LA CORTE DEI CONTI
   Ha  emesso  la  seguente ordinanza nel giudizio di responsabilita',
 iscritto  al  n.  4741  del  registro  di  segreteria,  promosso  dal
 procuratore  regionale, in favore dell'Ente Poste italiane (ora Poste
 italiane  S.p.a.),   nei   confronti   dei   sigg.   Angelo   Milano,
 rappresentato  e difeso dall'avv. Empedocle Mirabile ed elettivamente
 domiciliato in Palermo via Telesino n.  51,  nello  studio  dell'avv.
 Michele  Roccella; Giuseppe Messina, residente in Agrigento, via Papa
 Luciani n. 76.
   Sentiti alla pubblica udienza del 23 settembre  1998  il  relatore,
 consigliere  dott.  Giuseppe  Aloisio  ed il pubblico ministero nella
 persona del vice procuratore dott. Salvatore Pilato.
   Esaminati gli atti ed i documenti del giudizio.
                               F a t t o
   Con atto di  citazione  depositato  in  data  4  ottobre  1994,  il
 procuratore  regionale ha convenuto in giudizio i sigg. Angelo Milano
 e  Giuseppe  Messina,  rispettivamente  operatore  specializzato   di
 esercizio  o.s.e.    e  direttore  dell'ufficio  postale  di Palma di
 Montechiaro, ritenendoli responsabili del  danno  di  L.  12.378.000,
 cagionato  all'Ente  Poste  italiane, per avere effettuato in data 28
 novembre 1991 il pagamento dell'assegno postale non  trasferibile  n.
 1608095368  del 17 ottobre 1991, di importo corrispondente, emesso in
 favore della Banca  popolare  S.  Angelo,  ad  un  presunto  delegato
 dall'Istituto  di  credito  all'incasso (tale Anguilla Angelo), senza
 richiedere la prova della qualita'  di  rappresentante  legale  o  di
 "esibitore" della Banca popolare S.  Angelo.
   La  Direzione  centrale dei servizi di bancoposta, con ordinanza n.
 8/1993, disponeva l'emissione di  un  mandato  per  l'importo  di  L.
 12.378.000  a  favore  della  Banca  popolare  S.  Angelo di Palma di
 Montechiaro.
   Da qui il danno contestato dal procuratore regionale ai convenuti i
 quali,   nelle   rispettive  qualita',  non  avrebbero  osservato  le
 disposizioni previste dagli artt. 85 e 100 della "lstruzione generale
 sui servizi a denaro".
   Discusso il giudizio all'udienza del 30 novembre 1995, la  Sezione,
 con  sentenza  n.  12/96/RESP  in  data 24 gennaio 1995, assolveva il
 direttore dell'ufficio postale sig. Giuseppe Messina e condannava  il
 sig.   Angelo   Milano  al  risarcimento  integrale  del  danno,  per
 l'inosservanza  gravemente  colposa  dell'art.  85  delle  istruzioni
 generali   sui   servizi   a  denaro  del  ministero  delle  poste  e
 telecomunicazioni.
   Avverso la suddetta sentenza, il sig. Angelo Milano proponeva  atto
 di   appello  innanzi  alla  sezione  III  giurisdizionale  centrale,
 eccependo - in particolare - di conoscere personalmente  il  soggetto
 cui  venne  pagata  la  somma  in contestazione e di avere chiesto al
 giudice di primo  grado  di  verificare  l'autenticita'  della  firma
 apposta sull'assegno postale.
   La  sezione  II  giurisdizionale centrale, con  sentenza n. 51/1998
 del 24 febbraio 1998, accoglieva l'impugnazione,  rilevando  come  il
 giudice  di  primo  grado  non  avesse  disposto "... un accertamento
 istruttorio  onde  verificare  l'autenticita'  della   sottoscrizione
 apposta   sul   titolo"   (prescindendo  dall'espressa  richiesta  di
 supplemento istruttorio, formulata dal convenuto),  e  rinviando  gli
 atti  a  questa Sezione - ai sensi dell'art. 105 del R.D. n. 1038 del
 1933 - "perche' valuti la richiesta probatoria della  verifica  della
 sottoscrizione    apposta    dal   prenditore   sul   titolo   pagato
 dall'appellante".
   Con atto depositato in data 9 aprile 1998, il procuratore regionale
 ha provveduto alla riassunzione del giudizio, chiedendo la fissazione
 dell'udienza di discussione del giudizio.
   All'odierna  udienza  il  pubblico  ministero,  preso  atto   della
 sentenza   di   appello,   ha   chiesto   che   la  Sezione  disponga
 l'acquisizione  dell'originale  dell'assegno  postale  e  degli  atti
 relativi  alla  firma depositata del sig. Anguilla Angelo, al fine di
 procedere alla verifica della autenticita' della sottoscrizione, come
 disposta dalla sentenza di appello.
                             D i r i t t o
   Con la sentenza n. 51/1998 del 24  febbraio  1998  la  sezione  III
 giurisdizionale  centrale,  accogliendo  l'impugnazione  proposta dal
 sig. Angelo Milano avverso la sentenza di questa Sezione  n.  12/1996
 del 24 gennaio 1995, ha rinviato gli atti a questo giudice - ai sensi
 dell'art.  105 del r.d. n. 1038 del 1933 - affinche' venisse valutata
 la  richiesta  probatoria  dell'appellante,  avente  ad  oggetto   la
 verifica  della  sottoscrizione  apposta  dal prenditore dell'assegno
 postale, proposta dall'appellante.
   La richiesta istruttoria proposta  dal  convenuto  ed  accolta  dal
 giudice  d'appello  consiste  sostanzialmente  nella  verifica  della
 autenticita' della sottoscrizione apposta dal prenditore del titolo.
   Il pubblico ministero all'odierna udienza, ha chiesto  l'esecuzione
 degli incombenti strumentalmente preordinati.
   A prescindere dalla perplessita' sulla ammissibilita' - nel caso di
 specie - della proposta verifica, forti dubbi di costituzionalita' si
 pongono nel contenuto normativo dell'art. 105 del r.d. 13 agosto 1933
 n. 1038 quale costantemente applicato dalle Sezioni d'appello e nella
 fattispecie  dalla  III  Sezione  che  ha  rimesso  gli atti a questa
 Sezione per l'attivita' istruttoria di proposta dal convenuto.
   Infatti,  si  rileva  come  torni  all'esame   della   sezione   la
 problematica dell'art. 105 del regolamento di procedura per i giudizi
 innanzi  alla  Corte  dei conti, approvato con r.d. 13 agosto 1933 n.
 1038,  gia'  oggetto  di  questione  di  legittimita'  costituzionale
 sollevata  da  questa  Sezione  con ordinanza n. 69/1998 del 6 luglio
 1998, n.   42/1998 del 17 aprile 1998,  n.  129/1998  dell'8  ottobre
 1997, n. 142/1998 del 6 ottobre 1997.
   La   norma  suddetta  dispone  che  "quando  in  prima  istanza  la
 competente sezione giurisdizionale si  sia  pronunciata  soltanto  su
 questioni  di  carattere  pregiudiziale,  su queste esclusivamente si
 pronunciano in appello le sezioni riunite.  Quando  invece  in  prima
 istanza  la  sezione  si sia pronunciata anche sul merito, le sezioni
 riunite possono conoscere di questo,  oppure  rinviare  la  causa  al
 primo giudice".
   La  costante  interpretazione  della  suddetta norma da parte della
 giurisprudenza di questa Corte  consente  al  giudice  di  appello  -
 diversamente  da  quanto  prevede  l'art. 354 del codice di procedura
 civile  -  di  limitare   la   propria   pronuncia   alle   questioni
 pregiudiziali,  di  definire  il  giudizio  pronunciandosi  anche nel
 merito,  di  trattare  solo  una  parte  del  merito,  a  prescindere
 dall'esistenza  di  questioni  pregiudiziali,  rinviando  gli atti al
 giudice  di  primo  grado  per  la  definizione  del   giudizio,   in
 applicazione di quanto statuito in sede di appello.
   Nella  fattispecie odierna, la Sezione III Giurisdizionale Centrale
 ha annullato la sentenza impugnata,  rimettendo  ai  sensi  dell'art.
 105  del  Regolamento  di  procedura gli atti a questo giudice per la
 definizione  del  giudizio,  previo  accoglimento   delle   richieste
 istruttorie dell'appellante, gia' proposte e non accolte nel giudizio
 di primo grado.
   Il  Collegio,  rilevato  che  la interpretazione costante dell'art.
 105 del r.d. 13 agosto 1933  n.  1038  costituisce  diritto  vivente,
 ritiene di dovere ulteriormente proporre la questione di legittimita'
 costituzionale  della  norma  predetta  per  contrasto con l'art. 101
 secondo comma della Costituzione.
   Si  ribadisce,  infatti,  che  l'applicazione  dell'art.  105   del
 regolamento  di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti,
 nei termini indicati, determina  -  come  nella  fattispecie  oggetto
 dell'odierno giudizio - un assoggettamento del giudice di primo grado
 alle statuizioni del giudice di appello, tanto marcato da limitare la
 formazione  e  l'espressione del suo convincimento per la definizione
 della causa, affidandogli in definitiva il compito di dare attuazione
 alla decisione di un altro giudice,  con  la  manifesta  lesione  del
 principio sancito dall'art. 101, secondo comma, della Costituzione.
   Principio  che  -  come  gia'  affermato  nelle citate ordinanze di
 questa  Sezione,  in  linea   con   la   consolidata   giurisprudenza
 costituzionale  -  "...garantisce  la  liberta'  e l'indipendenza del
 giudice, nel senso di vincolare la sua attivita' alla  legge  e  solo
 alla  legge,  in  modo  che  egli  sia  chiamato  ad applicarla senza
 interventi ed interferenze al di fuori di essa, che possano  incidere
 sulla  formazione  del suo libero convincimento, anche se non esclude
 che il giudice possa essere  assoggettato  alle  valutazioni  che  la
 legge  da'  dei rapporti, degli atti e dei fatti, e al rispetto degli
 effetti  che  ne  desume,  quando  cio'  sia  conforme  al   precetto
 costituzionale  ovvero  alle  regole  del  procedimento di formazione
 graduale della pronuncia giurisdizionale (sent. n. 50 del 1970  e  n.
 234 del 1976). Quel che, dunque, la legge non puo' fare e' introdurre
 vincoli  che  abbiano  oggettivamente il solo o principale effetto di
 ridurre il giudice a mero esecutore della decisione assunta da altri,
 precludendo l'espressione del suo convincimento sulle questioni dalle
 quali dipende la soluzione della causa".
   In tal senso, pertanto, deve  essere  riproposta  la  questione  di
 legittimita'   costituzionale   dell'art.   105  del  regolamento  di
 procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti.
   Sulla  ammissibilita'  delle  dedotte  questioni  di   legittimita'
 costituzionale,  nel  confermare le argomentazioni gia' esposte nelle
 citate ordinanze nn. 69/1998, 42/1998, 129/1998  e  142/1998,  e  con
 riferimento  a quanto gia' statuito dalla Corte costituzionale (sent.
 21 luglio 1995, n.   345), si osserva che  l'intervento  della  Corte
 costituzionale  e'  consentito  anche  nella  ipotesi di una verifica
 della costituzionalita' di un indirizzo interpretativo consolidato di
 una norma, che costituisce diritto vivente, nella ipotesi in  cui  il
 giudice  remittente reputi non conforme alla Costituzione la costante
 applicazione della norma.
   Sotto il profilo della rilevanza della  questione  prospettata,  il
 Collegio  rileva  come il presente giudizio non possa essere definito
 indipendentemente dalla sua soluzione, da cui  deriva  la  permanenza
 dei notevoli limiti imposti a questo giudice.