ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art  1,  comma  170,
 della  legge  23  dicembre  1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione
 della finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il  15  aprile
 1997  dal  tribunale  amministrativo  regionale  per  la Campania sui
 ricorsi riuniti proposti da Bossio Bianca contro il comune di Napoli,
 iscritta al n. 688 del registro ordinanze  1997  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  42, prima serie speciale,
 dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 24 febbraio 1999 il giudice
 relatore Riccardo Chieppa;
   Ritenuto che il tribunale amministrativo regionale della  Campania,
 nel  corso  del  giudizio  promosso  da  una dipendente del comune di
 Napoli, in servizio presso l'Avvocatura municipale con  la  qualifica
 di  avvocato  dirigente, nei confronti del provvedimento con il quale
 il predetto  comune  aveva  respinto  l'istanza  di  mantenimento  in
 servizio  per  un  biennio oltre il compimento del sessantacinquesimo
 anno di eta', presentata ai  sensi  del  disposto  dell'art.  16  del
 decreto  legislativo  30  dicembre 1992, n. 503, con ordinanza del 15
 aprile 1997 (r.o.  n. 688 del 1997),  ha  sollevato,  in  riferimento
 all'art.    3   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, comma 170, della legge 23 dicembre  1996,
 n.  662  (Misure  di razionalizzazione della finanza pubblica), nella
 parte in cui conferisce,  con  efficacia  retroattiva,  validita'  ai
 provvedimenti  di  diniego di mantenimento in servizio dei dipendenti
 di  enti  pubblici,  adottati  sotto  la  vigenza  di  una  serie  di
 decreti-legge,  succedutisi e mai convertiti, il cui art. 1, comma 2,
 escludeva  l'applicabilita'  del  predetto  art.   16   del   decreto
 legislativo n. 503 del 1992, per gli enti locali che deliberassero lo
 stato di dissesto e per tutta la durata del dissesto stesso;
     che  il  Collegio  rimettente,  dopo  avere  esposto  le  vicende
 relative alla  previsione  di  esclusione  degli  enti  in  stato  di
 dissesto dalla sfera di applicabilita' del citato art. 16 (contenente
 l'attribuzione  della  facolta' per i dipendenti civili dello Stato e
 degli  enti  pubblici  non  economici  di  permanere in servizio, con
 effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre  1992,
 n.  421,  per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di eta'
 per il collocamento a riposo per essi  previsti),  contenuta  per  la
 prima  volta nell'art.  1, comma 2, del d.-l. 15 giugno 1994, n. 376,
 non convertito  in  legge,  e  quindi  reiterata  con  la  catena  di
 successivi  decreti-legge  a  partire dal d.-l. 8 agosto 1994, n. 492
 fino al d.l. 5 agosto 1996, n. 409, ha sottolineato che la esclusione
 non e' stata riprodotta nell'ultimo d.-l. 4  ottobre  1996,  n.  516,
 neanch'esso convertito in legge;
     che,  sempre  secondo  l'ordinanza di rimessione, l'art. 1, comma
 170, della legge 23 dicembre 1996, n. 662,  disponendo  che  "restano
 validi  gli  atti  e  i  provvedimenti  adottati e sono fatti salvi i
 procedimenti  instaurati,  gli  effetti  prodottisi  e   i   rapporti
 giuridici  sorti  sulla  base"  di  tutti  i  predetti  decreti-legge
 compreso l'ultimo decreto, ha di fatto individuato un arco temporale,
 ricompreso tra il 17 giugno 1994 ed il 4  ottobre  1996,  durante  il
 quale  i  dipendenti  degli  enti  locali dissestati non hanno potuto
 godere dei benefici previsti  dallo  stesso  art.  16,  in  tal  modo
 violando  i  principi  costituzionali  di parita' di trattamento e di
 ragionevolezza;
     che il tribunale amministrativo regionale ritiene che  una  legge
 retroattiva,   quale   quella   disciplinata   dall'art.   77   della
 Costituzione, non potrebbe escludere per un determinato arco di tempo
 l'attribuzione di benefici generalmente  concessi,  ove  non  possano
 enuclearsi  ulteriori  motivi  che  giustifichino  la  disparita'  di
 trattamento, tenuto presente che, nel caso  di  specie,  la  "mancata
 reiterazione  in via permanente della norma limitativa introdotta con
 il d.l. n. 376 del 1994" non sarebbe collegata alla cessazione  dello
 stato di dissesto;
     che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che
 ha concluso per  la  manifesta  infondatezza  della  questione,  tesi
 successivamente sviluppata con memoria;
   Considerato  che  deve  escludersi  la violazione dell'art. 3 della
 Costituzione,  sotto  il  duplice   profilo   della   disparita'   di
 trattamento   e   della  irragionevolezza,  alla  luce  dei  principi
 ricavabili dalle sentenze della Corte relative  al  trattenimento  in
 servizio  oltre  i  limiti  di  eta'  (sentenza n. 162 del 1997) e ai
 trattamenti differenziati a seconda della tipologia del  rapporto  di
 impiego  e  dei  tempi  diversi  anche rispetto alla stessa categoria
 (sentenza n. 422 del 1994; ordinanza n. 380 del 1994; sentenze n. 475
 del 1993; n. 237 del 1994 e n. 395 del 1990);
     che, in particolare, l'art. 16 del d.lgs. n. 503 del  1992  -  da
 interpretarsi  in  immediata  connessione con il correlato principio,
 contenuto nell'art. 3, lettera b) della legge di  delega  23  ottobre
 1992, n. 421, avente oggetto e criteri direttivi non estesi a tutti i
 dipendenti  pubblici,  ma  limitati  al settore dei dipendenti civili
 dello Stato e degli enti pubblici non economici - e' disposizione  di
 carattere  eccezionale,  con  finalita'  di  contenimento della spesa
 pubblica in ordine ai  trattamenti  di  previdenza  e  di  quiescenza
 (sentenza n. 162 del 1997);
     che,  del  resto,  non  esiste  un  principio  fondamentale della
 legislazione  statale  in  base  al  quale  vi  sarebbe  un   diritto
 incondizionato  del  dipendente  pubblico al mantenimento in servizio
 per un biennio (sentenza n. 162 del 1997);
     che  pertanto  non  e'  viziata,  ne'  sotto  il  profilo   della
 disparita'   di   trattamento,   ne'   sotto  quello  della  assoluta
 irragionevolezza, la previsione (i cui effetti sono stati sanati)  di
 restringere   drasticamente   le  possibilita'  di  prosecuzione  del
 rapporto di lavoro oltre i limiti di eta' per il personale degli enti
 locali in condizioni di dissesto, sia in relazione  alle  contingenti
 esigenze  di  contenimento  della spesa degli enti locali che abbiano
 deliberato lo stato di  dissesto  in  considerazione  della  assoluta
 insufficienza  di  mezzi  finanziari,  sia per gli effetti indiretti,
 anche di prevenzione, nell'ambito degli organi burocratici  dell'ente
 dissestato;
     che  non deve essere esclusa la legittimita', sotto gli anzidetti
 profili, di un trattamento differenziato applicato ad una determinata
 categoria di soggetti in tempi diversi, soprattutto quando si  tratta
 di  legge  che  regola  i  rapporti  giuridici  sorti  sulla  base di
 decreti-legge che non erano stati convertiti  e  avevano  determinato
 una   cessazione  dal  servizio  allo  scadere  del  limite  di  eta'
 prefigurato per la stessa categoria, con esclusione -  a  parte  ogni
 problema  interpretativo  sulla  generale estensione della previsione
 dell'art. 16 del d.lgs.   n. 503 del 1992  -  dell'applicabilita'  di
 norma di carattere eccezionale;
     che  non  e' assolutamente irragionevole la sanatoria anzidetta -
 rientrante nella piena  discrezionalita'  del  legislatore  tutte  le
 volte  che  l'assetto  temporaneo  da  sanare  non  sia di per se' in
 contrasto con la Costituzione -, in  quanto  appartiene  alla  scelta
 della  legge  ex  art.  77,  ultimo  comma,  della  Costituzione,  la
 previsione di conservare  gli  effetti  gia'  prodottisi  di  singoli
 decreti-legge  non convertiti:   nella specie gli effetti dei divieti
 di prosecuzione di  rapporti  di  lavoro  oltre  i  limiti  di  eta',
 adottati  nei  periodi di vigenza dei singoli decreti-legge decaduti,
 escludendo  cosi'  il  ripristino  o  la  reviviscenza  di  rapporti,
 rispetto  ai  quali  non  vi  era  stata  prestazione  di servizio, e
 conseguentemente evitando un aggravio economico per un arco temporale
 tutt'altro che limitato;
     che la norma di sanatoria puo' ulteriormente essere  giustificata
 -  secondo  la  tesi dell'Avvocatura dello Stato - dalla finalita' di
 contenere gli esuberi di personale che si  sarebbero  determinati  in
 caso  di  riassunzioni,  con  successivo  ricorso alla mobilita', con
 aggravio ulteriore di contributi a carico degli enti  (dissestati)  e
 depauperamento  di forze di lavoro piu' giovani, mentre il fluire del
 tempo (dal giugno 1994 all'ottobre 1996) con superamento del  periodo
 piu'  critico dal punto di vista economico e del personale degli enti
 locali, costituiva di per se' elemento diversificatore;
     che, alla stregua delle anzidette  argomentazioni,  la  questione
 deve essere dichiarata manifestamente infondata sotto ogni profilo;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, della norme integrative per i giudizi  avanti
 alla Corte costituzionale.