentazione,  pur  voluta come temporalmente
 ridotta al minimo, non puo' invero essere considerata  priva  di  una
 sua  autonoma  funzione  processuale.  Della  richiesta presentata in
 Cancelleria  deve  infatti  essere  reso  edotto  il  presidente  del
 tribunale  del  riesame,  che,  onerato  di  "curare" che ne sia dato
 immediato  avviso  all'Autorita'   procedente,   dovra'   previamente
 esaminare e qualificare l'atto, individuare l'Autorita' procedente e,
 quindi,  dare  le  disposizioni  conseguenti, vigilando che vi si dia
 dato tempestivo e utile corso.
   Presumere rigidamente, in tale  contesto,  la  coincidenza  fra  il
 momento della presentazione della richiesta di riesame e quello della
 ricezione  del  relativo  avviso  da parte dell'autorita' giudiziaria
 procedente, equivale  in  definitiva  a  comprimere  i  tempi  minimi
 previsti  dal  legislatore per l'adempimento della trasmissione degli
 atti, dando luogo al possibile monstrum di una decadenza producentesi
 senza il reale decorso del periodo inerziale stabilito.
   Cio' chiarito, resta ovviamente il problema, cui  ha  inteso  porre
 rimedio  la  Corte  costituzionale,  della  esistenza  di  una  fase,
 nell'ambito  del  procedimento  di  riesame,  pur,   nel   complesso,
 sottoposto  a  vincoli  temporali  rigidi  e  tassativi,  nella quale
 l'attivita' degli organi preposti non e' assistita, quanto  ai  tempi
 di  adempimento,  da  sanzione processuale. Tale situazione, idonea a
 pregiudicare il diritto  ad  una  difesa  efficace  e  tempestiva  in
 materia di liberta' personale, appare in contrasto con gli artt. 13 e
 24 della Costituzione.
   Non appare, dunque, manifestamente infondata, in riferimento a tali
 articoli,  la  questione  (di ovvia rilevanza in causa, posto che dal
 suo eventuale accoglimento in termini suscettibili di riflesso  sulle
 situazioni  oggetto di causa, deriverebbe l'accoglimento dei ricorsi,
 altrimenti  destinati  al  rigetto)  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  309,  commi  5  e  10,  c.p.p.,  nella parte in cui non e'
 previsto  un  termine   perentorio   per   l'inoltro,   all'autorita'
 giudiziaria   procedente,   dell'avviso   relativo   alla  presentata
 richiesta di riesame.
    Il  presente  procedimento  deve,  pertanto,  essere  sospeso, con
 trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  previi   gli
 adempimenti di legge.