IL PRETORE
   Letti gli atti del proc. pen. n. 5586/97 a carico di Beccaria Ines;
                     Osserva in fatto e in diritto
   1. - A seguito di indagini preliminari il p.m. rinviava a giudizio,
 dinanza a questo pretore, Beccaria Ines per rispondere dei  fatti  di
 cui alla epigrafe.
   Esperita  la  istruttoria  dibattimentale  e  dichiarato  chiuso il
 dibattimento questo pretore provvedeva con la presente ordinanza.
   2. - Con la medesima viene impugnato l'art. 538 c.p.p. in relazione
 agli artt. 3 e 24 primo e secondo  comma  Cost.  nei  limiti  in  cui
 imponga,  una  volta  accertata ex art. 533 c.p.p. la responsabilita'
 penale dell'imputato, di accogliere le domande civili anche allorche'
 esse  si  fondino  esclusivamente  sulle  dichiarazioni  della  parte
 civile.
   3.  -  Come  e' evidente dal tenore letterale dell'art. 538 c.p.p.,
 una volta accertata  la  penale  responsabilita'  del  prevenuto,  il
 giudice  penale,  nella  ipotesi in cui le domande civili siano state
 proposte nel processo penale ex artt. 74 e segg. c.p.p., non puo' non
 accogliere le domande civili qualunque siano i  mezzi  di  prova  sui
 quali  si sia fondata la responsabilita' penale. Quelle, proprio alla
 luce del disposto dell'art. 538 c.p.p., vanno  comunque  accolte  una
 volta  accertata  la  responsabilita'  penale dell'imputato qualunque
 siano i mezzi di prova sui quali questa sia stata affermata, i quali,
 pertanto, automaticamente, consentono l'accoglimento di quelle.
   4. - Dalle disposizioni costituzionali sopra indicate si desume che
 a parita' di situazioni deve comspondere identita' di disciplina;  in
 secondo  luogo  il  diritto  alla  difesa, in tutte le sue facolta' e
 poteri  (compreso  il  diritto  alla  prova   che   costituisce   una
 espressione  del  diritto alla difesa), non puo' assolutamente subire
 alcuna deminutio, o ampliamento, qualunque sia la  forma  processuale
 attraverso la quale un diritto soggettivo venga esercitato.
   In  altri  termini  allorche'  la giurisdizione venga esercitata su
 richiesta di parte e al  fine  di  tutelare  un  diritto  soggettivo,
 necessariamente le parti del rapporto obbligatorio sotteso al diritto
 soggettivo  devono  necessariamente  essere  poste  in  condizioni di
 parita' soprattutto con riferimento proprio al diritto alla prova che
 impone ed esige:  a) di attribuire, sul punto, gli stessi poteri alle
 parti;  b)  di  attribuire   lo   stesso   valore   probatorio   alle
 dichiarazioni delle parti.
   Ne  segue  che  in  subiecta materia non puo' attribuirsi valore di
 testimonianza alle dichiarazioni di una delle parti e non all'altra.
   Cio' e' vero qualunque sia  la  forma  processuale  scelta  per  la
 tutela  del  proprio  diritto soggettivo; invero - se la forma scelta
 puo' ragionevolmente incidere su  altri  aspetti,  ad  esempio  sulla
 costituzione   del   rapporto   processuale  e  finanche  sul  valore
 probatorio di alcuni criteri (si pensi a talune presunzioni  in  tema
 di  responsabilita'  civile  che,  ovviamente,  non hanno "diritto di
 cittadinanza" nel  sistema  penale  vigendo  ivi  la  presunzione  di
 innocenza   )   -   tale  tutela,  proprio  alla  luce  dei  principi
 costituzionali  suddescritti,  non  potra'  mai   svolgersi   ponendo
 l'attore  -  parte  civile  -  in  posizione  prevalente  rispetto al
 convenuto  attribuendo  alle  sue  dichiarazioni,   con   riferimento
 all'accertamento  della  responsabilita'  civile,  valore  probatorio
 maggiore (essendo la sua una testimonianza)  rispetto  a  quello  del
 convenuto-imputato   (le   cui  dichirazioni  sono  acquisibili  solo
 mediante l'esame della parte).
   5. - E' alla luce delle  suesposte  premesse  che  deve  ritenersi,
 pertanto,  che  l'attuale  disciplina  della  responsabilita'  civile
 accertata nel processo penale e' incostituzionale nei limiti  in  cui
 imponga  di attribuire alle dichiarazioni della p.c. anche per quanto
 afferisce l'illecito civile, valore di mezzo di prova  (testimonianza
 chiaramente  inammissibile  e  inutilizzabile,  proprio alla luce dei
 suesposti principi costituzionali, in quanto tale nella giurisdizione
 civile). Cio' viola il diritto  alla  difesa  dell'imputato-convenuto
 (nel particolare aspetto del diritto alla prova) che vede chiaramente
 diminuita  la sua situazione soggettiva rispetto a quella che sarebbe
 ove il diritto soggettivo venisse tutelato nella  sua  sede  naturale
 che  e'  il  processo  civile  (i cui principi generali costituiscono
 nella specie tertium comparationis).
   6. - Due precisazioni si impongono. Innanzitutto, come e'  evidente
 dall'analisi   suesposta,   con   la  presente  ordinanza  non  viene
 assolutamente  posta   in   discussione   la   ammissibilita'   della
 testimonianza   della   p.c.,  e  la  sua  utilizzabilita',  ai  fini
 dell'accertamento della responsabilita' penale. Invero la Corte si e'
 piu' volte pronunciata nel senso della ammissibilita';  peraltro  con
 considerazioni   che  (condivisibili  o  meno  che  siano)  risultano
 chiaramente utilizzabili anche nella specie.  Si dice che la funzione
 del processo penale (quale e' quella di accertare i reati e  irrogare
 una  giusta  pena)  e'  tale  che  non consente di ritenere rilevanti
 limitazioni  probatorie  tipiche  ed   esclusive   di   altra   forma
 processuale,  quale  quella  del processo civile. Ma se cio' e' vero,
 allora, e' evidente che tale criterio non puo' valere  nella  ipotesi
 in   cui  si  discuta,  come  nella  specie,  della  rilevanza  della
 dichiarazione  nell'ambito  precipuo  ed  esclusivo  della  correlata
 responsabilita'  civile ove, giova ribadire, non possono non valere i
 principi fondamentali (tra i quali indubbiamente vi e'  quello  della
 inammissibilita'   e   inutilizzabilita'   come  testimonianza  delle
 dichiarazioni della p.c., attore) del  sistema  processualcivilistico
 atteso  che trattasi comunque di tutelare un diritto soggettivo e non
 un fine politico.
   Quindi non puo' che ribadirsi che le  ordinanze  e  sentenze  della
 Corte  costituzionale  sono certamente ultronee nel caso di specie in
 quanto riguardavano altra questione; ma e' altrettanto  evidente  che
 argomentando   "a   contrario"   il   criterio   enucleato   in  esse
 implicitamente  impone proprio quanto evidenziato (inammissibilita' e
 inutilizzabilita' della  testimonianza  della  p.c.  con  riferimento
 all'accertamento  della  responsabilita'  civile  correlata  a quella
 penale).
   7. - Si potrebbe obiettare che la suddescritta limitazione, essendo
 dettata non da norme costuzionali, ma da norme  di  legge  ordinaria,
 non  puo'  ne' costituire parametro di valutazione della legittimita'
 ne' ex se essere estesa in altro sistema.
   Tale eventuale prospettazione non  e  di  pregio,  innanzitutto  e'
 evidente che l'attuale disciplina comporti di fatto una diversita' di
 trattamento  ove si ponga mente che la tutela della stessa situazione
 soggettiva   subisce   degli   ampliamenti   o   diminuzioni,   nelle
 possibilita'  concrete  di  difesa, a seconda della forma processuale
 scelta.
   Analiticamente se essa fosse tutelata in sede civile  l'attore  non
 potrebbe  fondare  le  sue  domande  solo sulle sue dichiarazioni; se
 cosi' fosse e' chiaro che esse sarebbero da respingere.
   Al  contrario  se  esse  fossero  tutelate  in  sede  penale   tale
 fondamentale limitazione non sussisterebbe; per cui, in tal caso, una
 volta   accertata  la  responsabilita'  penale  che  giova  ricordare
 potrebbe essere affermata solo sulla base delle  dichiarazioni  della
 p.c.  le  domande  civili  dovranno essere comunque accolte. Una tale
 evidente diversita' ridonda in disparita' ove si ponga mente: a)  che
 essa si fonda esclusivamente sulla forma processuale che, chiaramente
 sul  punto,  non  puo'  giustificare  una tale diversita' trattandosi
 della medesima situazione (tutela di  un  diritto  soggettivo)  e  di
 aspetto in se' non attenente alla finalita' della specifica forma (in
 quanto   il   giudice   non  accerta  la  responsabilita'  penale  ma
 esclusivamente la r. civile); b)  che  essa  e'  espressione  di  una
 libera  scelta della p.c., attore che pero', in quanto tale, non puo'
 ripercuotersi in peius sull'imputato-convenuto;  analiticamente  tale
 scelta  (proprio  perche' libera e insindacabile) non puo' deminuire,
 sul punto, e con riferimento alla situazione soggettiva azionata,  le
 possibilita'  difensive  del convenuto foss'anche, come nella specie,
 attribuendo diverso e inferiore valore probatorio alle  dichiarazioni
 di questo.
   Quindi  e' chiaro che l'attuale disciplina ridonda in disparita' di
 trattamento.
   8. - Ma v'e' di piu'.
   Le  disposizioni  civilistiche  sulla  base  delle  quali   risulta
 inammissibile  (e quindi inutilizzabile ove sia stata attuata), nella
 specie, la testimonianza della p.c. (99, 101 e 246 c.p.c. nella parte
 nella quale si riferisce all'attore) lungi dall'essere regole proprie
 ed esclusive del processo civile instaurato ex art. 163  c.p.c.,  per
 la   loro   intrinseca  connessione  con  la  situazione  tutelata  e
 soprattutto in quanto trovano i loro referenti proprio  nell'art.  24
 Cost:,  devono  costituire  il  diritto  processuale  "comune"  delle
 situazioni soggettive tutelabili in sede civile.
   Essi, in altri termini, e per le considerazioni suesposte,  debbono
 trovare  applicazione  ogni  qualvolta  sia  azionata  una situazione
 soggettiva civilisticamente rilevante.
   Quindi,  una  diversa  disciplina;  comporterebbe una disparita' di
 trattamento nonche', nella posizione del convenuto, una deminutio dei
 suoi poteri difensivi.
   Si deve, pertanto, concludere che col ritenere rilevanti i suddetti
 principi processuali, non vengono introdotte limitazioni  ma,  stante
 la  loro  connotazione  e  i  loro  referenti  costituzionali cio' e'
 necessario,  alla  luce  degli  stessi,  per  garantire  parita'   di
 trattamento  a situazioni identiche (trattasi pur sempre di connotare
 le forme di tutela di un diritto soggettivo sia esso azionato in sede
 civilistica sia esso azionato in sede  penale)  nonche',  sul  punto,
 identita'   delle   possibilita'  difensive  dell'imputato-convenuto.
 Situazioni lese proprio dall'attuale disciplina.
   9. - Questo pretore evidenzia alla  Corte  che,  ove  la  questione
 fosse    fondata,    si   dovrebbe   imporre   la   declaratoria   di
 incostituzionalita' anche dell'art. 651  c.p.c.  allorche'  (peraltro
 reiterando   il  meccanismo  delineato  gia'  dall'art.  538  c.p.p.)
 attribuisca efficacia di  cosa  giudicata  alla  sentenza  penale  di
 condanna   nei   giudizi   civili   al   meno  per  quanto  afferisce
 all'accertamento della sussistenza del fatto, alla sua  illiceita'  e
 alla  sua  riferibilita' all'imputato.  Invero, anche in tal caso, al
 giudice civile e' preclusa la possibilita' di escludere tale  diretta
 efficacia  della  sentenza  di  condanna ove essa si sia fondata solo
 sulle  dichiarazioni   della   p.c.   chiaramente   inammissibili   e
 inutilizzabili  nel  giudizio  civile.  Invero,  anche  in  tal caso,
 l'automatismo delineato dall'art.  651  viola  i  succitati  principi
 costituzionali.
   10.  -  Riguardo  alla  rilevanza  della  questione  e' sufficiente
 rilevare che nella specie non solo la responsabilita' penale si fonda
 sulle dichiarazioni della p.c. ma anche la correlata  responsabilita'
 civile  e' fondata esclusivamente sulle suddette dichiarazioni. A tal
 fine e' sufficiente osservare che l'unico mezzo di prova richiesto e'
 stato proprio quello  della  testimonianza  della  p.o.  (poi  p.c.).
 Quindi  ove  la  Corte  dovesse  ritenere fondata la questione questo
 pretore si deve pronunciare sulla responsabilita' penale mentre,  con
 riferimento  alle  domande  civili, si deve astenere dal pronunciarsi
 (configurandosi in tal caso una  ipotesi  di  non  liquet  pienamente
 legittima  atteso  che riguarda un ambito diverso dalla giurisdizione
 penale)  restando  fermo  all'attore  il  potere,  eventualmente,  di
 iniziare l'azione civile senza precludere alcunche' al medesimo.
   In  caso  contrario,  invece,  questo pretore dovrebbe pronunciarsi
 sulla responsabilita' penale ma anche sulla correlata responsabilita'
 civile.