IL TRIBUNALE
   Il giudice per le  indagini  preliminari  presso  il  tribunale  di
 Firenze;
   Premesso:
     che  con sentenza ex art. 444 c.p.p. di questo giudice in data 12
 febbraio 1998, irrevocabile il 2 aprile 1998, e' stata  applicata  la
 pena  di  un  anno e due mesi di reclusione e L. 4.000.000 di multa a
 Lucioli Roberto, nato il 6 giugno  1957  a  Carmignano,  residente  a
 Signa, via B. Giovanna n. 34, in ordine al seguente reato:
      delitto  di  cui  all'art.  74,  d.P.R.  9 ottobre 1990, n. 309,
 perche' deteneva a fini di spaccio polveri  del  peso  di  11,07  gr.
 contenenti  cocaina  per  9,37  gr.  e  polveri  del peso di gr. 1,35
 contenenti eroina per 0,67 gr., e vendeva altra sostanza stupefacente
 a persone non identificate ricavando quale corrispettivo la somma  di
 L. 4.350.000 che era sequestrata.
     In Firenze, addi' 3 novembre 1997;
   Con recidiva reiterata plurima specifica;
     che in data 19 gennaio 1999 Lucioli Roberto ha presentato istanza
 di  dissequestro e restituzione della suddetta somma di L. 4.350.000,
 sull'assunto di averne dimostrato la provenienza lecita;
     che in data 25 gennaio 1999 il pubblico  ministero  ha  formulato
 parere contrario "in quanto trattasi di prezzo del reato";
     che  l'assunto  del  Lucioli  di  avere dimostrato la provenienza
 lecita del denaro non trova conferma negli atti del procedimento, nel
 quale vi e' la dichiarazione dello stesso Lucioli di  avere  ricevuto
 almeno  una  parte  della somma da altri per l'acquisto della cocaina
 ("la somma di denaro trovata era la mia cassa,  era  denaro  mio  che
 usavo  per  acquistare  quelle  sostanze;  insieme  ad altri amici si
 mettevano insieme i soldi per poter acquistare una quantita' migliore
 ma a prezzo minore" e vi e' ampia  documentazione,  sequestrata  allo
 stesso  Lucioli  (come  gli  elenchi  manoscritti di nomi con accanto
 cifre evidentemente riferibili  a  crediti  per  vendite  di  droga),
 idonea  a  smentirlo,  e  a dare ragione dell'inserimento della cifra
 sequestrata nel capo d'imputazione, in quanto  frutto  di  precedenti
 cessioni di stupefacente;
   Considerato:
     che  non  si verte in caso di confisca obbligatoria, trattandosi,
 come costantemente ritenuto dalla Corte di cassazione, non di  prezzo
 ma di profitto del reato di cui si tratta;
     che  l'art.  445  c.p.p.,  in  caso di applicazione della pena su
 richiesta, consente la confisca solo nei casi di  cui  all'art.  240,
 comma 2 c.p. (confisca obbligatoria);
     che  poi  l'art.  12-sexies  del  d.-l.  8  giugno  1992  n. 306,
 convertito nella legge 7 agosto 1992 n. 356, introdotto  dall'art.  2
 del  d.-l.    20  giugno 1994 n. 399, convertito dalla legge 8 agosto
 1994, n. 501, non prevede - in caso di  applicazione  della  pena  ex
 art.  444  c.p.p.   - la confisca dei valori dei quali l'imputato non
 puo' giustificare la provenienza, allorche' ricorra per il  reato  di
 cui  all'art.  73,  d.P.R.  n. 309/1990 la circostanza attenuante del
 comma 5 dello stesso art. 73, riconosciuta nel caso di specie;
     che questo stesso giudice - con  ordinanza  4-15  dicembre  1997,
 iscritta  al  n.  113  del  registro ordinanze 1998, pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale n. 10, prima  serie  speciale  del  1998  -  aveva
 sollevato  questione di legittimita' costituzionale degli artt. 445 e
 12-sexies cit. per ritenuto contrasto con gli  artt.  3  e  27  della
 Carta   fondamentale,   con   le   motivazioni  che  qui  di  seguito
 testualmente si riportano:
     che per tali disposti (in sostanza, perche', in  conseguenza  del
 patteggiamento,  pecunia non olet) - piuttosto che per la mancanza di
 prova in ordine alla riferibilita' della somma allo spaccio, cosa che
 appare logicamente desumibile  dal  contesto  probatorio  citato,  si
 dovrebbe   disporre   la  restituzione  di  tale  somma,  per  quanto
 proveniente dallo spaccio di eroina;
     che simile conseguenza  appare  in  contrasto  anzitutto  con  il
 principio  (art.  27,  comma  3  della  Costituzione)  secondo cui il
 trattamento sanzionatorio deve tendere alla rieducazione del soggetto
 al quale viene  applicato;
     che  infatti  lo  spacciatore  e'   incoraggiato   a   proseguire
 l'attivita'   illecita,   qualora   per  effetto  della  sentenza  di
 applicazione  della  pena  gli  siano  restituiti  i  profitti  dello
 spaccio;
     che   cio'   sembra   contrastare   poi   con   il  principio  di
 ragionevolezza, immanente al disposto dell'art. 3 della Costituzione;
     che appare infatti irragionevole, e contraria al comune sentire e
 alla morale, la definitiva acquisizione dei profitti illeciti,  tanto
 piu' laddove provenienti da un'attivita' cosi' dannosa per la societa
 come lo spaccio dell'eroina;
     che  non  sembra potersi rinvenire un'adeguata giustificazione al
 diverso trattamento del profitto dello  spaccio,  a  norma  dell'art.
 12-sexies cit., nei casi in cui non ricorra la circostanza attenuante
 di cui all'art. 73, comma 5, cit.;
     che  infatti  l'attivita'  di  piccolo  spaccio,  o di spaccio da
 strada, realizzata dal pusher, costituisce  anello  essenziale  della
 catena   illecita   in   forza  della  quale  la  droga  perviene  al
 consumatore,  ed  e'  realizzata  spesso  in  forma  continuativa,  o
 addirittura  in  forma  associata  (cfr.  art. 74, comma 6, d.P.R. n.
 309/1990:  previsione,  questa,   che   conferma   la   pericolosita'
 dell'attivita' in questione);
     che la diversita' di trattamento, rispetto al caso della sentenza
 di  condanna  per  il reato ugualmente attenuato ex art. 73, comma 5,
 cit., non sembra trovare giustificazione nell'esigenza di incentivare
 il ricorso al procedimento  speciale  di  cui  all'art.  444  c.p.p.,
 poiche'  stimoli  bastevoli a patteggiare appaiono la riduzione della
 pena principale fino a 1/3,  l'esclusione  delle  pene  accessorie  e
 delle  misure  di  sicurezza,  nonche' della revoca della sospensione
 condizionale precedentemente accordata (Cass.,  sez.  un.,  8  maggio
 1996,  De  Leo,  nonche'  26  febbraio  1997,  Bahrouni),  ed  ancora
 l'estinzione del delitto ex art. 445, comma 2 c.p.p. per decorso  del
 quinquennio  senza  ricadute, la definitiva acquisizione dei profitti
 illeciti apparendo  premio  troppo  spregiudicato  in  rapporto  alle
 esigenze di mera economia processuale;
     che  tale  diversita'  di  trattamento  non sembra infine trovare
 giustificazione nel rilievo secondo cui  la  sentenza  resa  a  norma
 dell'art.  444  c.p.p.  non  contiene  un accertamento completo e con
 plena  cognitio  sulla  sussistenza  del  fatto-reato  e  sulla   sua
 effettiva  riferibilita' a un determinato soggetto (Cass., sez. un. 8
 maggio 1996 e 26 febbraio 1997, ora cit.);
     che infatti tale accertamento incompleto e'  tuttavia  ovviamente
 compatibile  con  l'applicazione  della  pena detentiva, e con la sua
 effettiva esecuzione, ed e' equiparato ad una sentenza  di  condanna,
 ove  non  diversamente disposto, cosi' da risultare a maggior ragione
 compatibile con la meno afflittiva confisca  dei  valori  costituenti
 profitto   del   reato   (l'incompletezza  dell'accertamento  dovendo
 peraltro misurarsi, nel caso di specie, con la sorpresa in flagranza,
 e la valutazione dei gravi indizi di  colpevolezza  compiuta  in  due
 gradi  di  giurisdizione  cautelare  nonche',  in  generale,  con  il
 richiamo operato dall'art. 444, comma 2 c.p.p. al disposto  dell'art.
 129 c.p.p.);
     che  per  tutto  quanto  fin  qui  considerato  la  questione  di
 legittimita' costituzionale sopra enunciata appare non manifestamente
 infondata;
     che la Corte costituzionale, con ordinanza 11-20  novembre  1998,
 n. 378 ha dichiarato la manifesta inammissibilita' della questione di
 legittimita'  costituzionale  degli  artt. 445 e 12-sexies cit., come
 sopra proposta, perche'  la  questione  "risulta(va)  prospettata  in
 maniera   ancipite,  dato  che  il  giudice  a  quo  propone  in  via
 alternativa due soluzioni senza concentrare sull'una o sull'altra  la
 richiesta  di una sentenza additiva (v. fra le altre, sentenza n. 129
 del 1993");
     che la Corte  costituzionale,  con  l'ordinanza  ora  menzionata,
 ricordava  anche essere stata dichiarata manifestamente inammissibile
 con ordinanza n. 334 del 1994 identica questione relativa agli  artt.
 445  c.p.p.  e 240 cod. pen. sul rilievo che "interventi additivi del
 tipo richiesto spettano al solo legislatore che,  nella  sfera  della
 sua  discrezionalita', puo' operare scelte anche derogatorie rispetto
 a quelle previste in via  generale  in  relazione  alla  sentenza  di
 "patteggiamento";
     che  ritiene  questo giudice di sollevare nuovamente la questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 12-sexies del d.-l. 8 giugno
 1992 n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, introdotto
 dall'art. 2 del d.-l. 20 giugno 1994, n. 399, convertito dalla  legge
 8  agosto  1994,  n.  501,  in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3
 della  Costituzione,  laddove  esclude,  in  caso  di   sentenza   di
 applicazione  della pena su richiesta per il reato di cui all'art. 73
 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, ricorrendo la circostanza attenuante di
 cui al comma 5 della stessa  disposizione,  la  confisca  dei  valori
 costituenti profitto dell'attivita' di spaccio;
     che  la  questione  e' rilevante in causa, poiche' in questa sede
 esecutiva (art. 676 c.p.p.),  deve  farsi  applicazione  della  norma
 denunciata,  per respingere eventualmente l'istanza di dissequestro e
 di  restituzione  e  disporre  invece  la  confisca  delle  somme  in
 sequestro,  in  quanto  l'istante non ne ha giustificato la legittima
 provenienza, ed e' provato per validi indizi essere le medesime somme
 provenienti da attivita' di spaccio;
     che   incentrando    la    questione    sulla    sola    denuncia
 d'incostituzionalita'  dell'art. 12-sexies cit. si superano i rilievi
 concernenti la prospettazione ancipite di cui all'ordinanza di questo
 giudice 4-15 dicembre 1997 e la pregressa pronuncia  della  Corte  n.
 334  del  1994,  riguardante i soli disposti degli artt. 445 c.p.p. e
 240 cod. pen.;
     che  peraltro  la  denuncia  di   incostituzionalita'   dell'art.
 12-sexies  non equivale a richiesta di una sentenza additiva, poiche'
 in tale disposizione il riferimento alla fattispecie di cui al  comma
 5  dell'art.    73,  d.P.R.  n.  309/1990  e'  operato in via di mera
 eccezione rispetto alla regola secondo cui e'  sempre  disposta,  sia
 nei  casi  di  condanna che di applicazione della pena, dei valori di
 cui l'imputato non possa dimostrare la provenienza legittima, ove  si
 tratti dei delitti indicati;
     che  pertanto  la  conformita'  alla  Costituzione  potra' essere
 ripristinata   semplicemente   eliminando   l'inciso   "esclusa    la
 fattispecie di cui al comma 5", che figura dopo la menzione dell'art.
 73 cit., cosi' eliminando l'eccezione qui lamentata;
     che  in  punto  di  manifesta  infondatezza  della questione deve
 richiamarsi  integralmente   quanto   argomentato   nella   riportata
 ordinanza  4-15  dicembre  1998  in effetti continuando ad apparire a
 questo giudice contrario al principio del carattere rieducativo della
 sanzione penale il fatto di incoraggiare lo spacciatore a  proseguire
 tale  attivita' illecita, restituendogli dopo la sentenza di condanna
 o di applicazione della pena i profitti dello spaccio, e contrario al
 principio di ragionevolezza, immanente al disposto dell'art. 3  della
 Costituzione,  in quanto irragionevole, e contraria al comune sentire
 e alla morale, la  definitiva  acquisizione  dei  profitti  illeciti,
 tanto  piu'  laddove provenienti da un'attivita' cosi' dannosa per la
 societa' come lo spaccio dell'eroina;