IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 8989/1998 reg.
 gen. proposto dalla curatela fallimentare della    societa'  R.M.R.C.
 (Risonanza  magnetica e radiologia computerizzata) s.p.a., in persona
 del curatore dott. Ugo Mangia, rappresentata e difesa dall'avv.  Ezio
 Maria  Zuppardi, presso lo stesso elettivamente domiciliata in Napoli
 al viale Gramsci n. 16;
   Contro la regione Campania in persona  del  presidente  pro-tempore
 della  giunta  regionale,  rappresentata  e  difesa dall'avv. Gaetano
 Botta, elettivamente domiciliata in Napoli alla via S. Lucia  n.  81,
 Direttore  generale  pro-tempore  dell'Azienda  sanitaria  locale  di
 Napoli 1, nella  quale  di  commissario  liquidatore  della  gestione
 liquidatoria  della  soppressa  Unita'  sanitaria  locale n. 41 della
 Campania, n.  c., per l'accertamento del diritto al  pagamento  delle
 prestazioni effettuata dalla detta societa' in favore della ex U.s.l.
 n. 41, oltre interessi e rivalutazione monetaria; in via subordinata,
 del  diritto  al pagamento delle somme spettanti a titolo di indebito
 arricchimento ex art. 2041 del codice civile, a fronte delle suddette
 prestazioni, oltre interessi e  rivalutazione  monetaria;  e  per  la
 condanna al pagamento di quanto dovuto;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
 regionale;
   Visti gli atti tutti di causa;
   Alla  camera  di consiglio del 30 settembre 1998, relatore il cons.
 Donadono, uditi gli avvocati presenti di cui al verbale di udienza.
                               F a t t o
   Con ricorso notificato il 6 agosto 1998, la  curatela  fallimentare
 della   societa'   R.M.R.C.   (Risonanza   magnetica   e   radiologia
 computerizzata) s.p.a. deduceva  di  vantare  crediti  insoluti,  nei
 confronti  della  regione  Campania  e  del  commissario  liquidatore
 preposto alla gestione liquidatoria della soppressa Unita'  sanitaria
 locale  n.  41 della Campania, per un ammontare complessivo, in linea
 capitale, ascendente a L. 171.981.000, a  fronte  della  prestazione,
 tra  il 1993 ed il 1995, di numerosi esami (risonanze magnetiche) per
 incarico della suddetta U.s.l.
   In relazione a quanto precede, la R.M.R.C. proponeva le domande  in
 epigrafe,  invocando  nella  circostanza  la  previa fissazione della
 camera di consiglio per l'adozione di ogni  opportuno  provvedimento,
 ivi  compresa  l'adozione  di  ordinanza ai sensi dell'art. 186-bis o
 dell'art. 186-ter c.p.c.
   L'amministrazione  regionale,  costituitasi  in   giudizio,   nella
 discussione in camera di consiglio, contestava le domande avverse.
                             D i r i t t o
   1.  -  Nell'ambito  del  ricorso  -  il  cui oggetto rientra tra le
 controversie  in  materia  di   pubblici   servizi,   devolute   alla
 giurisdizione  esclusiva  del giudice amministrativo dall'art. 33 del
 d.lgs. n. 80 del 1998 - la  ricorrente  chiede  l'emanazione  di  una
 ordinanza   per   il   pagamento   delle  somme  non  contestate  dai
 contraddittori, ai sensi dell'art.   186-bis c.p.c.,  ovvero  di  una
 ordinanza-ingiunzione, ai sensi del successivo art. 186-ter.
   Tale  richiesta  esula,  nella  prospettazione di parte, dalla fase
 cautelare propria del processo  amministrativo;  e,  del  resto,  non
 emerge  uno  specifico  pericolo  derivante  dalla mora, posto che la
 societa' gia' versa in stato di insolvenza.
   2. - Al riguardo va premesso che non si ritiene di poter  pervenire
 in  via  interpretativa  ad  ammettere  l'applicabilita'  delle norme
 invocate dalla ricorrente. Infatti, l'art. 35 del  citato  d.lgs.  n.
 80, nel profilare il regime processuale delle controversie trasferite
 alla  competenza  del  giudice  amministrativo, prevede le forme ed i
 limiti  nel  cui  ambito  va  estesa   la   disciplina   del   codice
 processual-civilistico   sull'istruzione  probatoria,  demandando  ad
 opportune modifiche del regio-decreto n. 642 del 1907  gli  eventuali
 adattamenti suggeriti dalla "specificita' del processo amministrativo
 in   relazione  alle  esigenze  di  celerita'  e  concentrazione  del
 giudizio".
   Esso, tuttavia, non contempla la modifica  o  l'integrazione  delle
 forme  e  delle modalita' in cui si esprime l'attivita' decisoria del
 giudice amministrativo.
   La pretesa avanzata dalla  ricorrente  andrebbe,  dunque,  respinta
 alla stregua del quadro normativo vigente.
   3.  - Nel contempo, pero', non risultano manifestamente infondati i
 dubbi sulla legittimita' costituzionale della disciplina processuale,
 relativamente alla giurisdizione esclusiva  in  materia  di  pubblici
 servizi,  nella  parte  cui  esclude il ricorso a strumenti di rapido
 soddisfacimento della pretesa creditoria, nonostante la  sussistenza,
 secondo  i  presupposti  previsti  per  il  rito ordinario innanzi al
 giudice ordinario, di una elevata probabilita'  di  fondatezza  delle
 ragioni dedotte dal creditore.
   Difatti   l'ampia  potesta'  discrezionale  del  legislatore  nella
 conformazione degli istituti processuali e nella  predisposizione  di
 strumenti di tutela differenziati (cfr., tra le sentenze con maggiore
 attinenza ai temi qui in esame, Corte costituzionale, 18 maggio 1989,
 n.  251;  5  luglio  1995,  n.  295; 8 marzo 1996, n. 65) incontra un
 limite, oltre che ovviamente nella necessita' di osservare i principi
 ed i precetti costituzionali in materia  di  tutela  giurisdizionale,
 anche   nell'esigenza   di   non  adottare  soluzioni  manifestamente
 irrazionali  (cfr.,   con   particolare   riferimento   al   processo
 amministrativo,  Corte  costituzionale,  28  giugno  1985, n. 190; 23
 aprile 1987, n. 146).
   Ebbene, non si ritiene di  poter  escludere  che  la  mancanza  nel
 processo amministrativo dei rimedi in questione si ponga in conflitto
 con  il  principio  di  uguaglianza  e  con  il  connesso  canone  di
 ragionevolezza (art. 3 Cost.), con la tutela del  diritto  di  difesa
 (art.  24 Cost.), con la giustiziabilita' garantita per le situazioni
 giuridiche  soggettive   vantate   nei   confronti   della   pubblica
 amministrazione (art. 113 Cost.).
   4. - Va, anzitutto, rilevato che questi provvedimenti rivestono una
 importanza non secondaria.
   Corrisponde,  infatti,  ad  un  dato  di  comune  esperienza che la
 prevedibile durata del giudizio necessario per la realizzazione della
 pretesa creditoria non e' priva di influenza sul valore  attualizzato
 dello  stesso  credito, fino al punto che non sono infrequenti i casi
 in cui il titolare e' addirittura dissuaso o scoraggiato, specie  per
 i  crediti di piu' modesto ammontare o per le fasce di creditori piu'
 vulnerabili, dall'intrapresa di  lunghe,  defatiganti  e  dispendiose
 iniziative giudiziarie.
   La possibilita' di conseguire con prontezza un esito satisfattivo -
 sia  pure  parziale  e  non definitivo (a meno che il processo non si
 estingua) - assume, dunque, una significativa rilevanza ai fini della
 effettivita' della tutela giurisdizionale, che puo'  dirsi  vulnerata
 non  solo  quando  il  tempo  necessario  per  la decisione determina
 addirittura  l'impossibilita'  di  realizzare   gli   effetti   della
 decisione  definitiva,  ma anche quando la durata del giudizio non e'
 giustificata e corrispondente alle particolarita' del caso.
   Peraltro, i  provvedimenti  in  esame,  influendo  sui  "tempi"  di
 soddisfacimento   della   pretesa   creditoria,   hanno   un  impatto
 sostanziale sulla qualita' stessa della tutela, poiche' fanno gravare
 l'onere dell'impulso e dell'attesa  della  decisione  conclusiva  del
 giudizio  non  piu'  sulla parte che vanta il diritto, ma sulla parte
 che resiste alla pretesa; in tal guisa  il  disagio  derivante  dalle
 more  processuali  non ricade, in maniera sistematica ed invariabile,
 sul solo creditore, ma piuttosto viene addossato, per effetto di  una
 decisione del giudice, su quello dei due antagonisti che, di volta in
 volta, in base al grado di certezza delle rispettive ragioni, risulta
 meno meritevole di tutela.
   E'  pur  vero  che  le  ordinanze ex artt. 186-bis e 186-ter c.p.c.
 hanno avuto, nel pratica giudiziaria, un'applicazione  marginale  che
 ha  forse  disatteso  le  aspettative riposte nella novella del 1990.
 Tuttavia va considerato  che,  nel  sistema  processuale  civile,  le
 ordinanze  interinali  si affiancano ad altri strumenti - di utilizzo
 piu' agevole e frequente - che  hanno  scopo  e  caratteristiche  non
 dissimili.
   In  particolare va segnalato il procedimento monitorio, che assolve
 assai efficacemente all'esigenza di offrire al  creditore  un  celere
 mezzo   di   accertamento  giudiziario  del  diritto  vantato,  senza
 appesantire, piu' del necessario, i carichi di  lavoro  degli  uffici
 giudiziari.
   Al  riguardo  non  e' forse superfluo sottolineare che, proprio nel
 settore che interessa la causa qui in esame, si  era  diffuso,  prima
 del  trasferimento  della  materia  alla  giurisdizione esclusiva del
 giudice amministrativo, un ampio ricorso ai decreti ingiuntivi.
   Senonche', e' stato ritenuto che il procedimento monitorio presenti
 caratteri  del  tutto  peculiari  e  sostanzialmente  estranei   alle
 modalita'  organizzative  funzionali  della giustizia amministrativa.
 Cio' ha gia' comportato la reiezione,  da  parte  del  Presidente  di
 questo  stesso  tribunale  amministrativo, di domande proposte per la
 concessione in materia del decreto ingiuntivo da  parte  del  giudice
 amministrativo.
   Non   e'   invece  estranea  agli  schemi  operativi  del  processo
 amministrativo la tendenziale  aspirazione  ad  adattare  le  proprie
 forme,  caratterizzate  da  una certa elasticita' e flessibilita', al
 perseguimento, pur nella limitatezza delle strutture e delle  risorse
 disponibili,  delle  esigenze  di  celerita'  e di concentrazione del
 giudizio.
   Gia' nella legge istitutiva dei tribunali amministrativi  regionali
 e'  delineato,  nell'art.  27  della  legge  n.  1034  del  1971,  un
 procedimento camerale riservato a determinate questioni di pronta  ed
 agevole soluzione.
   Un'ulteriore   ipotesi   di   rito  camerale  accelerato  e'  stato
 introdotto con l'art. 25 della legge n. 241 del 1990, in  materia  di
 tutela del diritto di accesso ai documenti amministrativi.
   Con  l'art.  6 della legge n. 146 del 1990 e' stato esteso, innanzi
 al  giudice  amministrativo,  il   modello   procedurale   del   rito
 giuslavoristico  per  la  trattazione  delle  controversie in tema di
 repressione  della  condotta  antisindacale,  mutuando   appieno   la
 struttura plurifase delle analoghe cause trattate in sede pretorile.
   Da ultimo (ma non per ultimo) l'art. 19 del decreto-legge n. 67 del
 1997, per le cause relative alla realizzazione di opere pubbliche, ha
 introdotto  la  possibilita',  in  occasione  dell'esame  domanda  di
 sospensione, di definire immediatamente il giudizio  nel  merito  con
 motivazione   in   forma   abbreviata.   Ed  e'  sintomatico  che  il
 legislatore,   con   il   progetto   di   riforma   della   giustizia
 amministrativa   attualmente  in  discussione,  sembra  orientato  ad
 estendere e generalizzare gli strumenti per una rapida soluzione  dei
 processi amministrativi.
   Rispetto  alle  linee  di  tendenza del processo amministrativo, si
 rivela incoerente che l'art. 35, comma  3,  del  d.lgs.  n.  80,  pur
 enunciando  esplicitamente  le  suddette  esigenze  di  "celerita'  e
 concentrazione"  del  giudizio,  segni  un   oggettivo   arretramento
 rispetto  a  questi obiettivi che la stessa norma impugnata valorizza
 ed enfatizza e - quel che piu' conta ai nostri fini -  rispetto  alle
 possibilita'  di difesa che fino al trasferimento della giurisdizione
 erano a disposizione della parte.
   E  se  e'  pure  vero  che  l'attribuzione della materia al giudice
 amministrativo   e'   significativa   di   un    diverso    approccio
 giurisdizionale  centrato prevalentemente sulla verifica del corretto
 esercizio della funzione, non va neanche dimenticato che  le  vicende
 del  rapporto obbligatorio hanno anche in questa ottica una rilevanza
 non marginale perche' sono insieme effetto e sintomo di una  anomalia
 nella  gestione: cosicche' una piu' pronta possibilita' di intervento
 da parte del giudice si manifesta anche come un efficace strumento di
 controllo sull'esercizio della funzione.
   Tutto cio' lascia ipotizzare insieme la violazione dei principi che
 presiedono al diritto di difesa (art. 24 Cost.) e  del  principio  di
 eguaglianza   (art.   3),   non  apparendo  giustificato  il  diverso
 trattamento di situazioni che storicamente si presentano identiche.
   5. - Sotto altro profilo va rilevato  che  le  ordinanze  ex  artt.
 186-bis  e  186-ter  hanno,  come  principale  finalita',  quella  di
 anticipare i  tempi  di  soddisfacimento  della  pretesa  creditoria.
 Contemporaneamente  esse  perseguono,  implicitamente,  un  ulteriore
 obiettivo  sul  piano  dell'amministrazione  della  giustizia,  nella
 misura  in  cui tali strumenti tendono a deflazionare il contenzioso,
 per tutte quelle controversie  che,  in  concreto,  non  palesano  la
 necessita'  di  una  cognizione  piena  e che, almeno potenzialmente,
 possono  esaurirsi,  con  il  soddisfacimento  dell'avente   diritto,
 mediante  un provvedimento di tipo sommario, potenzialmente idoneo ad
 acquistare  efficacia  di  sentenza,  nel  caso  di  estinzione   del
 processo.
   Infatti, a seguito dell'emanazione di un'ordinanza della specie, il
 ricorrente  che  fosse  rimasto  parzialmente  insoddisfatto,  ovvero
 l'amministrazione soccombente che intendesse contestare, in  tutto  o
 in  parte,  il  provvedimento,  avrebbero  l'onere  di  dare  impulso
 all'ulteriore corso del giudizio, nelle forme e nei termini  previsti
 dall'art.   23 della legge n. 1034 del 1971, a pena di perenzione, ai
 sensi del successivo art. 25.
   L'importanza dell'aspetto in esame e' di tutta evidenza nell'ambito
 di un processo che - non si puo' negare -  ha  tempi  patologicamente
 lunghi  e  comunque inadeguati ad un sollecito soddisfacimento di una
 pretesa creditoria, tenuto anche  conto  dell'attuale  assetto  delle
 strutture e delle risorse disponibili della giustizia amministrativa,
 cosicche'  la  mancanza  di  tali strumenti diventa un grave ostacolo
 all'efficacia del sistema processuale.
   Invero la Corte ha piu' volte ribadito che  il  principio  di  buon
 andamento dell'amministrazione riguarda, nel settore della giustizia,
 unicamente   le   leggi   che  regolano  l'ordinamento  degli  uffici
 giudiziari e non e' riferibile alle norme che disciplinano  il  corso
 del  processo e l'esercizio, della funzione giurisdizionale (cfr., in
 particolare, Corte costituzionale 11 dicembre 1997, n. 385).
   Tuttavia non sembra si  possa  negare  che  il  difetto  del  "buon
 andamento"  assuma  anche nel nostro campo un indiretto rilievo per i
 suoi riflessi sull'effettivita della tutela ex art. 113 Cost.
   Va rammentato a questo proposito che  l'art.  6  della  Convenzione
 europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (resa esecutiva con
 la legge 4 agosto 1955, n. 848) contempla il diritto delle persone ad
 ottenere    una   decisione   giurisdizionale   "entro   un   termine
 ragionevole".
   La  valutazione  della  durata  ragionevole di un processo equo non
 puo' certo prescindere dalla complessita' della causa; il che implica
 che una  controversia  di  agevole  soluzione  deve  avere  strumenti
 decisionali  solleciti  e  tempestivi,  quando  la  evidenza del buon
 diritto del ricorrente rende ingiustificati,  e  quindi  ingiusti,  i
 tempi  dell'ordinario corso della giustizia (cfr. Corte europea per i
 diritti dell'uomo, 24 maggio 1991; 15 novembre 1996).
   Al riguardo e' stato, invero, chiarito che le norme  internazionali
 pattizie,  ancorche'  generali,  ivi  comprese quelle contenute nella
 Convenzione sui diritti  dell'uomo,  non  rientrano  nell'ambito  del
 meccanismo   di  adeguamento  automatico  dell'ordinamento  giuridico
 italiano  alle   norme   di   diritto   internazionale   generalmente
 riconosciute,  sancito  dall'art.  10  Cost.,  il  quale fa piuttosto
 riferimento alle norme internazionali di  carattere  consuetudinario.
 Il  citato  art.  6  della  Convenzione,  pertanto,  pur avendo forza
 vincolante  nel  diritto  interno,   per   effetto   della   ratifica
 autorizzata  con  una  legge  ordinaria, non assume valore prevalente
 sulle disposizioni di pari rango primario e non puo'  essere  assunto
 come  parametro  costituzionale  di riferimento (cfr. Corte cost., 30
 luglio 1997, n. 288).
   Nondimeno, tale disposizione - nella misura in  cui  comporta,  per
 gli stati contraenti, l'impegno ad organizzare il sistema processuale
 secondo  regole che consentano di rispettare il suddetto principio di
 celerita'  -  contribuisce  ad  evidenziare  l'irrazionalita'  di  un
 intervento  normativo  che  realizza,  da  questo  punto di vista, un
 oggettivo arretramento della tutela giurisdizionale.
   6. - Per quanto riguarda la  rilevanza  delle  suddette  questioni,
 nella   specie,   non   emergono   i   presupposti  per  l'emanazione
 dell'ordinanza  art.  186-bis  c.p.c.  in  quanto,  delle  due  parti
 intimate  in  giudizio,  la  regione  Campania,  nella discussione in
 camera di consiglio, ha mostrato di voler contestare  la  sussistenza
 del  credito,  mentre  l'organo liquidatore della soppressa U.s.l. e'
 rimasto contumace.
   Per questa parte, dunque, la prospettata questione di  legittimita'
 costituzionale,  ancorche'  non  manifestamente  infondata, si palesa
 irrilevante.
   Relativamente, invece, alla istanza di ingiunzione ex art.  186-ter
 c.p.c.,  e' da riconoscere che la ricorrente ha fornito prove scritte
 sul credito vantato ed elementi atti a  far  presumere  l'adempimento
 delle  proprie  prestazioni, secondo i presupposti indicati nell'art.
 633, comma 1, n. 1) e comma 2 e nell'art. 634 c.p.c.
   Pertanto, relativamente alla richiesta di emanazione dell'ordinanza
 ingiuntiva,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  risulta
 rilevante, in quanto la declaratoria di incostituzionalita' dell'art.
 35,  comma  3, del decreto legislativo n. 80 del 1998, nella parte in
 cui  non  prevede  che  il  giudice  amministrativo  possa   disporre
 provvedimenti   sommari   anticipatori   di  condanna,  consentirebbe
 l'accoglimento dell'istanza.
   7. -  Tutto  cio'  considerato,  va  disposta  la  sospensione  del
 giudizio   in   corso   e  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale, per la decisione  sulla  questione  pregiudiziale  di
 legittimita'   costituzionale,   mandando   la   segreteria  per  gli
 adempimenti di competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87.