IL TRIBUNALE
   Rilevato che nel corso del procedimento penale 22/98 r.g. trib.   a
 carico  di  Messina  Andrea + 1 il p.m., a fronte del rifiuto opposto
 dagli imputati di reato connesso, Montemezzo e Barbieri, a rispondere
 all'esame richiesto in dibattimento, ha offerto la  produzione  delle
 dichiarazioni dagli stessi rese nel corso delle indagini;
   Rilevato  che  le  difese  degli imputati Messina e Matta non hanno
 prestato il consenso alla produzione;
   Rilevato che, trattandosi di dibattimento sorto dopo  l'entrata  in
 vigore   della   normativa   dell'agosto  1997  debba  trovare  piena
 applicazione la disciplina del testo novellato dell'art. 513, comma 2
 c.p.p., che impone di non acquisire i verbali delle dichiarazioni, in
 assenza del consenso delle parti;
   Sentito   il   p.m.   il   quale   ha   formulato   eccezione    di
 incostituzionalita'  della  disposizione  richiamata,  per  contrasto
 della stessa con gli artt. 3, 101, 111 e 112 Cost.,  nella  parte  in
 cui subordina l'acquisizione dei verbali al consenso delle parti;
   Sentite   le   difese   che   si   sono   opposte  all'accoglimento
 dell'eccezione;
                             O s s e r v a
   In punto di rilevanza della  questione  sollevata  nell'ambito  del
 presente  procedimento:  l'utilizzazione delle dichiarazioni rese dai
 due correi che hanno esercitato il loro diritto di non rispondere  e'
 essenziale  per inquadrare l'attivita' svolta dai due imputati, ed in
 tal senso il mezzo di prova era  stato  ammesso  dal  Collegio.    Il
 rifiuto  opposto  dai difensori all'utilizzazione delle dichiarazioni
 rese in precedenza di fatto preclude al Collegio ogni valutazione  di
 merito in ordine alla fondatezza dell'ipotesi di accusa.
   Quanto  alla  non manifesta infondatezza appare al Collegio che sia
 l'impianto complessivo del codice, sia soprattutto le decisioni della
 Corte costituzionale susseguitesi nel  tempo  su  varie  norme  dello
 stesso,   convergano  tutte  nell'escludere  che  vi  sia  un  potere
 dispositivo delle parti sul processo, riconoscendo al giudice in ogni
 caso il diritto di decidere, muovendosi non nel  senso  dell'astratto
 controllo  della  legittimita' dell'operato delle parti, ma nel senso
 dell'accertamento della verita'.  Illuminante  in  tal  senso  e'  la
 decisione  della  Corte costituzionale n. 111/1993, che, valutando la
 portata dell'art. 507 c.p.p., sottoposto ad esame, chiarisce  che  un
 principio  dispositivo  della  prova  non  trova  riscontro  ne'  nei
 principi della legge delega, ne' nel tessuto  normativo  del  codice.
 Nella  stessa  pronuncia  si  fa richiamo ad altre sentenze che hanno
 evidenziato come in tema di applicazione della pena  l'accordo  delle
 parti  comunque  non  puo'  prescindere dall'autonoma valutazione del
 giudice (Corte cost. n. 313/1990), e  che  il  principio  dispositivo
 della  prova  non  trova  ingresso  neppure  nel giudizio abbreviato,
 consentendosi al giudice la possibilita' di  acquisire  nuove  prove,
 malgrado  il  suo  presupposto  sia  il giudizio di concludenza delle
 prove operato concordemente dalle parti (cfr.  Corte cost. 92/1992  e
 56/1993).  La  ratio  di tale esclusione e' ravvisata, nelle pronunce
 indicate, nella inevitabile limitazione che dal principio dispositivo
 discende,  all'obbligatorieta' dell'azione penale prima, ed al libero
 esercizio della giurisdizione poi.
   Quanto  al   primo   aspetto   inoltre   v'e'   da   rilevare   che
 l'obbligatorieta'   dell'azione  penale,  ove  debba  necessariamente
 conciliarsi con il principio  dispositivo  nell'ambito  delle  prove,
 produce un ulteriore effetto processuale sicuramente non previsto: la
 necessita' che si eserciti l'azione penale in presenza della chiamata
 in  correita',  e  nel  contempo  l'altrettanto  necessaria pronuncia
 assolutoria ove il chiamante non  reiteri  le  sue  dichiarazioni  in
 dibattimento  e  non  intervenga  il consenso all'utilizzazione delle
 precedenti affermazioni.  L'effetto che ne consegue e' una  pronuncia
 che  assume  intangibilita'  di giudicato, come tale immutabile anche
 ove,   successivamente,   si   acquisisca   aliunde   la   prova   di
 responsabilita'  dell'imputato,  e  quindi la creazione permanente di
 una realta' processuale del tutto sganciata  da  ogni  aderenza  alla
 realta'.  Questa  conseguenza  porta a compromettere l'essenza stessa
 del  processo,  producendo  una  insanabile  lesione   all'efficiente
 svolgimento della giurisdizione.
   Deve  inoltre rilevarsi che, nella fisiologica parcellizzazione dei
 giudizi, anche per gli  stessi  fatti  a  carico  di  piu'  imputati,
 correlata  alla  presenza di riti alternativi, la possibilita' per il
 coimputato di decidere di volta in volta se rendere o non rendere  le
 sue  dichiarazioni,  e  la  conseguente  possibilita'  delle parti di
 opporsi alla produzione, in caso della scelta del silenzio, di  fatto
 rende  inevitabile  una  difformita'  di  valutazioni  per situazioni
 identiche, con patente violazione del principio di uguaglianza.
   In ragione dei motivi esposti, non appare manifestamente  infondato
 il  dubbio  di costituzionalita' della disciplina contenuta nell'art.
 513, comma 2 c.p.p., nella parte in cui subordina al  consenso  della
 parte  l'acquisizione  dei verbali raccolti nel corso delle indagini,
 in riferimento ai principi di cui agli artt. 3, 101  comma  2  e  121
 Cost.