ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  413,  quarto
 comma, del codice di procedura civile, nel testo introdotto dall'art.
 1  della  legge  11  febbraio  1992,  n.  128  (Determinazione  della
 competenza territoriale per le controversie relative ai  rapporti  di
 cui  al  numero  3 dell'articolo 409 del codice di procedura civile),
 promosso con ordinanza emessa il 22 gennaio 1995 dal pretore di  Roma
 sul  ricorso  proposto  da  Conti  Luigi  contro  la  Malesci S.p.a.,
 iscritta al n.   6 del registro ordinanze  1998  e  pubblicata  sulla
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  4,  prima serie speciale,
 dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  costituzione  di  Conti  Luigi nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  23  febbraio  1999  il  giudice
 relatore Massimo Vari;
   Uditi  l'avvocato Sergio Vacirca per Conti Luigi e l'Avvocato dello
 Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
   Ritenuto che, nel corso del giudizio civile promosso da Conti Luigi
 nei confronti della Malesci S.p.a., con sede in Firenze,  il  pretore
 di  Roma,  in  funzione  di  giudice del lavoro, con ordinanza del 22
 gennaio 1995 (pervenuta alla Corte il 7 gennaio 1998 ed  iscritta  al
 r.o.  n.  6  del 1998), ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale della legge 11
 febbraio 1992, n. 128 (Determinazione della  competenza  territoriale
 per  le  controversie  relative  ai  rapporti  di  cui  al  numero  3
 dell'articolo 409 del codice di procedura civile) - il cui art. 1 (ed
 unico) ha introdotto il quarto comma  dell'art.  413  del  codice  di
 procedura  civile  -  "nella  parte in cui non prevede che al giudice
 nella cui circoscrizione si trova il suo domicilio possa far  ricorso
 anche  il  lavoratore subordinato che esplichi la sua attivita' al di
 fuori della sede dell'azienda ovvero di una dipendenza di essa";
     che il rimettente - nell'escludere la possibilita'  di  applicare
 al  caso  di  specie  la  "lettera  della  disposizione de qua che si
 riferisce espressamente ai soli rapporti di c.d.  parasubordinazione"
 -  reputa  la  questione  rilevante  ai  fini  della  decisione della
 controversia, "atteso che la esclusione  del  rapporto  intercorrente
 tra  le parti dal novero di quelli per cui e' possibile il ricorso al
 giudice  del  luogo  di  residenza  del  prestatore  imporrebbe   una
 immediata pronuncia di incompetenza territoriale";
     che,  inoltre,  secondo  il  rimettente,  la  questione stessa si
 appalesa non manifestamente infondata, in considerazione  del  vulnus
 che   la   disposizione  denunciata  infliggerebbe  al  principio  di
 eguaglianza  di  cui  all'art.   3   della   Costituzione,   per   la
 ingiustificata  disparita' di trattamento del lavoratore subordinato,
 che svolge attivita' al di fuori della sede aziendale o  di  una  sua
 dipendenza, rispetto al "lavoratore subordinato che presta la propria
 attivita'  presso  la  sede  o  una  dipendenza  dell'azienda"  ed al
 lavoratore c.d. parasubordinato,  essendo  in  entrambi  questi  casi
 agevolata  "la  proposizione  del  giudizio a tutela della parte piu'
 debole del rapporto, con il ricorso al giudice del  luogo  nel  quale
 l'attivita' si e' esplicata";
     che  si  e' costituito Conti Luigi, ricorrente nel giudizio a quo
 il quale ha concluso, in via principale, per "la  emanazione  di  una
 sentenza  interpretativa di rigetto" (tale da portare ad affermare la
 competenza  del  pretore  di  Roma)  e,  in  via   subordinata,   per
 l'accoglimento  della  questione  "cosi'  come  proposta  dal giudice
 remittente";
     che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello Stato, per
 sentir "dichiarare  la  manifesta  inammissibilita'"  della  proposta
 questione di costituzionalita', eccependo, da un lato, che "dal testo
 dell'ordinanza   pretorile   non   risulta  l'oggetto  della  domanda
 introdotta" e, dunque, "la rilevanza della questione stessa  ai  fini
 del  decidere"  e,  osservando, dall'altro, che "analoga questione e'
 stata dichiarata manifestamente inammissibile" con l'ordinanza n. 241
 del 1993;
     che  entrambe  le  predette  parti  hanno  ribadito le rispettive
 conclusioni  con  memorie  integrative  depositate   in   prossimita'
 dell'udienza.
   Considerato,  preliminarmente,  che  l'eccezione  - sollevata dalla
 parte pubblica  intervenuta  -  di  inammissibilita'  della  proposta
 questione  di  costituzionalita',  sotto  il  profilo  della  mancata
 motivazione in punto di rilevanza nel giudizio a quo e' da  reputarsi
 infondata;
     che,  difatti,  avendo  l'ordinanza  di rimessione affermato, con
 motivazione non implausibile,  la  natura  subordinata  del  rapporto
 lavorativo  oggetto di cognizione nel giudizio principale e precisato
 le relative  modalita'  di  esplicazione  (al  di  fuori  della  sede
 aziendale  o  di  una  sua dipendenza), risulta del tutto evidente il
 nesso di pregiudizialita' tra la questione stessa e la decisione  che
 il  rimettente  e'  tenuto ad adottare sull'eccezione di incompetenza
 territoriale avanzata dalla societa' convenuta nel giudizio a quo;
     che, peraltro, questa Corte, con ordinanza n. 241 del 1993, si e'
 gia' pronunciata sul dubbio di costituzionalita'  concernente  l'art.
 413,  quarto  comma,  del  codice  di  procedura  civile,  introdotto
 dall'art.  1 della legge n. 128 del 1992, "nella  parte  in  cui  non
 prevede  l'applicazione  della  norma anche ai rapporti di lavoro con
 modalita' di esecuzione assimilabili a quelle di  cui  all'art.  409,
 numero  3,  del  codice  di procedura civile (scissione tra attivita'
 lavorativa e struttura  aziendale)",  prospettato  sotto  il  profilo
 della  violazione dell'art.  3 della Costituzione, "per la disparita'
 di trattamento che si verificherebbe fra i lavoratori di cui all'art.
 409 c.p.c. e gli altri lavoratori  subordinati  che  operano  in  una
 determinata  zona  del  tutto  svincolati dalle filiali o dipendenze,
 intese come strutture di riferimento dell'attivita' lavorativa";
     che, in quell'occasione, si e'  ritenuto  frutto  di  corretta  e
 ragionevole scelta legislativa, pur sempre discrezionale nel generale
 ambito   di   individuazione  dei  criteri  di  determinazione  della
 competenza  per  territorio  (secondo   un   costante   orientamento,
 recentemente ribadito dall'ordinanza n. 370 del 1998 e dalla sentenza
 n.  228 del 1998), la previsione, per i soli rapporti di cui all'art.
 409, numero 3, del codice di procedura civile, del foro  territoriale
 esclusivo  del  "domicilio"  del lavoratore parasubordinato e cio' in
 virtu' di un "equo contemperamento degli interessi del  lavoratore  e
 dell'imprenditore";
     che,  non  emergendo  a  sostegno  dell'ordinanza  di  rimessione
 argomentazioni e profili nuovi o, comunque, tali da indurre a diverso
 avviso, la questione va dichiarata manifestamente infondata.