Ricorso per questione di legittimita' costituzionale proposto dalla regione Piemonte, in persona del Presidente pro-tempore della giunta regionale, giusta deliberazione giuntale del 15 marzo 1999, n. 54 - 26867, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, degli avv.ti prof. Mario Bertolissi di Padova e Luigi Manzi di Roma, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via F. Confalonieri, 5; Contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro-tempore del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso ex lege dalla Avvocatura generale dello Stato, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell'Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 22 febbraio 1999, avente ad oggetto l'"interpretazione autentica della disciplina concernente le richieste sugli interessi e sui redditi di capitale". Fatto e diritto 1. - Per inquadrare in modo adeguato il problema di legittimita' costituzionale di cui qui si discute, vale la pena di riprendere - alla lettera, a scanso di equivoci - una recente, misurata annotazione di Livio Paladin ("Il principio di eguaglianza tributaria nella giurdisprudenza costituzionale italiana", relazione svolta nell'ambito del "Confronto tra Italia, Germania e Spagna come contributo per l'armonizzazione del diritto tributario in Europa", dedicato alla "Tassazione del reddito", Padova, 5-6 maggio 1997, 11 ss. del dattiloscritto), secondo cui, "malgrado il molteplice ricorso all'eguaglianza tributaria, riscontrabile nella giurisprudenza costituzionale, non si puo' dire che esso sia valso a sanare - in modo sistematico ed approfondito - le troppe storture che affliggono il diritto tributario italiano. Si pensi nuovamente - fra i tanti - al caso delle leggi tributarie retroattive ...", le quali sicuramente concorrono a rendere - come rileva poco oltre - "quello tributario come un ''diritto di secondo grado''" (ivi, 13). Infatti, "in primissima linea, spicca in tal senso il lamentevole stato del diritto tributario italiano: cioe' la frantumazione che contraddistingue l'intero quadro (se di quadro si vuole parlare); la tecnica legislativa casistica, per definizione refrattaria alla formulazione ed al rispetto di principi o criteri comuni, che De Mita denunciava pur dopo l'entrata in vigore del testo unico sulle imposte dirette, sottolineando invece l'esigenza di una vera ''codificazione fiscale'' (De Mita, "Interesse fiscale e tutela del contribuente", Milano, 1995, XVI, 25 ss., 141); e dunque il carattere intimamente asistematico che in questo campo presenta il nostro ordinamento, secondo i rilievi piu' volte fatti propri dalla Corte. In effetti, nella giurisprudenza costituzionale degli ultimi anni ricorre l'assunto che quell'ordinamento sia retto da una sorta di ''principio della plurisistematicita'''; che dunque sia arduo ricavarne un ''modello generale'', in vista del quale applicare il canone dell'eguaglianza; e che sia sovente impossibile - nelle piu' varie situazioni - ''invocare la comparazione trasversale di istituti e normative di altri settori'', in quanto caratterizzati da regole diverse''" (come codesta Corte ha precisato, rispettivamente, nella sentenza n. 121/1985, nella ord. n. 392/1993 e nella sent. n. 14 e n. 430/1995, secondo quanto riferisce l'autorevole costituzionalista). D'altra parte, di questo significativo tenore sono le considerazioni prospettate da altri illustri studiosi, che tendono ad affermare un'idea di Costituzione piu' prossima a un sistema codificato di valori che - per parafrasare Mariano D'Antonio, "La Costituzione di carta", Milano, 1997 - una "carta (straccia)", studiosi i quali hanno lamentato il pericolo che "la giurisprudenza della Corte in materia tributaria si appiattisca sulla legislazione in vigore" (cosi', ad es., sulla scorta di talune, essenziali puntualizzazione di De Mita, Elia, "Prefazione" a De Mita, "Fisco e Costituzione. II. 1984-1992", Milano, 1993, XXIII). In breve, preliminarmente, le leggi tributarie retroattive complicano e disarticolano quello che forse neppure e' un sistema: il c.d. ordinamento tributario; a maggior ragione, cio' e' causato dalle leggi interpretative, spesso concepite - come nel caso - al puro e semplice scopo di aggirare limiti costituzionali all'attivita' impositiva; e la dissoluzione del senso e della struttura degli istituti (ad es.: della esclusione dall'imposta, della ritenuta d'imposta ecc., in generale della soggettivita' tributaria e dei connessi corollari) finisce per comprimere l'area di operativita' del sindacato del giudice delle leggi, che qui tuttavia puo' dispiegarsi in ogni sua potenzialita', dal momento che la legge impugnata (l'art. 14 della legge n. 28/1999), proprio in ragione del suo carattere dichiaratamente interpretativo, non riesce a fare sistema: a) ne' con le leggi tributarie vigenti b) ne' - loro tramite - con le proposizioni costituzionali di riferimento, ivi comprese quelle del titolo V. 2. - Il dato - fattuale e normativo, ad un tempo - cui si ricollega la presente vicenda e' rappresentato dalla circostanza che - stando a quando dispone l'art. 26, quarto comma, del d.P.R. n. 600/1973 ("Ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale") - "nei confronti dei soggetti esenti dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche e in ogni altro caso le ritenute sono applicate a titolo di imposta"; mentre, a sua volta (ed in forza dell'innovazione introdotta - con effetto dal 1 gennaio 1991 - dall'art. 4, comma 3, del decreto-legge n. 310/1990, convertito, con modificazioni, in legge dalla legge n. 403/1990), l'art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917/1986 stabilisce, sempre in tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche, che "gli organi e le amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalita' giuridica, i comuni, le comunita' montane, le province e le regioni non sono soggetti all'imposta" (sul punto, per tutti, Falsitta, "Manuale di diritto tributario", II, Padova, 1997, 302). 3. - E' appena il caso di osservare che il citato art. 88, nella sua definitiva formulazione, si e' venuto ad iscrivere nell'ambito dell'annoso ed articolato dibattito dedicato alla soggettivita' tributaria degli enti pubblici ed alle relative norme interne di attuazione della VI direttiva CEE del 17 maggio 1997, la quale prevede che gli Stati, le regioni, le province ed i comuni non sono considerati soggetti passivi per le attivita' od operazioni che pongono in essere in quanto pubbliche autorita' (in argomento, Mancini, "Manuale Iva degli enti locali", Campobasso, 1986, 19). Volendo limitarsi ad un pura e semplice ripresa delle disposizioni legislative succedutesi nel tempo, rilevanti ai nostri fini, si puo' ricordare che, in tema di soggettivita' passiva, l'art. 2 del d.P.R. n. 598/1973 ("Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche") operava una netta distinzione tra enti commerciali e non commerciali, e cio' ai sensi di quanto previsto dall'art. 51 del d.P.R. n. 597/1973 ("Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche"), secondo il quale "per esercizio di imprese commerciali si intende l'esercizio per professione abituale, ancorche' non esclusiva, delle attivita' commerciali di cui all'art. 2195 del codice civile anche se non organizzate in forma di imprese". Donde la conseguenza - confermata pure dal disposto dell'art. 4 del d.P.R. n. 633/1972, modificato, per coerenza con la VI direttiva CEE, con d.P.R. n. 24/1979 - che l'attivita' commerciale degli enti non commerciali - tra i quali va annoverata, ovviamente, la regione - per assumere significativita' tributaria, non dovesse presentare i caratteri dell'impresa anche ai fini civili,e cioe' essere organizzata in forma di impresa ed essere svolta abitualmente (cio' gia' sulla scorta di quanto stabilito dal d.P.R. n. 687/1974: Mancini, op. cit., 20). E' in questo contesto che ebbe a situarsi l'importante, ancorche' criticata, presa di posizione dell'amministrazione finanziaria (si allude alla circolare 22 maggio 1976, n. 18/360068: in Corr. trib., n. 24/1986, 1626 ss.), la quale ebbe ad elencare, sia pure senza alcuna pretesa di tassativita', una serie di operazioni imponibili a fini Iva e, quindi, Irpeg ed Ilor. Senonche', sulla scorta degli enunciati normativi e degli indirizzi assunti dal fisco - stando ai quali, relativamente ai soggetti pubblici, doveva ritenersi essenziale la natura dell'attivita' svolta: meglio ancora, la natura del singolo atto od operazione posti in essere -, la situazione rimane comunque contraddistinta da incertezza: perche', se era chiaro, da un lato, che gli enti pubblici, in specie territoriali, nel momento in cui intervenivano come parti di rapporti economici in alternativa con i privati, non dovevano godere di un trattamento privilegiato che avrebbe potuto alterare le regole del mercato, era chiaro, d'altro lato, che molteplici perplessita' potevano insorgere circa la qualificazione, come atto di commercio, di singole operazioni svolte da regioni, province, comuni ... (al riguardo, ad es., Mazzaro, "Mancata applicazione dell'Iva sulle cessioni delle aree edificabili effettuate dai comuni a favore delle cooperative edilizie", in Corr. trib., n. 18/1984, 795 ss.; Avantaggiati, "I canoni per la concessione di un pubblico servizio nel riflessi dell'Iva e dell'Irpeg", ivi, n. 35/1986, 2405 ss.; ID., "Concessione di aree cimiteriali: una discutibile risoluzione ministeriale", ivi, n. 17/1990, 1168 ss.; Mancini, "L'Iva e le unita' sanitarie locali", ivi, n. 40/1986, 2760 ss.; soprattutto, Tosi, "L'assoggettamento ad imposta sul valore aggiunto delle operazioni commerciali delle amministrazioni comunali: considerazioni generali e casi particolari", in "La fin. loc.", n. 7-8/1988, 779 ss.). E perplessita' insorgevano, tant'e' che si era andato accumulando un nutrito contenzioso, variamente risolto dal giudice tributario (v., ad es., Corr. trib., n. 36/1986, 2444 ss. e, ivi, n. 26/1990, 1838 ss.). Il contenzioso che segui' produsse, oltretutto, un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia CEE (Comm. trib. di primo grado di Piacenza, sez. III, ord. 28 aprile 1988, n. 2, in Corr. trib., n. 26/1988, 1917 ss.), risolto dalla Corte medesima con sent. 17 ottobre 1989 (in Corr. trib., n. 43/1989, 3007 ss., rettificata, a causa di un errore materiale, con ord. 15 novembre 1989, ivi, n. 50/1989, 3547), il cui assunto e' stato ribadito alla successiva sent. 15 maggio 1990 (in Corr. trib., n. 23/1990, 1580 ss.). Tra le varie massime estrapolabili, vale la pena di ricordare, in questa sede, il seguente, conclusivo passo della prima sentenza citata, in ragione della sua significativita': "... l'art. 4, n. 5, secondo comma, della VI direttiva va interpretato nel senso che gli Stati membri sono tenuti a garantire l'assoggettamento degli enti di diritto pubblico per le attivita' che esercitano in quanto pubbliche autorita' allorche' tali attivita' possono essere del pari esercitate da privati in concorrenza con essi e qualora il loro non assoggettamento sia atto a provocare distorsioni di concorrenza di una certa importanza, ma non hanno l'obbligo di recepire letteralmente tale criterio nel loro diritto nazionale, ne' di precisare limiti quantitativi di non assoggettamento" (in Corr. trib., n. 43/1989, 3009. A proposito di tutto cio' v. ad es., Bertolissi, "Gli enti pubblici tra Corte di giustizia CEE e legislatore nazionale", ivi, n. 47/1989, 3274 ss.; Cerretelli, "Il comune paghera' l'Iva solo se fa l'imprenditore", in Il Sole 24 Ore, 18 ottobre 1989; Rizzardi, "Iva in comune: la censura CEE spinge il Parlamento a decidere, ivi; M. Mas", "A questo punto un caos completo per la sanatoria degli enti locali", ivi; Giacalone, "Il commento" alla sent. 17 ottobre 1989, in Corr. giur., n. 2/1990, 134 ss.). Rebus sic stantibus, non aveva di certo contribuito a dipanare l'intricata matassa il testo originario dell'art. 88 del d.P.R. n. 917/1986 (antecedente quello risultante dalle modifiche introdotte nel 1990 con il decreto legge n. 310, convertito dalla legge n. 403), perche' cosi' concepito nel suo comma 1: "Gli organi e le amminstrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo anche se dotati di personalita' giuridica, non sono soggetti alla imposta": infatti, quale ruolo assegnare agli enti pubblici in genere e, in particolare, ai comuni, alle comunita' montane, alle province e alle regioni per le operazioni poste in essere non quali pubbliche autorita'? Certo, sul punto era intervenuta la Corte di giustizia CEE (v., ancora, Avantaggiati, "La normativa comunitaria per le attivita' commerciali degli enti pubblici", in Corr. trib., n. 32/1989, 2190 ss., nonche' Tesauro, "Ancora sull'Iva degli enti pubblici e sulla sentenza della Corte di giustizia", in "La fin. loc.", n. 2/1990, 159 ss.), ma l'esperienza si era incaricata di dimostrare le gravissime inadempienze degli enti: per i quali fu concepita una sanatoria, mediante la riapertura dei termini di legge, entro i quali si sarebbero potute sanare appunto le situazioni pregresse nell'ambito dell'imposizione sia indiretta che diretta (e' da dire, poi, che la disciplina fu posta con una serie impressionante di atti normativi: v. decreto-legge n. 70/1988, convertito, con modificazioni, nella legge n. 154/1988; decreto-legge n. 511/1988, convertito, con modificazioni, nella legge n. 20/1989; decreto-legge n. 66/1989, convertito, con modificazioni, nella legge n. 144/1989; decreto-legge n. 69/1989, convertito, con modificazioni, nella legge n. 154/1989; decreto-legge n. 202/1989, convertito, con modificazioni, nella legge n. 288/1989; legge n. 384/1989 ... In argomento, Avantaggiati-Lamedica-Mancini, "L'esercizio della rivalsa nella sanatoria per gli enti locali", in "Le circolari del Corriere tributario", n. 4/1989; Circolare ministeriale 19 ottobre 1989, n.44/551269, della Direzione generale tasse, in Corr. trib., n. 43/1989, 3033 ss.; Del Monaco, "Il comune affida alla sanatoria la regolarizzazione delle ritenute", in Il Sole 24 Ore, 8 settembre 1989; Massaro, "Per gli enti locali si profila un condono Irpeg oneroso", ivi, 18 settembre 1991; Trimeloni, "Il condono tributario per gli enti locali. Quali le modalita' di applicazione?", in "La fin. loc.", n. 9/1988, IV ss.; ID., "Ancora in tema di condono tributario a favore degli enti locali. Le dimenticanze del legislatore", ivi, n. 12/1988, V. ss.; Lamedica, "La sanatoria degli enti locali e' entrata in zona calda", in Corr. trib., n. 27/1989, 1809; ID., "Enti locali: la sanatoria per una rivalsa difficile", ivi, n. 28/1989, 1885); e fu concessa, inoltre, un'amnistia per specifici reati commessi dagli amministratori e dipendenti degli enti non commerciali (ai sensi della legge n. 73/1990 e del d.P.R. n. 75/1990: v. Corr. trib., n. 18/1990, 1241 ss.). Dunque, per troncare davvero non simile stato di cose - quantomeno a partire dal momento di entrata in vigore dei nuovi disposti: i citati decreto-legge n. 310/1990 e legge n. 403/1990: pertanto, dal 1 gennaio 1991, "i comuni, le comunita' montane, le province e le regioni" furono equiparati tout court allo Stato: tant'e' che - commentando la innovazione, senza nutrire in proposito alcun dubbio - si scrisse che tali enti "non sono piu' considerati soggetti d'imposta. Quindi, anche se svolgono attivita' commerciali non sorge alcun obbligo impositivo" (Lamedica, "comuni: una sanatoria per una resa dei conti", in Corr. trib., n. 39/1991, 2885). 4. - La fuoriuscita dall'ambito di applicazione delle disposizioni regolatrici dell'Irpeg (e dell'Ilor) rappresenta l'epilogo di una complessa vicenda - qui riassunta per sommi capi - e la risposta ad un'esigenza elementare: quella di non rendere oltremodo complesso e difficoltoso l'operato degli enti pubblici territoriali, le cui eventuali omissioni avrebbero potuto dar luogo ad azioni di responsabilita' nei confronti dei propri agenti (v., per l'appunto, la relazione unita alla deliberazione n. 330/1989 della Corte dei conti - Sezione enti locali, dedicata ai "Profili fiscali dell'attivita' privatistica degli enti locali", pubblicata in La fin. loc., n. 1/1990, n. 123 ss.). D'altra parte, la soluzione infine accolta dal legislatore - quella codificata nel vigente art. 88, comma 1,del d.P.R. n. 917/1986 - risulta sostanzialmente omogenea a tante altre, normativamente disposte, che hanno variamente escluso innanzi tutto le regioni dalla sfera di applicazione di molteplici tributi: cosi' e' stabilito per l'Ilor (art. 116, comma 1, d.P.R. n. 917/1986 e, gia' in precedenza, art. 5, d.P.R. n. 601/1973), per l'Invim (art. 25, d.P.R. n. 643/1972), per l'imposta di registro (art. 1, tabella allegata al d.P.R. n. 131/1986), per l'imposta successioni e donazioni (art. 3 d.lgs. n. 346/1990), per l'Isi (art. 7, decreto-legge n. 333/1992), per l'Ici (art. 7, lett. a), legge n. 505/1992), per le tasse pubbliche affissioni (art. 21, lett, c), d.lgs. n. 504/1992), per la tassa occupazione aree pubbliche (art. 49, lett. a), d.lgs. n. 504/1992. Si puo' affermare, pertanto, che esiste un principio di equiparazione della regione allo Stato, secondo il quale entrambi sono esclusi dall'applicazione delle imposte, dirette e indirette, e da ulteriori forme di prelievo patrimoniale imposto, quando cio' non risulti contrario al mercato e alla libera concorrenza che lo caratterizza (in questa circostanza la soggettivita' passiva discende dalle norme comunitarie). 5. - Nessuna meraviglia, allora, se - in un primo momento - l'Amministrazione finanziaria, richiesta di esprimere un parere circa la portata del nuovo testo dell'art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917/1986, ha ritenuto - con risoluzione ministeriale 11 novembre 1991, n. 11/733, e 8 gennaio 1993, n. 8/645/92, della direzione generale imposte dirette - "di poter confermare che, per effetto delle modifiche apportate all'art. 88 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. n. 917/1986, dall'art. 4 del d.-l. 31 ottobre 1990, n. 310, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 1990, n. 403, i comuni (le province, le comunita' montane e le regioni), non essendo piu' soggetti all'Irpeg ed all'Ilor, non debbono subire ritenute per tali imposte, fermo restando l'obbligo per essi di operare le ritenute, sui contributi corrisposti a soggetti diversi, ai sensi dell'art. 28 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600". Ed ha aggiunto che, "nel caso in cui, tuttavia, il sostituto d'imposta abbia comunque effettuato a monte la ritenuta nei confronti degli enti locali, gli stessi dovranno attivare l'ordinaria procedura per il rimborso ex art. 37 o art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602". 6. - Il significato di questa nuova disciplina - che si e' inteso rendere esplicito illustrando le relative cause di giustificazione, ignorando le quali si potrebbe finire col risolvere il problema di legittimita' costituzionale considerando dati di carattere eminentemente testuale, ai quali va tuttavia riconosciuta, oggi, una rilevanza ermeneutica assai scarsa (v., sul punto, l'annotazione di Tosi, "Assoggettamento a ritenuta degli interessi bancari corrisposti ai comuni" in Giur. trib., n. 4/1995, 384, a proposito della equivoca dizione dell'art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 917/1986, stando al quale "sono in ogni caso esclusi dalla base imponibile: a) i redditi esenti dall'imposta ...") - e' stato ben delineato innanzi tutto dalla giurisprudenza tributaria, la quale ha affermato, tra l'altro: a) dopo aver precisato che "gli interessati su somme di spettanza degli enti non soggetti all'Irpeg ... non debbono subire la ritenuta di cui all'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973" - in sede di valutazione critica degli orientamenti ministeriali -, che "a tale conclusione - legata alla chiara lettura della legge - era giunto d'acchito lo stesso Ministero delle finanze, il quale, nella risoluzione ministeriale n. 8/645 dell'8 gennaio 1993 ..., stabili' che ''per effetto delle modifiche apportate dall'art. 88 del d.P.R. n. 917/1986 i comuni, le province, le comunita' montane e le regioni, non essendo piu' soggetti all'Irpeg e Ilor, non debbono subire ritenute per tali imposte''. Che, poi, il Ministero delle finanze, pressato da esigenze di cassa, abbia prontamente fatto proprio un parere del Ministero del tesoro a sua volta diramato agli enti locali dal Ministero dell'interno (circolare ministeriale dell'interno 19 marzo 1993, n. 11) non meraviglia, mentre meraviglia che nella nuova risoluzione (risoluzione ministeriale 8 dicembre 1993, n. III-5-846) si affermi - senza che la carta si colori di rosso - che ''non sussiste alcun contrasto fra quanto affermato nella risoluzione e nella circolare sopra richiamate''. Il riferimento e', ovviamente, alla risoluzione n. 8/645 ed alla circolare ministeriale dell'interno. Secondo l'autore della risoluzione ministeriale n. III-5-846, dunque, nella risoluzione n. 8/645 si era fatto ''generico riferimento ai redditi di capitale ed ai dividendi, senza fornire alcun particolare chiarimento in ordine al regime applicabile agli interessi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali intestati agli enti in oggetto. Trattasi di un travisamento cosi' palese e sfrontato che soltanto l'anonimato delle risoluzioni puo' spiegare. Nella risoluzione de qua, invero, si partiva dalla richiesta di conoscere ''se possano essere operate nei confronti del comune ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale, nonche' sui dividendi percepiti per la partecipazione a societa' e, infine, sui contributi dal comune stesso ricevuti'' e si concludeva come sopra riportato. Ne' puo' parlarsi, nella specie, come pure fa per primo il Ministero del tesoro e, poi, pappagallescamente, il Ministero dell'interno, di imposta sostitutiva, dato che l'istituzione di questa con riferimento agli interessi su somme depositate non e' prevista dalla legge di delega e sarebbe, dunque, palesemente incostituzionale. Comunque, le conclusioni alle quali e' pervenuto questo Collegio sono condivise ormai dalla stessa Commissione tributaria di 1 grado che inizialmente era di contrario avviso e trovano puntuale riscontro anche nella decisione 30 settembre 1994, n. 661 della Commissione tributaria di 1 grado di Roma e nella dottrina" (Comm. trib. di 2 grado di Bolzano, sez. I, dec. 26 settembre 1995, n. 586, in il fisco, n. 44/1995, 10623-10624, nonche' in Corr. trib., n. 17/1996, 1367); b) dopo aver ribadito che "gli interessi su conti correnti bancari e postali di spettanza degli enti non soggetti all'Irpeg, ai sensi dell'art. 88 del d.P.R. n. 917/1986, non devono subire la ritenuta di cui all'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973" - in sede di definizione dei capisaldi del sistema e delle incogruenze causative di illegittimita' che ne deriverebbero ove si accogliesse l'orientamento infine puntualizzato dall'Amministrazione finanziaria -, che "il vigente (nuovo) sistema tributario per gli organi ed Amministrazioni dello Stato e' basato: - sul non assoggettamento all'Irpeg (non si parla di esenzione); - sulla non presentabilita' della dichiarazione annuale dei redditi. Il non assoggettamento all'imposta vuol dire che: a) questi soggetti debbono rimanere estranei al tributo; b) l'estraneita' non si riferisce esclusivamente alla fase di dichiarazione dei redditi ma ad ogni momento in cui ci sono manifestazioni di imponibilita' a carico di questi soggetti; c) se l'estraneita' dovesse riferirsi solo in sede di dichiarazione il legislatore avrebbe dovuto usare l'espressione di esonero dalla presentazione e non invece quella di ''non assoggettamento all'Irpeg''. Opinando diversamente, in caso di assoggettamento all'imposta nel corso della formazione di singoli redditi, si avrebbero le seguenti incongruenze: - non potendo riportare alla fine dell'esercizio le ritenute subite, in quanto non e' prevista la presentazione della dichiarazione annuale, si viene a creare una evidente disparita' di trattamento con i soggetti privati che in sede di dichiarazione riportano in detrazione le ritenute subite nel corso dell'esercizio; - si aggraverebbe la situazione fiscale degli enti locali rispetto alla situazione previgente laddove per una parte erano tenuti alla presentazione della dichiarazione ed al recupero delle ritenute ad aliquota ridotta (cioe' 18,5% a fronte dell'aliquota ordinaria del 30%)" (Comm. trib. reg. Emilia-Romagna, sez. V, sent. 18 marzo-5 maggio 1997, n. 5, in Guida normativa, 14 ottobre 1997, 36-37, con nota adesiva di De Simoni-Guidi, "Esecuzione estensibile a consorzi e aziende speciali", ivi, 39-39. La stessa sentenza la si puo' leggere in Corr. trib., n. 27/1997, con commento favorevole di Ielo, 2001 ss.). In breve, dopo qualche esordio perplesso, l'indirizzo consolidatosi e' nel senso poc'anzi esposto, senz'altro favorevole a regioni, province, comuni e comunita' montane, in evidente aderenza con la soluzione data al problema della soggettivita' tributaria degli enti pubblici territoriali dal legislatore del 1990: si vedano, infatti, quanto al primo grado, Comm. trib. Roma, sez. XV, dec. 12 settembre 1994, n. 478 e n. 479; sez. XL, dec. 5 novembre 1994, n. 661; Comm. trib. Belluno, sez. I, dec. 5 agosto 1994, n. 22; Comm. trib. Firenze, dec. 17 dicembre 1994, n. 585, Comm. trib. Bolzano, sez. IV, dec. 14 aprile 1994, n. 278, e dec. 7 novembre 1994, n. 509; Comm. trib. Venezia, sez. VII, dec. 23 luglio 1994, n. 882, e dec. 23 agosto 1994, n. 867; sez. I, dec. 21 settembre 1995 n. 123 e n. 124; sez. VII, sent. 29 ottobre 1996, n. 267, n. 268 e n. 269; sez. VI, sent. 15 settembre 1997; n. 97; Comm. trib. Ferrara, sent. 4 luglio 1997, n. 267; Comm. trib. Udine, sez. VII, sent. 8 giugno 1998, n. 193; quanto al secondo grado, Comm. trib. Bolzano, sez. I, dec. 20 febbraio 1995, n. 19; sez. I, dec. 26 settembre 1995, n. 586; sez. I, sent. 6 novembre 1995, n. 297 e n. 298; Comm. trib. reg. Emilia-Romagna, sez. V, sent. 8 maggio 1997, n. 4 e n. 5; Comm. trib. reg. Veneto, sez. XXXII, sent. 2 luglio-17 settembre 1998, n. 140 e n. 141. 7. - Per parte sua, la dottrina e' stata ancor piu' drastica nel recensire criticamente le pretese dell'Amministrazione finanziaria. Per limitarsi ad una rapida rassegna di questioni - che qui vanno riprese per quel tanto che serve ad evidenziare la denunciata aberratio -, vale la pena di ricordare che non si e' mancato di indicare, con estrema chiarezza, la ratio del vigente art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917/1986 ("E' opportuno oltretutto sottolineare come un'esclusione da imposizione per detti enti comportava l'eliminazione di una serie di adempimenti burocratici, come ad esempio l'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi ex art. 13, primo comma, lettera b), del d.P.R. n. 600/1973, nonche' l'obbligo della tenuta di una contabilita' come prevista dall'art. 14 del citato d.P.R. n. 600/1973 ...": Terzani, "I proventi finanziari degli enti locali esenti da ritenute fiscali?", in il Fisco, n. 23/1996, 5767), il quale comporta - al di la' di ogni ragionevole dubbio - l'esclusione della soggettivita' tributaria (anche) delle regioni a fini Irpeg ("Non e' superfluo in propostito ricordare che il concetto di esenzione soggettiva si distingue nettamente e si oppone a quello di non soggettivita'. Infatti, l'esenzione soggettiva ricorre nei soli casi in cui la legge dichiara non obbligata al pagamento dell'imposta una persona che secondo le disposizioni piu' generali della medesima legge rientrerebbe fra i soggetti passivi del tributo. In altri termini, si puo' dire che il soggetto esente presuppone il soggetto passivo". Cio' che conta, poi, e' "che il richiamato principio generale ci porta a concludere che, poiche' la norma del comma 4, art. 26 preesisteva alla modifica introdotta dal testo unico, non poteva prevedere ipotesi di non soggettivita' allora inesistenti completamente, ma solo ipotesi di esenzione dall'Irpeg tutte disciplinate dal d.P.R. n. 601/1973": Napoli, "Gli interessi sui depositi degli enti pubblici sono soggetti a ritenuta", in Corr. trib. n. 11/1995, 707, cui adde Tosi, "Assoggettamento a ritenuta", cit. 383 ss.: Pettinato-Pugliese, "Sugli interessi maturati a favore delle municipalizzate non si applicano le ritenute", in Corr. trib., n. 39/1994, 2585 ss.: Cipolla, in Rass. trib., n. 4/1996, 869, nonche' Viotto, "Ritenuta d'imposta sugli interessi bancari dei comuni. Problemi interpretativi e conseguenze derivanti dall'inadempimento del sostituto", in Riv. dir. trib., 1995, I, 1045 ss.), esclusione che determina, ove si operi comunque un prelievo a carico del seggetto escluso, una violazione dei principi costituzionali di eguaglianza e di capacita' contributiva (Tosi, "Assoggettamento a ritenuta", cit., 385). D'altra parte, e' solo equivocando circa il significato dell'espressione "in ogni altro caso" (di cui all'art. 26, quarto comma, del d.P.R. n. 600/1973, peraltro antecedente - come si e' sottolineato - al testo introdotto nel 1990) che si puo' pretendere di annoverare i soggetti esclusi dall'ambito di operativita' dell'Irpeg tra quelli tenuti a subire la ritenuta d'imposta (in realta', come ha ben spiegato Tiengo, "Illegittimita' della ritenuta alla fonte sui proventi finanziari di soggetti esclusi da Irpeg", in Riv. dir. trib., 1995, II 145 ss., tale locuzione vale ad integrare, in via residuale, l'elencazione di cui all'art. 26, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 600/1973: "Non sono ricompresi in tale elencazione gli enti non residenti che abbiano in Italia una stabile organizzazione, nonche' gli enti non commerciali di cui alla lett. c) dell'art. 2, d.P.R. 1973, n. 598. E proprio per questi soggetti il legislatore ha previsto, mediante la previsione di chiusura ''in ogni altro caso'', una ritenuta a titolo d'imposta", a proposito della quale v. De Mita, "Ritenuta d'imposta: l'asso pigliatutto del diritto tributario", in Fisco e Costituzione, cit.: 902 ss. V., altresi', De Simoni-Guidi, op. cit., 39, i quali sottolineano, appunto, il fatto che "tale dizione e' riferibile a tutte quelle ipotesi riconducibili nell'ambito di soggetti unicamente esenti da imposta e non esclusi dalla stessa", nonche', Ielo, op. cit., 2003); e tale equivoco produce - come evidenziato dal giudice tributario (Comm. trib. II grado di Bolzano, sez I, dec. n. 586/1995, cit. sub 6) - una violazione della "legge delega per la riforma tributaria (legge 1971, n. 825), la quale per i ''redditi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali e da obbligazioni e titoli similari'' corrisposti ai soli soggetti Irpeg volle prevedere all'art. 10, n. 5, una ritenuta a titolo d'acconto. Cosi' come, ancora, per i soggetti esenti da Irpeg e da Ilor venne prevista una ritenuta a titolo d'imposta" (Tiengo, "Illegittimita' della ritenuta alla fonte" cit., 147, e Pettinato-Pugliese, op. cit., 2587). Ma v'e' di piu' e di ancor piu' rilevante ai nostri fini. Si e' giustamente osservato, infatti, che "i fondi di tesoreria non sono dopositi bancari per mancanza dei requisiti oggettivi e soggettivi e, pertanto, anche per questo verso non devono subire la ritenuta alla fonte a titolo d'imposta prevista dal comma 4 dell'art. 26": il tesoriere non e' da da considerare un'azienda di credito (v. telegramma del Ministero delle finanze del 14 settembre 1992, in Corr. trib., n. 38/1993, 2744) e "le giacenze di tesoreria non possono essere oggettivamente qualificate depositi bancari" (Napoli, "Gli interessi sui depositi", cit., 708), atteso il meccanismo di finanziamento delle regioni ed il sistema di tesoreria unica di cui alla legge n. 720/1984 (se ne parlera' sub 12 e in un'eventuale successiva memoria). 8. - Quanto esposto consente di precisare, in modo assai lineare, quali sono gli elementi essenziali di un settore prevalentemente esposto e problematico della fiscalita' - quello riguardante gli enti pubblici, in specie territoriali -, le cui soluzioni risultano condizionate da una serie molteplice di fattori: tra l'altro, dalla normativa comunitaria; dalle complicazioni di carattere gestionale; dal modo di essere di taluni istituti del diritto tributario, i quali vanno tra loro coordinati sul versante sia sostanziale (ad es.: della soggettivita' passiva) sia procedurale (ad es.: delle ritenute). Ad ogni buon conto, il quadro normativo di riferimento, colto nella descritta evoluzione, all'interno del quale e' stato calato l'art. 14 della legge n. 28/1999, e' il seguente: a) nella vigenza degli originari disposti dell'art. 51 del d.P.R. n. 597/1973, dell'art. 2 del d.P.R. n. 598/1973, (e dell'art. 4 del d.P.R. n. 663/1972) e dell'art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917/1986, regioni, province, comuni e comunita' montane erano soggetti passivi a fini Irpeg ed Ilor: in quanto tali, relativamente alle operazioni imponibili, erano tenuti a compilare una contabilita' separata, a presentare annualmente la relativa dichiarazione, esponendo - e, con cio', recuperando - le somme per le quali avevano subito le ritenute; b) perdurando notevoli incertezze circa la natura delle operazioni poste in essere da detti enti rilevanti ai fini Irpeg ed Ilor - incertezze accentuate, piuttosto che risolte, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia CEE - il legislatore ha assunto due differenti determinazioni: da un lato, ha inteso porre la parola fine sul pregresso, prevedendo una sanatoria fiscale, accompagnata da amnistia (per le ovvie implicazioni penali dipendenti dalle omesse dichiarazioni e versamenti); d'altro lato, ha equiparato - e, qundi, escluso dalla soggettivita' Irpeg ed Ilor - regioni, province, comuni e comunita' montane allo Stao: con le conseguenze espressamente sottolineate dalla giurisprudenza (v. sub 6, lett. b); c) cio' ha determinato un rapporto di assoluta indifferenza tra attivita' delle regioni e Irpeg, della quale si occupano sia l'art. 26, quarto comma, del d.P.R. n. 600/1973 (decreto concernente "Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi") sia l'art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917/1986 (il quale detta le regole sostanziali in tema di "imposte sui redditi"). 9. - Senonche', il legislatore ha di recente stabilito - con l'art. 14 della legge n. 28/1999, qui impugnato - che "la disposizione di cui all'art. 26 quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, riguardante l'applicazione della ritenuta a titolo d'imposta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti deve intendersi nel senso che tale ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche". Come appare evidente dalla pura e semplice lettura della rubrica dell'articolo, si tratta di una disposizione che pretende di essere meramente interpretativa e, quindi, dotata, per cio' solo, di efficacia retroattiva. Ma, piu' radicalmente ancora, simile disposto pretende di inserirsi nell'ordinamento fiscale naturaliter - piu' esattamente: senza colpo ferire - disinteressandosi delle storture che ne conseguono: non trascurabili, ne' sul piano quantitativo ne' sul piano qualitativo. Gia' ha osservato taluno - in sede di primo commento e nella prospettiva del quivis de populo - che dovra' "essere chiarita ... la portata della disposizione contenuta nell'art. 14 del decreto omnibus che, con censurabile tecnica giuridica, inteviene, con effetto - pare - retroattivo, a definire l'ambito di applicazione di una norma che dovrebbe limitarsi a definire le modalita' di applicazione delle imposte, una volta definiti aliunde i soggetti a cui le stesse si applicano", ed il chiarimento e' tanto piu' necessario in quanto "la soluzione dell'interpretazione autentica, retroattiva, dopo le sconfitte ripetute in contenzioso", e' "un regalo poco corretto in favore del fisco" (Buscaroli-Saccapo, "Interessi: la ritenuta finisce in Cassazione", in Il Sole 24 Ore, 15 febbraio 1999). Quest'ultima annotazione - piaccia o non piaccia - e' indubbiamente grave e ripropone questioni essenziali (destinate a rimanere sullo sfondo di questo giudizio, perche' si infrangono contro luoghi comuni consolidati in tema di leggi interpretative e di retroattivita'), che attengono alla separazione dei poteri, per un verso (e' il piano proprio della forma di governo), e al senso piu' generale della liberta', per altro verso (e' il profilo che attiene alla forma di Stato). Ma, anche prescindendo da cio', rimane comunque il fatto che l'art. 14 della legge n. 28/1999 - come si e' gia' rilevato sub 1, in fine - non riesce a fare sistema: a) ne' con le leggi tributarie vigenti b) ne', loro tramite, con le proposizioni costituzionali di riferimento, ivi comprese quelle del Titolo V. 10. - Sotto il primo profilo, l'esito cui il citato disposto conduce e' scontato, risolvendosi in puntuali violazioni di legge e in fenomeni di manifesta irrazionalita', ulteriormente devastante il c.d. ordinamento tributario (v. sub 1, la' dove si e' ripresa la significativa opinione di Livio Paladin). Quanto alla asserita violazione di legge, l'art. 14 dell'atto impugnato collide con l'art. 10, n. 5, della legge di delega n. 825/1971, nel senso indicato sub 6, lett. a)(da Comm. trib. II grado di Bolzano, sez. I, dec. 26 settembre 1995, n. 586, cit., 10623-10624) e sub 7 (come sottolineato da Tiengo, "Illegittimita' della ritenuta alla fonte", cit., 147): il che configura la violazione dell'art. 76 Cost. Quanto ai denunciati fenomeni di manifesta irrazionalita', e' sufficiente riprendere, ancora una volta, gli spunti offerti da dottrina e giurisprudenza, che qui si possono brevemente riassumere. Stando ad essi - come si e' visto - e' contraddittorio prevedere, ad un tempo, la non assoggettabilita' a tributo di un dato soggetto e l'obbligo, per questo, di sottoporsi ad una ritenuta d'imposta. Infatti, la soggettivita' passiva implica adeguamenti coerenti con la struttura del tributo e adempimenti specifici (di cui si e' detto passim), i quali hanno la funzione di regolare ed equilibrare il rapporto giuridico d'imposta: tant'e' che le ritenute sono recuperate - ove si guardi al regime del prelievo di cui trattasi - in sede di dichiarazione annuale del soggeto passivo; non, invece, del soggetto escluso e, dunque della regione, paradossalmente colpita - innanzi tutto il punto di vista del diritto tributario - dal dettato dell'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973. Oltretutto, cio' determina - quale naturale conseguenza - la reviviscenza di una soggettivita' tributaria passiva (che ci deve essere, ove si ritenga conforme a sistema la ritenuta in esame) letteralmente negata dal dettato (oltre che dalla ratio) dell'art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917/1986: il che comporta - contraddittorialmente ancora - che la regione sia colpita da un prelievo relativamente ad un'imposta - l'Irpeg - alla quale e' stata sottratta, avendo lo stesso legislatore ritenuto insussistente (o, se si preferisce, irrilevante) una capacita' contributiva. A tale riguardo, si deve aggiungere che l'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973 non puo' riferirsi a fattispecie riconducibili all'Irpeg: pertanto, le somme depositate in conto corrente, generatrici di interessi sui quali operare la ritenuta, dovrebbero derivare da operazioni svolte nell'esercizio di "imprese commerciali" (ex art. 51, d.P.R. n. 917/1986), comunque non ricollegabili ai fini istituzionali dell'ente inteso (anche dal punto di vista della normativa comunitaria) come "pubblica autorita'". Tutto cio' non accadeva quando la regione, soggetto passivo Irpeg, era tenuta - come si e' accennato - a differenziare le proprie operazioni, a contabilizzare a parte quelle fiscalmente rilevanti, a corrispondere il relativo tributo, a subire la ritenuta a titolo d'imposta, accompagnata dalla facolta' di recupero. 11. - Proiettate sul piano del diritto costituzionale, tali manifeste irrazionalita' rendono evidente l'eccesso di potere in cui e' caduto il legislatore, quando ha - volutamente o meno, poco importa - concorso a disarticolare, una volta di piu', il sistema. Infatti, le denunciate incogruenze comportano tout court: a) la violazione del principio di eguaglianza (art. 3, Cost.), dal momento che la regione non puo' - diversamente da qualunque soggetto passivo Irpeg - recuperare in sede di dichiarazione annuale (che non solo non e' tenuta, ma non puo' presentare, in forma di quanto dispone l'art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917/1986) le ritenute operate a suo carico sugli interessi relativi alle somme giacenti in conto corrente; b) la violazione del principio di capacita' contributiva (art. 53 Cost.), poiche' la ritenuta a titolo d'imposta cade su somme depositate in conto corrente che non sono correlate al presupposto in base al quale un soggetto e' colpito dall'Irpeg: infatti, la regione non compie - per definizione ex art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917/1986 - le attivita' di cui all'art. 51 del medesimo decreto presidenziale e, nondimeno, e' tenuta a subire un prelievo che si traduce in un esborso sine titulo; c) la violazione del principio costituzionale di buon andamento (art. 97 Cost.), in quanto - senza spedendere molte parole - e' intuitivo che simili aberrazioni finiscono per rendere sempre meno attendibile e credibile la funzione legislativa: con quel che segue, sul piano dell'azione ammnistrativa e finanziaria. Ancorche' questa difesa sia dell'opinione che il legislatore non puo' mai interferire, con disposizioni retroattive e, soprattutto, con atti (falsamente) interpretativi, sulle pronunce rese dall'autorita' giurisdizionale (le ragioni condivise sono illustrate - a prescindere dall'opinione espressa dall'autore - da Quadri R., "Applicazione della legge in generale", Bologna-Roma, 1974, cui adde Verde G., "L'interpretazione autentica della legge", Torino, 1997, nonche' Bin, "La Corte costituzionale tra potere e retorica: spunti per la costruzione di un modello ermeneutico dei rapporti tra Corte e giudici di merito", in "La Corte costituzionale e gli altri poteri dello Stato", Torino 1993, 8 ss., e Guastini, "Il giudice e la legge", Torino, 1995,), tuttavia, nella circostanza, non e' neccessario dire alcunche' circa il contrario avviso di codesta ecc.ma Corte, visto che sono sufficienti - a fondare l'impugnativa - le massime formulate in tema di ragionevolezza, che rappresenta il profilo alla stregua del quale va operato il sindacato sulla fattispecie dedotta (alla luce di cio' che si dira', fra un istante, sub 12). Dunque, "il giudizio di eguaglianza" - secondo le relazioni esposte nella sequenza: artt. 3, 53 e 97 Cost., come precisato poc'anzi - "e' in se' un giudizio di ragionevolezza, vale a dire un apprezzamento di conformita' tra la regola introdotta e la ''causa'' normativa che la deve assistere: ove la disciplina positiva si discosti dalla funzione che la stessa e' chiamata a svolgere nel sistema e ometta, quindi, di operare il doveroso bilanciamento dei valori che in concreto risultano coinvolti, sara' la stessa ''ragione'' della norma a venir meno, introducendo una selezione di regime giuridico priva di causa giustificativa e, dunque, fondata su scelte arbitrarie che ineluttabilmente perturbano il canone dell'eguaglianza. Ogni tessuto normativo presenta, quindi, e deve anzi presentare, una ''Motivazione'' obiettivata nel sistema, che si manifesta come entita' tipizzante del tutto avulsa dai ''motivi'', storicamente contingenti, che possono avere indotto il legislatore a formulare una specifica opzione: se dall'analisi di tale motivazione scaturira' la verifica di una carenza di ''causa'' o ''ragione'' della disciplina introdotta, allora e soltanto allora potra' dirsi realizzato un vizio di legittimita' costituzionale della norma, proprio perche' fondato sulla ''irragionevole'' e per cio' stesso arbitraria scelta di introdurre un regime che necessariamente finisce per omologare fra loro situazioni diverse o, al contrario, per differenziare il trattamento di situazioni analoghe" (Corte cost., sent. 28 marzo 1996, n. 89, in Giur. cost., 1996, 824, V., altresi', tra le tante, sent. n. 432/1997, ivi, 1997, 3858 ss., nonche', soprattutto, sent. n. 6/1994, ivi, 1994, spec. 69 ss.). Nel caso in questione, la preoccupazione di acquisire allo Stato disponibilita' finanziarie, accompagnata dal metodo concretamente prescelto - ricorso alla legge interpretativa, perche' retroattiva, incidente non sulla soggettivita' tributaria sostanziale, ma su un meccanismo procedurale, qual e' lo strumento della ritenuta - ha portato alla manipolazione artificiosa del sistema creato con l'art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917/1986 ed alle conseguenti - denunciate - inevitabili ed obiettive distorsioni. 12. - Tali distorsioni (di cui si dira' amplius in una successiva memoria, dopo aver preso visione dell'eventuale contrario avviso della Avvocatura generale dello Stato) rifluiscono sullo status costituzionale della regione, come definito dall'art. 119 e dalla connesse disposizioni riguardanti le funzioni legislative ed amministrative, di cui agli artt. 117 e 118 Cost., ovviamente condizionate dalla finanza. E' evidente, infatti, che la' dove il legislatore ha surrettiziamente assoggettato ad Irpeg, attraverso una ritenuta a titolo d'imposta, la regione, dopo averla esclusa dall'area di operativita' del tributo, in violazione tra l'altro degli artt. 3, 53 e 97 Cost. (nei limiti precisati sub 11), ha disposto un prelievo coatto a carico di disponibilita' regionali costitutive dell'autonomia finanziaria dell'ente, garantita dall'art. 119 Cost. A cio' si aggiunga che le somme generatrici degli interessi colpiti dalla ritenuta concernono risorse che affluiscono alla regione nell'ambito del sistema di tesoreria unica, previsto dalla legge n. 720/1984, risorse che sono della regione e che nulla hanno a che vedere con il presupposto dell'Irpeg: tant'e' che, anche se la regione fosse inclusa - com'era prima della riforma del 1990 - tra i soggetti passivi di detta imposta, comunque i cespiti de quibus risulterebbero sottratti al prelievo tributario in questione, essendo i medesimi riferibili alle voci di cui si compone - ex art. 119 Cost. - il sistema delle entrate della regione (in proposito, v., ad es., Paladin, "Diritto regionale", Padova, 1997, 245 ss., e Pescatore-Felicetti-Marziale-Sgroi, "Costituzione e leggi sul processo costituzionale e sui referendum", Milano, 1992, 1359 ss.). 13. - E poi si parla di "federalismo fiscale"|