IL PRETORE Nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo in materia di lavoro, r.g. n. 2318/1998, proposta da Limolivo S.r.l., con sede in Limone, in persona di Risatti Franceschino, suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Brescia presso l'avv. Sergio Rossi, il quale la rappresenta e difende in forza di delega a margine dell'atto introduttivo del giudizio, opponente; Contro Fabbri Barbara, elettivamente domiciliata in Brescia presso l'avv. Mario Berruti, il quale la rappresenta e difende in forza di procura a margine del ricorso per decreto ingiuntivo, opposta; Visti gli atti difensivi delle parti; Visti gli artt. 410 (come modificato dall'art. 36 del d.lgs 31 marzo 1998, n. 80), 410-bis e 412-bis (aggiunti dall'art. 39 del d.lgs. n. 80/1998) del codice di procedura civile; Visto l'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953 n. 87; Visto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; Visti gli artt. 3, 24, 134 e 136 della Costituzione; Nella pubblica udienza del 22 febbraio 1999, ha pronunciato, dandone integrale lettura, la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale di questione di legittimita' costituzionale, rilevata d'ufficio, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87. 1. - Con ricorso ex art. 633 e seguenti c.p.c., depositato in cancelleria in data 24 agosto 1998, Fabbri Barbara chiedeva al pretore di Brescia in funzione di giudice del lavoro di ingiungere alla societa' Limolivo S.r.l. di pagare la somma di L. 817.649, quale residuo credito delle sue competenze relative al rapporto di lavoro intercorso con tale societa', nel periodo compreso tra il 15 marzo e il 31 maggio 1998, risultanti dalla busta paga del mese di maggio 1998, avendo percepito un acconto di L. 2.150.000 sul totale dovuto di L. 2.967.649. Il pretore emetteva il decreto ingiuntivo n. 792/1998, in data 3 settembre 1998, condannando la societa' predetta al pagamento della somma richiesta dalla ricorrente, oltre interessi legali e spese del procedimeto. 1.a. - La societa' Limolivo S.r.l., con l'atto introduttivo del presente giudizio, depositato in cancelleria in data 13 ottobre 1998, ha proposto opposizione contro il suddetto decreto ingiuntivo, chiedendone la revoca, con la dichiarazione che la societa' opponente nulla deve alla Fabbri per le causali di cui al ricorso. A sostegno dell'opposizione la predetta societa' ha affermato di aver interamente corrisposto alla Fabbri quanto spettantele in dipendenza del pregresso rapporto di lavoro, svoltosi dal 21 novembre 1997 al 31 maggio 1998, producendo l'atto di transazione in data 30 maggio 1998, sottoscritto dalla lavoratrice, dal quale risulta un residuo credito della Fabbri di L. 2.150.000, sulla base di un conteggio complessivo, riconosciuto esatto, del dovuto e del percepito. La societa' opponente ha chiesto, inoltre, la riunione della causa con altra pendente tra le stesse parti. Fabbri Barbara, costituitasi ritualmente con memoria difensiva depositata in cancelleria in data 23 novembre 1998, ha contestato tutte le avverse deduzioni, concludendo per la conferma del decreto opposto. 1.b. - Nella precedente udienza dell'11 febbraio 1999, il procuratore dell'opposta ha chiesto "rinvio al fine di valutare con il cliente la proponibilita' della querela di falso in ordine al documento prodotto da controparte". Nella medesima udienza, su espressa domanda del giudice adito, i procuratori delle parti hanno ammesso di non aver promosso il tentativo di conciliazione, come previsto nel vigente art. 410 del codice di procedura civile. A tal proposito il difensore della parte opposta ha dichiarato di non aver "promosso il tentativo di conciliazione ex d.lgs. n. 80/1998, in quanto ha ritenuto e ritiene che chiedere di conciliare una controversia che ha come oggetto un credito certo, liquido ed esigibile riconosciuto confessoriamente dal datore di lavoro", sia del tutto aberrante. Sul punto, il difensore della societa' opponente ha affermato di condividere la tesi di controparte. Null'altro deve essere ricordato della presente controversia, perche' ininfluente ai fini del giudizio incidentale di costituzionalita'. 2. - Come si e' gia' ricordato, nessuna delle parti ha promosso il tentativo obbligatorio di conciliazione nel presente processo di cognizione; neppure nel procedimento sommario per ingiunzione, di cui al capo I del titolo I del libro IV del codice di procedura civile, la domanda giudiziale della Fabbri, sicuramente relativa ai rapporti di cui all'art. 409 c.p.c., e' stata preceduta dal tentativo di conciliazione di cui agli artt. 410 (come modificato dall'art. 36 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80), 410-bis e 412-bis (aggiunti dall'art. 39 del d.lgs. n. 80/1998) del codice di procura civile. All'epoca dell'emissione del decreto ingiuntivo, oggi opposto, questo pretore non rilevo' la mancata promozione del tentativo di conciliazione, poiche' riteneva che le disposizioni in materia non fossero applicabili nel procedimento per ingiunzione, in quanto non regolato dalle norme sul processo di cognizione, e che, in particolare, fosse inapplicabile la previsione dell'improcedibilita' della domanda, come stabilita nei primi tre commi dell'art. 412-bis. Riesaminata la normativa di cui agli artt. 410 (come modificato dall'art. 36 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80), 410-bis e 412-bis (aggiunti dall'art. 39 del d.lgs. n. 80/1998) del codice di procedura civile, la sopra riferita tesi interpretativa di questo pretore, benche' corretta nel negare l'ipotesi dell'improcedibilita' della domanda proposta nel ricorso per decreto ingiuntivo, risulta totalmente errata nell'escludere l'applicabilita' di tutte le disposizioni relative al tentativo obbligatorio di conciliazione: essa omette, infatti, di considerare che il primo comma dell'art. 410 c.p.c., letto in combinato disposto con l'ultimo comma dell'art. 412-bis, impone a carico di "chi intende proporre una domanda relativa ai rapporti previsti dall'art. 409" l'obbligo di promuovere il tentativo di conciliazione, in tutti i procedimenti non espressamente esclusi e, quindi, anche in quello per ingiunzione, poiche' l'art. 412-bis, ultimo comma, non lo contempla, disponendo, in modo sicuramente tassativo, che "il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non preclude la concessione dei provvedimenti speciali d'urgenza e di quelli cautelari previsti nel capo III del titolo I del libro IV". Deve cosi' affermarsi che anche la domanda giudiziale relativa ai rapporti di cui al n. 409 c.p.c. proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo deve essere preceduta dal tentativo di conciliazione e, inoltre, che la mancata promozione del tentativo stesso determina l'improponibilita' della domanda, poiche' sono a tale ipotesi inapplicabili le norme dettate per il processo di cognizione. Dunque, questo pretore avrebbe dovuto dichiarare l'improponibilita' della domanda proposta dalla Fabbri nel procedimento per ingiunzione. 3. - Nel presente giudizio di opposizione, tenuto conto di quanto sopra esposto, si prospettano, in astratto, due possibili soluzioni, con riferimento alla mancata promozione del tentativo obbligatorio di conciliazione: la dichiarazione dell'improcedibilita' (con le ulteriori statuizioni di legge) della domanda proposta della Fabbri, quale ricorrente sostanziale nel giudizio di opposizione, oppure la revoca del decreto ingiuntivo perche' viziato dall'accertata improponibilita' della domanda della stessa Fabbri nel procedimento sommario per ingiunzione, pronuncia questa, in astratto, idonea a definire il presente giudizio, quanto meno con riferimento alla regolarita' dell'emissione del decreto opposto, posto che, in ordine al merito della domanda della parte opposta-ricorrente sostanziale, la causa potrebbe avere un ulteriore sviluppo, se venisse proposta la querela di falso, ipotizzata dal difensore della Fabbri. Tra le suddette due ipotesi questo giudice ritiene giuridicamente corretta la seconda, poiche' resa obbligata alla previsione del combinato disposto degli artt. 410, primo comma, e 412-bis, ultimo comma, c.p.c., mentre la prima e' errata, perche' determina la disapplicazione delle medesime disposizioni. 4. - Tuttavia la revoca del decreto ingiuntivo perche' viziato dall'accertata improponibilita' della domanda proposta in sede monitoria, non puo' essere pronunciata, perche' questo giudice dubita della legittimita' costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 412-bis, giacche' tale disposizione, prevedendo, in modo tassativo, che "il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non preclude la concessione dei provvedimenti speciali d'urgenza e di quelli cautelari previsti nel capo III del titolo I del libro IV", esclude il decreto ingiuntivo dal suo ambito di applicazione, senza alcuna ragione comprensibile, in violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione. Se solo si considera, infatti, che il decreto ingiuntivo e', gia' di per se', uno strumento utile per deflazionare il contenzioso giudiziario, essendo solo eventuale il giudizio di opposizione regolato dalle norme del processo del lavoro e che, altresi, e' obiettivamente vero, anche se solo in linea teorica, che risulta "aberrante" la sola ipotesi della conciliazione per crediti liquidi, certi ed esigibili, quali quelli azionati in sede monitoria, e che, inoltre, l'imposizione dell'espletamento pregiudiziale del tentativo di conciliazione costituisce una grave limitazione temporale, che incide sulla tutela giurisdizionale dei diritti nel procedimento per ingiunzione, risulta chiaro che l'esclusione del decreto ingiuntivo dall'ambito di applicabilita' dell'ultimo comma dell'art. 412-bis cod. proc. civ., non solo e' irragionevole (con violazione dell'art. 3 della Costituzione), perche' colpisce uno strumento utile al fine di ridurre il numero delle controversie giudiziarie nella sede del processo di cognizione, in netto contrasto con la stessa ratio legis del tentativo obbligatorio di conciliazione, ma costitusce anche un evidente vulnus alla tutela giurisdizionale (con violazione dell'art. 24, primo comma della Costituzione), perche' riduce gravemente l'utilita' del procedimento per ingiunzione, condizionandone la proponibilita' all'avvenuto espletamento dello stesso tentativo di conciliazione, con compromissione della funzione specifica di tale procedimento, la cui caratteristica fondamentale e' costituita dalla rapidita' offerta dalla tutela giurisdizionale. Deve essere, pertanto, rilevata d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 412-bis del codice di procedura civile, nella parte costituita dalle parole "d'urgenza e di quelli cautelari previsti nel capo III", per violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione. Ad avviso di questo giudice, risulta, infatti, possibile sanare la denunciata lesione della Costituzione con la dichiarazione d'illegittimita' costituzionale, ad effetto tipicamente caducatorio ex art. 136 Cost., delle parole sopra indicate, giacche' nel risultante testo della norma sarebbero ricompresi tutti i provvedimenti previsti nel titolo I del libro IV del codice di procedura civile e, quindi, anche il decreto ingiuntivo. 5. - La questione di legittimita' costituzionale qui rilevata d'ufficio possiede il requisito della non manifesta infondatezza ed e' anche rilevante, poiche' il presente giudizio di opposizione, in questa fase, non puo' "essere definito indipendentemente" dalla sua risoluzione: la dichiarazione d'incostituzionalita' dell'art. 412-bis, ultimo comma, c.p.c., nella specifica parte censurata, precluderebbe, infatti, a questo pretore di revocare il decreto ingiuntivo opposto perche' improponibile a causa della mancata promozione del tentativo obbligatorio di conciliazione. 6. - Ai sensi dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953 n. 87, questo giudizio deve essere sospeso e deve ordinarsi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri, oltre alla comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.