IL TRIBUNALE Nel procedimento iscritto al n. 383/1997 r.g. promosso dall'I.N.P.S. nei confronti di Ciaramella Antonietta e Sforza Luigi, avente ad oggetto l'impugnazione della sentenza emessa dal pretore di Verbania in qualita' di giudice del lavoro in data 28 marzo 1997, n. 57/1997; Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla questione di legittimita' costituzionale degli artt. 6, comma 7, d.-l. n. 148/1993 convertito in legge n. 236/1993 e 2, comma 5, d.-l. n. 299/1994, convertito in legge n. 451/1994. P r e m e s s a Con due distinti ricorsi successivamente riuniti, Ciaramella Antonietta e Sforza Luigi chiedevano al pretore di Verbania di accertare il proprio rispettivo diritto al trattamento di disoccupazione previsto a favore dei lavoratori frontalieri in Svizzera, ai sensi della legge n. 228/1984, a seguito di domanda presentata aIl'I.N.P.S. di Novara rispettivamente in data 7 gennaio 1994 e 4 settembre 1995. Esponevano entrambi di essere titolari di pensione di vecchiaia non integrata al trattamento minimo ai sensi deIl'art. 8, legge n. 153/1969, come modificato dall'art. 7, legge n. 407/1990 e dall'art. 3, d.-l. n. 384/1992 (rispet-tivamente dal 1 ottobre 1991 e 1 gennaio 1992, dell'esiguo importo di L. 28.000 e 35.000 mensili), e di essersi visti negata dall'I.N.P.S. l'indennita' di disoccupazione di cui alla legge n. 228/1984 in applicazione dell'art. 6, comma 7, d.-l. n. 148/1993 convertito in legge n. 236/1993, sull'incompatibilita' tra i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'Assicurazione generale obbligatoria dell'I.N.P.S. e tutti i trattamenti di disoccupazione e l'indennita' di mobilita'; richiamavano al proposito la disciplina introdotta dall'art. 2, comma 5, d.-l. n. 299/1994, convertito in legge n. 451/1994, che prevede la facolta' di opzione nel caso di cumulo, in capo ad un medesimo soggetto, di trattamento di disoccupazione e pensione di invalidita', e eccepivano l'incostituzionalita' di tale norma per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, laddove non prevede la medesima facolta' di opzione tra indennita' di disoccupazione ed altre pensioni (nel caso di specie quella di vecchiaia), creando una ingiustificata disparita' di trattamento tra categorie di lavoratori astrattamente beneficiari di piu' prestazioni previdenziali e limitando irragionevolmente il diritto a ricevere le prestazioni previdenziali garantite dalla Costituzione. L'I.N.P.S. si costituiva chiedendo il rigetto delle domande e invocando l'applicabilita' al caso di specie dell'art. 6, comma 7, d.-l. n. 148/1993 convertito in legge n. 236/1993, previa espressa dichiarazione della manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale sollevata dai ricorrenti. Il pretore dichiarava la manifesta inammissibilita' della questione, ritenendola sostanzialmente gia' risolta dalle pronunce della Corte costituzionale n. 218/1995 e n. 466/1995 e, proprio in applicazione dei principi espressi nelle sopracitate pronunce, accoglieva le domande, dichiarando il diritto dei ricorrenti al trattamento di disoccupazione per i lavoratori frontalieri in Svizzera ex legge n. 224/1984, a seguito delle domande presentate all'I.N.P.S. per il periodo di fruizione di legge, in luogo della pensione di vecchiaia per il medesimo periodo. Avverso tale sentenza proponeva appello l'I.N.P.S. per violazione della disciplina di cui all'art. 6, comma 7, d.-l. n. 148/1993, convertito in legge n. 236/1993, sostenendo l'illegittimita' della sua disapplicazione da parte del pretore, effettuata sulla base di argomentazioni tratte dalla sentenza della Corte costituzionale 1 giugno 1995, n. 218, che aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale della norma in questione (nella parte in cui non prevedeva il diritto di opzione) con esclusivo riferimento alla ipotesi dei lavoratori che, all'atto di iscrizione delle liste di mobilita', fruiscono dell'assegno o della pensione di invalidita', e non quindi alle diverse fattispecie di cumulo di indennita' di occupazione ed altri trattamenti pensionistici diversi dall'assegno o pensione di invalidita' (come nel caso di specie la pensione di vecchiaia), e l'inammissibilita' di una interpretazione analogica di detta sentenza e consequenziale applicazione del meccanismo dell'opzione introdotto dall'art. 2, comma 5, legge 19 luglio 1994, n. 451, espressamente limitato alle ipotesi di cumulo di trattamenti di disoccupazione e invalidita'. Costituendosi in grado di appello, Ciaramella Antonietta e Sforza Luigi, richiamavano la motivazione del giudice a quo e chiedevano l'integrale conferma dell'impugnata sentenza. All'udienza del 29 gennaio 1998 la causa veniva trattenuta per la decisione. Sulla rilevanza La rilevanza della questione di costituzionalita', sollevata dai ricorrenti e rigettata dal pretore, discende necessariamente dalla previa valutazione dei motivi di appello in punto applicabilita' al caso in esame della disciplina della incompatibilita' tra trattamenti pensionistici di disoccupazione e prestazioni pensionistiche dirette. Ritiene il tribunale che le censure mosse alla sentenza pretorile, che ha accolto la domanda dei ricorrenti riconoscendo loro il diritto al trattamento di disoccupazione in luogo della pensione di vecchiaia, siano fondate: La Corte costituzionale, con la sentenza del 1 giugno 1995, n. 218 ha dichiarato costituzionalmente illegittimi l'art. 6, comma 7, d.-l. n. 148/1993, convertito in legge n. 236/1993, nella parte in cui non prevede che all'atto di iscrizione nelle liste di mobilita' i lavoratori che fruiscono dell'assegno o della pensione di invalidita' possano optare tra tali trattamenti e quello di mobilita' nei modi e con gli effetti previsti dagli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del d.-l. n. 299/1994, convertito in legge n. 451/1994. La Corte, sostanzialmente, con tale pronuncia ha affermato la sussistenza del diritto d'opzione, previsto (con efficacia ex nunc) dall'art. 2, d.-l. n. 299/1994 convertito in legge n. 451/1994, anche nel periodo antecedente di vigenza dell'art. 6, comma 7, d.-l. n. 148/1993, convertito in legge n. 236/1993, che aveva introdotto il principio dell'incompatibilita' tra tutti i trattamenti di disoccupazione e le prestazioni pensionistiche dirette. Il pretore, argomentando dalla parte motiva della sentenza della Corte, ha esteso la ratio della statuizione - riguardante specificamente il rapporto tra trattamenti di disoccupazione e di invalidita' - alla fattispecie inesame, traendo spunto anche dalla successiva ordinanza emessa sul punto sempre dalla Corte costituzionale n. 466/1995, di rigetto di analoga questione, interpretandola come estensiva del principio, gia' espresso nella sopracitata sentenza, al rapporto di incompatibilita' fra trattamenti pensionistici diretti (senza distinzione tra loro) e di disoccupazione, e legittimante pertanto una interpretazione analogica dell'art. 6, comma 7, senza necessita' di ulteriore deferimento alla Corte costituzionale. Il ragionamento posto alla base della statuizione e' errato e si pone in netto contrasto con gli artt. 101, comma 2, 134 e 136 Cost.: la dichiarazione di incostituzionalita' di una norma o di parte di essa non puo' essere estesa analogicamente ad altra norma o alla parte di essa non direttamente soggetta al vaglio di legittimita'. Diversamente opinando, si verrebbe a legittimare la disapplicazione, da parte del giudice, di norme di legge aventi piena efficacia, senza loro previa sottoposizione all'unico organo deputato a tale controllo, con evidente violazione del dettato costituzionale. La individuazione da parte della Corte costituzionale di principi ampi, che vanno oltre la statuizione e delineano dei criteri di valutazione generali della legislazione vigente, puo' valere (al di la' degli spazi che consente l'interpretazione ispirata a tali criteri) solo come monito per il legislatore ad interventi correttivi nel senso indicato, o costituire il fondamento per la proposizione di nuove questioni di legittimita'. Nel caso in esame, non puo' nemmeno ritenersi che la stessa Corte costituzionale abbia delegato al giudice, coll'ordinanza n. 466 del 1995, il controllo di legittimita' su ipotesi ulteriori rispetto a quella oggetto della sentenza di accoglimento del 1 giugno 1995, come invece ritenuto dal pretore: la motivazione di tale ordinanza ("le questioni sollevate dal giudice remittente sono manifestamente inammissibili perche' la facolta' di opzione, introdotta con la citata pronuncia, ha gia' fatto venir meno l'impossibilita' di accedere al trattamento di disoccupazione ove il lavoratore goda di trattamenti pensionistici diretti, sicche' piu' non sussiste l'impedimento che il giudice remittente mira a rimuovere") avrebbe potuto legittimare l'assunto del giudice di primo grado (e aprire comunque il tema dell'ammissibilita' di siffatte deleghe di controllo costituzionale, che appaiono comunque contrastare con i gia' sopra richiamati principi sanciti dagli artt. 2, 134 e 136 Cost.) se le questioni sottoposte al vaglio di costituzionalita' dai giudici remittenti avessero riguardato ipotesi di cumulo tra trattamenti di disoccupazione ed altri trattamenti pensionistici diversi da quello di invalidita', e non invece, come in questo caso, la identica fattispecie (cumulo tra trattamento di disoccupazione e assegno o pensione di invalidita') gia' oggetto della sentenza n. 218. Le censure mosse all'impugnata sentenza portano, in accoglimento dei motivi d'appello, a concludere dunque per la piena applicabilita' dell'art. 6, comma 7, d.-l. n. 148/1993, convertito in legge n. 236/1993 ed alla conseguente esclusione del diritto vantato dai ricorrenti ad optare per il trattamento di in luogo della pensione di vecchiaia. Ad una diversa soluzione non e' consentito giungere nemmeno attraverso una interpretazione estensiva dell'art. 2, comma 5, d.-l. n. 299/1994, convertito in legge n. 236/1993: la norma infatti, che introduce un correttivo al principio dell'incompatibilita' e risponde alla medesima ratio che ha portato alla dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 6, comma 7, nel periodo di vigenza anteriore alla sua introduzione, espressamente limita la facolta' di opzione al caso di concorso tra trattamenti di mobilita' e di invalidita', e ponendosi come una eccezione rispetto alla disciplina piu' ampia dettata dall'art. 6 cit., non puo' legittimare tacite abrogazioni di essa. Evidente e' pertanto, ai fini della decisione, la rilevanza della questione di legittimita' della disciplina di cui all'art. 6, comma 7, d.-l. n. 148/1993 convertito in legge n. 236/1993 che sancisce il principio della rigida incompatibilita' e, conseguentemente, dell'art. 2, comma 5, d.-l. n. 299/1994 convertito in legge n. 451/1994 che, nell'introdurre un correttivo a tale principio, non contempla i casi di concorso tra trattamento di disoccupazione e pensioni di vecchiaia. Sulla non manifesta infondatezza L'art. 6, comma 7, d.-l. n. 148/1993 convertito in legge n. 236/1993 ha stabilito la totale incompatibilita' fra i trattamenti di disoccupazione e l'indennita' di mobilita', da un lato, e i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, dall'altro. La Corte costituzionale, con la sentenza del 1 giugno 1995, n. 218 gia' richiamata, ha dichiarato l'illegittimita' della norma nella parte in cui non prevede che all'atto di iscrizione nelle liste di mobilita' i lavoratori che fruiscano dell'assegno o della pensione di invalidita' possono optare tra tali trattamenti e quello di mobilita' nei modi e con gli effetti previsti dagli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, d.-l. n. 299/1994 convertito in legge n. 451/1994. La Corte ha fatto salva la discrezionalita' del legislatore nello stabilire eventuali rapporti di non cumulabilita' ovvero di incompatibilita' tra diverse prestazioni previdenziali e assistenziali, ma di tale discrezionalita' ha individuato i limiti di esercizio rispetto ai valori costituzionali in gioco, costituiti dalle esigenze della solidarieta' e della liberazione dal bisogno (art. 38 Cost.), da una parte, e dalla necessita' di preservare l'equilibrio della finanza pubblica (art. 81 Cost.), dall'altra. Le scelte legislative dovranno pertanto ispirarsi ad un contemperamento dei contrapposti interessi, che rendera' possibile - in una situazione in cui si verifichino plurimi eventi oggetto di assicurazioni sociali - valutare come sufficiente l'attribuzione di un unico trattamento previdenziale "al fine di garantire al lavoratore assicurato mezzi adeguati alle esigenze di vita sue e della sua famiglia". Altro limite costituzionale individuato dalla Corte e' costituito dal principio di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), che la concentrazione dell'intervento del sistema di sicurezza sociale in un'unica prestazione deve comunque soddisfare, "non potendo pretermettersi che in generale chi subisce plurimi eventi pregiudizievoli si trova esposto in una situazione di bisogno maggiore di chi ne subisce uno solo e quindi il primo non potra', rispetto a quest'ultimo, avere un trattamento deteriore, pur dovendo farsi a tal fine una ponderazione globale e complessiva (e non gia' limitata a specifici aspetti o periodi) della pluralita' di trattamenti astrattamente spettanti in ragione della pluralita' di eventi verificatisi". In applicazione di tali criteri, la Corte costituzionale ha ritenuto l'intrinseca irragionevolezza del regime della rigida incompatibilita' nel caso in cui i plurimi eventi verificatisi siano quelli del collocamento in mobilita' e quello dell'invalidita', sia considerando l'incongruenza dell'applicazione a soggetti colpiti da due eventi pregiudizievoli (invalidita' e disoccupazione) di un trattamento deteriore rispetto a soggetti colpiti da uno solo di essi (disoccupazione), essendo l'importo dell'indennita' di mobilita' maggiore sia della pensione che dell'assegno di invalidita', sia valutando tale incongruita' non giustificata dalla possibile maggiore durata del trattamento di invalidita' rispetto a quello di mobilita'. I medesimi principi portano a ravvisare, ad avviso di questo tribunale, l'illegittimita' dell'applicazione del rigido criterio dell'incompatibilita' al caso in cui il soggetto astrattamente titolare di trattamento di disoccupazione goda di pensione di vecchiaia: la situazione del vecchio-disoccupato e' infatti equiparabile a quella dell'invalido-disoccupato rispetto agli altri lavoratori collocati in mobilita': anche la vecchiaia, infatti, allo stesso modo dell'invalidita', viene ad aggravare il bisogno ed il rischio della disoccupazione involontaria. Il contrasto con il principio di ragionevolezza e di uguaglianza risulta ancor piu' evidente nel caso in cui la pensione di vecchiaia non sia integrata al minimo e venga erogata per importi di modestissima entita' (come nelle ipotesi oggetto del presente procedimento, in cui i ricorrenti si sono visti negare dall'I.N.P.S. il trattamento di disoccupazione in quanto titolari di pensioni rispettivamente di L. 25.000 e 35.000 mensili), ed in cui la disparita' di trattamento rispetto agli altri disoccupati non titolari di pensione di vecchiaia, derivante dalla concentrazione dell'intervento del sistema di sicurezza sociale nella prestazione piu' deteriore, e' tale da non trovare alcuna giustificazione anche ad una ponderazione globale e complessiva (nel senso indicato dalla Corte costituzionale) dei due trattamenti. Rispetto a tale fattispecie, inoltre, l'applicazione del disposto dell'art. 6, comma 7, d.-l. n. 148/1993, convertito in legge n. 236/1993 non viene a rispecchiare quel contemperamento tra esigenze di solidarieta' e di contenimento della spesa pubblica, che va comunque ricondotto ad un giudizio di sufficienza dell'attribuzione di un unico trattamento previdenziale per garantire al lavoratore assicurato mezzi adeguati alle esigenze di vita sue e della famiglia. Nel caso in cui, nel concorrere di due trattamenti previdenziali, uno solo di essi garantisca i mezzi adeguati alle esigenze di vita, la negazione di quest'ultimo sul mero presupposto della titolarita' dell'altro viene infatti inevitabilmente ed illegittimamente a comprimere il diritto riconosciuto dall'art. 38 della Costituzione.