Ricorso per conflitto di attribuzioni della provincia  autonoma  di
 Trento,   in   persona   del   Presidente  della  Giunta  provinciale
 pro-tempore  Lorenzo  Dellai,  autorizzato  con  deliberazione  della
 Giunta  provinciale n. 2681 del 9 aprile 1999 (all. 1), rappresentata
 e difesa - come da procura speciale  del  12  aprile  1999  (rep.  n.
 23060)  rogata  dall'ufficiale  rogante  della provincia stessa dott.
 Tommaso Sussarellu (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico  Falcon  di
 Padova  e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo
 studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri 5;
   Contro  il  Presidente  del   Consiglio   dei   Ministri   per   la
 dichiarazione  che  spetta alla provincia autonoma di Trento in forza
 degli artt.  68, 71 e 110 dello  statuto  di  autonomia,  cosi'  come
 attuati dalle disposizioni di attuazione, con particolare riferimento
 a  quelle  di  cui  al d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115, e al d.lgs. 16
 marzo 1992, n. 268, artt. 4 e 20, il rimborso  integrale  dei  canoni
 delle concessioni relative alle grandi derivazioni di acque pubbliche
 rilasciate dallo Stato su beni facenti parte del demanio idrico della
 provincia  stessa,  in relazione agli anni dal 1988 al 1992, e per il
 conseguente annullamento della nota del  Ministero  delle  finanze  -
 Dipartimento  del  Territorio - Direzione centrale del demanio del 25
 gennaio 1999, prot. n. 50151, pervenuta  in  data  12  febbraio  1999
 (all.  3),  nella  parte  in cui nega il diritto a tale rimborso, per
 violazione  delle  disposizioni  statutarie  e  di  attuazione  sopra
 ricordate.
                            Fatto e diritto
   L'art.  71    dello  statuto  di  autonomia,  di cui al testo unico
 approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n.  670,  dispone  che  "per  le
 concessioni  di grande derivazione di acque pubbliche esistenti nella
 provincia, accordate o da accordarsi per qualunque  scopo,  lo  Stato
 cede  a  favore della provincia i nove decimi dell'importo del canone
 annuo stabilito a norma di legge".
   Alle  origini  dello statuto di autonomia, quando tale disposizione
 fu scritta (bisogna infatti ricordare che gia' lo statuto  del  1948,
 all'art.  62, sanciva che "per le concessoni di grande derivazione di
 acque pubbliche esistenti nella regione, accordate o da accordarsi  a
 qualunque  scopo,  lo Stato cede a favore della regione i nove decimi
 dell'importo del canone annuale stabilito a norma di legge"), il  suo
 senso era assolutamente chiaro ed univoco.
   Si trattava di una delle molteplici entrate spettanti di per se' ed
 in  primo  luogo  allo  Stato  che venivano totalmente o parzialmente
 devolute all'autonomia regionale e provinciale: non a caso nel titolo
 dedicato alla Finanza l'art. 62 faceva seguito al 59  (dedicato  alla
 devoluzione   delle   imposte   ipotecarie),  al  60  (dedicato  alla
 devoluzione di parte del gettito del  lotto,  dei  monopoli  e  delle
 imposte  sugli  affari)  e  al  61  (dedicato  alla devoluzione delle
 imposte relative all'energia consumata).
   La  stessa  collocazione  e  lo  stesso  senso  ha  conservato   la
 disposizione  dell'art.  71 del nuovo statuto, con la sola differenza
 che nel nuovo quadro statutario  destinataria  della  devoluzione  di
 entrate  non  e' piu' la sola ragione, ma sono anche e soprattutto le
 province. Cosi' ora l'art.  69  e'  dedicato  alla  devoluzione  alla
 regione  del  gettito  di determinate imposte, l'art. 70 devolve alle
 province il gettito delle imposte sulla energia,  l'art.  71  devolve
 ora   alle   province  gli  stessi  9/10  del  gettito  delle  grandi
 derivazioni che prima erano devoluti alla regione.
   Sia prima che dopo il nuovo statuto risulta dunque  chiaro  che  la
 devoluzione  dei 9/10 si riferisce ad entrate che in via di principio
 ed in partenza sono statali, e che solo in forza  delle  disposizioni
 statutarie  vengono  devolute  alle  autonomie territoriali speciali.
 Cio'  e'  d'altronde  esplicito  nella  stessa   formulazione   della
 disposizione  dell'art.  71,  e  in  particolare nell'espressione "lo
 Stato cede":  cede, evidentemente, qualcosa  che  altrimenti  sarebbe
 proprio.
   Immutato  il  senso  della disposizione, dopo il 1972 veniva invece
 mutando - proprio a seguito della progressiva  attuazione  del  nuovo
 statuto - la realta' fattuale e giuridica sottostante.
   In particolare, in virtu' della disposizione dell'art. 68 del nuovo
 statuto, secondo il quale le province, "in corrispondenza delle nuove
 materie  attribuite  alla loro competenza, succedono, nell'ambito del
 proprio territorio, nei beni e nei diritti demaniali  e  patrimoniali
 di  natura  immobiliare",  e'  parzialmente  mutata la situazione del
 demanio ed in particolare quella del  demanio  idrico,  dato  che  il
 tradizionale   demanio  idrico  statale  veniva  scindendosi  in  due
 tronconi,  uno  ancora  statale,  l'altro   ormai   provinciale.   In
 particolare  le norme di attuazione emanate con d.P.R. 22 marzo 1973,
 n. 115,  sancirono  all'art,  8,  lett.  e),  il  trasferimento  alle
 province  del  "demanio  idrico",  tuttavia "con esclusione dei fiumi
 Adige e Drava, nei tratti classificati di 1 e 2 categoria e del fiume
 Isarco, compresi comunque gli alvei e le pertinenze,  i  ghiacciai  e
 laghi, escluso il lago di Garda, nonche' le opere di bonifica valliva
 e  montana,  le  opere di sistemazione idraulico-forestale dei bacini
 montani e le opere idrauliche" e "fermo restando il  regime  previsto
 dalle norme in vigore per le grandi derivazioni".
   Quest'ultima  disposizione,  si  noti,  era  rivolta a far salva la
 competenza operativa statale in relazione  alle  grandi  derivazioni:
 come  e' poi confermato dalle ulteriori norme di attuazione di cui al
 successivo d.P.R. n. 381 del 1974, il quale, traendo  le  conseguenze
 operative  della  nuova  situazione  di  titolarita'  del demanio, ha
 stabilito la spettanza provinciale delle "attribuzioni inerenti  alla
 titolarita'  di tale demanio" (art. 5, comma 1), precisando pero' che
 "resta ferma la competenza statale in materia di grandi derivazioni a
 scopo idroelettrico".
   Dopo tali disposizioni, la situazione e' dunque la seguente: sia lo
 Stato che la provincia autonoma di Trento  dispongono  di  un  poprio
 demanio   idrico;  ogni  ente  esercita  pienamente  le  attribuzioni
 conseguenti  alla  titolarita'  del  proprio  demanio;  tuttavia,  in
 termini  derogatori, rimane ferma la competenza statale in materia di
 grandi derivazioni idroelettriche.
   Non  potevano  rimanere  nascoste  le   conseguenze   della   nuova
 situazione sull'assetto delle entrate provinciali.
   In effetti le concessioni di grande derivazione si riferivano (e si
 riferiscono)  ormai  a  due distinte categorie di beni demaniali.  Da
 una parte, vi sono le concessioni relative a beni facenti  parte  del
 demanio  idrico  statale:  per esse continua a valere, ovviamente, la
 regola dell'art. 71 dello statuto, secondo la quale "lo Stato cede  a
 favore della provincia i nove decimi dell'importo del canone annuo".
   Dall'altra vi sono pero' ormai le concessioni di grande derivazione
 su  beni  del  demanio  idrico  provinciale.  Per tali concessioni il
 meccanismo di cui all'art. 71 dello statuto non  puo'  piu'  operare,
 trattandosi ormai di concessioni su beni provinciali, in relazione ai
 quali all'ente statutariamente proprietario spetta non una quota (sia
 pure  elevata)  delle  entrate,  ma le entrate in quanto tali e nella
 loro totalita', secondo  un  principio  chiaramente  riconosciuto  da
 codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza 9 giugno 1986, n.
 133,  e  nel  caso  della  provincia  autonoma  di  Trento secondo la
 disposizione  statutaria  dell'art.  68.  Stabilisce   infatti   tale
 articolo   che  nelle  materie  di  propria  competenza  le  province
 succedono  allo  Stato  "nei  beni  e   nei   diritti   demaniali   e
 patrimoniali".
   Tale assetto della materia, che gia' derivava in via interpretativa
 dallo statuto, e' stato consolidato con apposite norme di attuazione.
 Precisamente,  il  d.P.R.  n. 268 del 1992 ha sancito che i canoni di
 concessione delle grandi derivazioni, per i  quali  l'art.  71  dello
 statuto  prevede  ora la corresponsione da parte dello Stato dei 9/10
 alla provincia, si riferiscono  al  demanio  idrico  dello  Stato;  i
 canoni   relativi   al  demanio  ormai  provinciale  invece  "restano
 acquisiti al bilancio delle rispettive province". Per quanto riguarda
 le piccole derivazioni i canoni seguono integralmente  il  regime  di
 afferenza  del  bene demaniale, con la conseguenza tra l'altro che la
 stessa provincia autonoma di Trento  trasferisce  corrispondentemente
 allo  Stato  nella loro interezza i proventi derivanti da concessioni
 di piccola derivazione (rientranti  operativamente  nella  competenza
 provinciale) su beni rimasti nel demanio idrico statale.
   La  situazione  giuridica cosi' come illustrata appare nel presente
 pacifica, mentre la controversia si riferisce  alla  definizione  dei
 rapporti  per  i  quattro  anni  precedenti  il 1992, nei termini che
 seguono, dei quali si  vuole  solo  evidenziare  sin  da  ora  che  i
 competenti  uffici  statali,  locali  e  centrali,  hanno  pienamente
 condiviso  la  richiesta della provincia autonoma di Trento, e che la
 pacifica sistemazione delle questioni pendenti e' risultata  preclusa
 soltanto  da  un  parere  dell'avvocatura  distrettuale  erariale  di
 Trento, sul quale in seguito ci si dovra' soffermare.
   Dato che l'amministrazione statale aveva in realta' continuato, sia
 prima che dopo il 1992, a corrispondere alla  provincia  autonoma  di
 Trento  i  soli  nove  decimi  dei  canoni  di  concessione di grandi
 derivazioni, senza affatto distinguere tra canoni relativi al demanio
 statale (per i quali in effetti  spettavano  alla  provincia  i  nove
 decimi)  e  canoni  relativi  al  demanio  provinciale  (per  i quali
 spettavano invece i dieci decimi), la provincia autonoma di Trento ha
 provveduto con nota del Servizio entrate e credito  dell'11  febbraio
 1998,  prot.    n.  1131  (all.  4),  a richiedere al Ministero delle
 finanze  -  Ufficio  del  territorio  di   Trento   di   quantificare
 l'ammontare   dei   canoni  di  concessione  per  grande  derivazione
 indebitamente trattenuti dallo Stato dal 1988 al 1998, e  di  mettere
 in grado l'amministrazione provinciale di acquisire tale importo.
   In  pratica,  si  trattava  del  versamento  dell'ulteriore decimo,
 rispetto ai nove decimi  gia'  versati;  e  di  questo  la  provincia
 richiedeva  la  restituzione  con nota del Servizio entrate e credito
 del 22 giugno 1998, prot. n. 4730 (all. 5). A  seguito  dei  contatti
 intercorsi  tale  somma risultava quantificata in circa 9 miliardi di
 lire (precisamente 8.913.165.719).
   Va qui ora spiegata  la  ragione  per  la  quale  la  richiesta  di
 rimborso della provincia autonoma di Trento si fermava al 1988, senza
 risalire  agli  anni  precedenti.  Tale ragione si trova nelle stesse
 norme di attuazione del 1992 le quali, dopo avere consolidato la gia'
 esposta interpretazione degli artt. 68 e 71 dello  statuto,  all'art.
 20  stabilivano in generale che "ai sensi dell'art. 110 dello statuto
 la decorrenza dell'applicazione delle norme contenute nel  titolo  VI
 dello  statuto  medesimo  e' fissata al 1 gennaio 1973" (comma 1), ma
 precisando peraltro subito di  seguito  (comma  2)  che  "i  rapporti
 finanziari  derivanti  dall'applicazione  del titolo VI dello statuto
 per il periodo compreso tra il 1 gennaio 1973 ed il 31 dicembre  1987
 si  intendono  regolati  a  titolo  definitivo  secondo  le modalita'
 provvisoriamente adottate dai competenti organi statali, nei riguardi
 della regione Trentino-Alto Adige e delle province autonome di Trento
 e di Bolzano".
   Su tale base, la provincia autonoma di Trento ritenne di non  avere
 nulla da richiedere per il periodo precedente neppure in relazione ai
 canoni   di   grande   derivazione  d'acqua,  considerando  per  essi
 consolidato - per quanto fosse opinabile - il riparto  gia'  avvenuto
 secondo  il criterio che l'art. 71 pone per le concessioni su demanio
 statale.
   Con nota del 27 luglio 1998, prot. n 5682 (all.  6),  il  Ministero
 delle   finanze  -  Ufficio  del  territorio  di  Trento,  pienamente
 condividendo quanto esposto dalla provincia, e dunque la  debenza  da
 parte  erariale  della  somma  in questione, richiedeva ai competenti
 uffici centrali del Ministero di "disporre il rimborso  della  somma"
 nei  termini  gia' detti, "rappresentando essa l'ammontare del decimo
 trattenuto dallo Stato per i canoni di grande derivazione sul demanio
 idrico provinciale per gli anni 1988-1998". La posizione dell'ufficio
 locale veniva poi ribadita con ulteriore nota del 25 settembre  1998,
 n. 6653 di prot. (all. 7).
   La  stessa posizione di condivisione veniva di seguito espressa dal
 Ministero delle finanze - Dipartimento  del  territorio  -  Direzione
 centrale  del  demanio.  Precisamente,  tale Direzione centrale, dopo
 avere richiesto con nota del 6 ottobre 1998, n. 54838  (all.  8),  le
 valutazioni  del  Ministero  dei lavori pubblici - Direzione generale
 della difesa del  suolo  (peraltro  estranea  alla  vicenda),  e  con
 ulteriore  nota  del  16  dicembre  1998,  n.  56012 (all. 9), quelle
 dell'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato,  direttamente  esprimeva
 "l'avviso  che  possa  ritenersi fondata la richiesta della provincia
 autonoma di Trento",  manifestava  il  proposito  di  "chiedere  alla
 competente Divisione I, l'accreditamento della somma" in favore della
 provincia,   e  richiedeva  nelle  more  all'Avvocatura  trentina  di
 esprimersi con urgenza.
   Il parere dell'Avvocatura distrettuale dello  Stato  di  Trento  e'
 intervenuto  con  nota  del  13  gennaio 1999, n. 151 (all. 10). Come
 anticipato, e' a tale parere che si deve  il  successivo  diniego  di
 rimborso,   qui  impugnato,  e  percio'  su  di  esso  e'  necessario
 soffermarsi.
   La premessa della argomentazione della Avvocatura trentina  e'  che
 "l'art.  71  dello statuto speciale, nell'attribuire alla provincia i
 nove decimi dei canoni per le concessioni di  grande  derivazione  di
 acque  pubbliche (con il conseguente diritto dello Stato a trattenere
 il restante decimo) non distingue affatto tra demanio idrico  statale
 e   provinciale".   Secondo   l'Avvocatura,   anzi,  la  disposizione
 statutaria "nel fare  esclusivo  riferimento  alle  "acque  pubbliche
 esistenti  nella  provincia",  mostrerebbe chiaramente di prendere in
 considerazione  le  grandi  derivazioni   in   quanto   tali,   senza
 distinzione alcuna" (enfasi nel testo).
   Come  si  vede,  l'Avvocatura esamina il testo dell'art. 71 in modo
 del tutto  avulso  dal  contesto,  senza  riflettere  sul  suo  senso
 originario  e sulle modificazioni in seguito intervenute nell'assetto
 del demanio idrico. In particolare, l'Avvocatura non si  avvede  che,
 se  la disposizione non distingue e non specifica poi di quali "acque
 pubbliche" si tratti, e' perche' la formulazione risale ad una  epoca
 (il  1947, e poi ancora il 1971) nella quale le acque pubbliche erano
 tutte statali.
   E' chiaro comunque che, posta una simile  premessa  interpretativa,
 le  norme  di  attuazione  di cui al d.lgs. n. 268 del 1992 appaiono,
 rispetto  allo   statuto,   completamente   innovative,   tanto   che
 l'Avvocatura addirittura dubita "della stessa compatibilita'" di tali
 disposizioni con l'art. 71 dello statuto.
   Di  seguito  l'Avvocatura  trentina  afferma  che, in ogni modo, le
 nuove disposizioni non possono che operare per il futuro, e che "deve
 percio' escludersi in modo assoluto qualsiasi efficacia retroattiva".
   In  particolare,  l'Avvocatura  erariale   esclude   sia   che   la
 retroattivita'  possa  derivare  dal  carattere  interpretativo delle
 nuove norme  di  attuazione,  sia  che  essa  derivi  dagli  espressi
 disposti del d.lgs.  n. 268.
   Quanto  alla  questione  del  carattere  interpretativo delle nuove
 disposizioni, l'Avvocatura  esclude  che  esse  possano  considerarsi
 quali norme di interpretazione autentica, per la ragione che esse non
 sono  intervenute  con  la  procedura  che  l'art.  104 dello statuto
 richiede per le modifiche del Titolo VI dello statuto  stesso,  cioe'
 con "legge ordinaria" dello Stato su concorde richiesta del Governo e
 delle due province.
   Avendo  cosi'  escluso  il  carattere  interpretativo  delle  nuove
 disposizioni,  l'Avvocatura   trentina   esclude   anche   che   esse
 esplicitamente,  all'art.    20,  prevedano  il  1988  quale  data di
 decorrenza  del  regime  da  esse   sancito.   Qui   l'argomentazione
 dell'Avvocatura   erariale  risulta  addirittura  incomprensibile,  a
 sommesso avviso della ricorrente provincia, di fronte al chiaro testo
 normativo. Si afferma infatti che nessun rilievo assume in  proposito
 il  riferimento  ...  al comma 2 dell'art. 20 d.lgs.  n. 268/1992, il
 quale non regola affatto l'applicazione dell'art.    4  dello  stesso
 d.lgs.,   comportando   invece   esclusivamente   il   consolidamento
 definitivo dei rapporti finanziari intercorsi  fino  al  31  dicembre
 1987": come se quelli di cui si parla non fossero rapporti finanziari
 (a  valle  dell'art.  71,  a  pieno  titolo  inserito  nella  Finanza
 statutaria), e come se proprio da li'  non  partisse  la  limitazione
 della richiesta provinciale a decorrere dal 1988|
   E'  chiaro  comunque che, avendo l'amministrazione attiva richiesto
 il parere dell'Avvocatura, ed avendolo ricevuto nel  senso  indicato,
 essa  difficilmente  avrebbe potuto decidere diversamente. Di qui - e
 non certo dalla autonoma valutazione  della  amministrazione  statale
 del  Demanio  -  il diniego opposto con l'atto oggetto della presente
 impugnazione.
   Ad avviso della ricorrente provincia, infatti, a tutte le questioni
 affrontate nel parere dell'avvocatura erariale  deve  darsi  risposta
 diversa ed opposta rispetto a quella data dall'avvocatura trentina.
   La   disposizione   statutaria   dell'art.  71  -  riprendendo  con
 adattamenti  il  tenore  del  precedente  art.  62  -  si   riferisce
 chiaramente  ad entrate relative al demanio statale, cioe' ad entrate
 di per se' di spettanza statale, che lo Stato poi cede  in  esclusiva
 forza  del  disposto  statutario,  e  non  si  riferisce affatto alle
 entrate che  gia'  statutariamente  competono  alla  provincia  quale
 titolare  del  proprio demanio, una volta succeduta nella titolarita'
 allo Stato.
   Cio' posto, la conformita' delle norme di attuazione del 1992  allo
 statuto  risulta fuori discussione. Si vorrebbe qui dire che esso e',
 piu' che "interpretativo",  chiarificatore di quello che gia' era  il
 senso indubbio dell'art. 71 nella sua logica propria.
    Ne'  poi  si  possono  condividere le affermazioni dell'avvocatura
 erariale trentina  circa  la  negazione  di  un  possibile  carattere
 interpretativo  delle norme di attuazione. Infatti, anche a non voler
 considerare che le norme di attuazione  hanno  comunque  carattere  e
 rango  di  "legge  ordinaria"  e  possiedono  percio'  in  sostanza i
 requisiti di parita' di fonte che l'avvocatura erariale pone  a  base
 di  una possibile "interpretazione autentica" della parte finanziaria
 dello statuto (per  la  cui  modifica,  come  e'  ben  noto,  valgono
 procedure  semplificate  rispetto  a  quelle  generali  di  revisione
 statutaria), occorre in ogni modo considerare  che  l'interpretazione
 c.d.  autentica,  posta  con  la  stessa  o con pari fonte rispetto a
 quella da  interpretare,  e'  ben  lungi  dal  rappresentare  l'unica
 possibile via di interpretazione disposta in via normativa.
   Appare  anzi  in una certa misura ovvio e necessario che ogni fonte
 attuativa  rispetto  ad  un'altra  rechi  in  se'  un  possibile   ed
 inevitabile   grado   di   interpretazione  della  normativa  attuata
 (s'intende, nell'ambito delle interpretazioni possibili  di  questa),
 ed  e'  altresi'  certo  che  tale  interpretazione  sancita  in  via
 attuativa risulta vincolante proprio perche'  contenuta  in  un  atto
 normativo, pur se di diverso grado di quello da attuare.
   Ne'  infine si vede come si possa negare che le norme di attuazione
 di cui al d.lgs. n. 268 del 1992,  nel  disporre  l'ambito  temporale
 della  propria  applicazione  come  espressamente  abilitate  a  fare
 dall'art.  110 dello statuto, dopo aver individuato  come  decorrenza
 generale  delle  norme  la data del 1 gennaio 1973, abbia limitato la
 revisione dei rapporti finanziari ai soli periodi successivi al 1988.
   Essendo dunque in tutti i suoi  elementi  e  argomenti  erroneo  il
 parere   dell'Avvocatura   distrettuale   di   Trento,  completamente
 arbitrario e lesivo  delle  prerogative  statutarie  della  provincia
 risulta   il  provvedimento  negatorio  emanato  sulla  sua  base  in
 relazione agli anni dal 1988 al 1992, oggetto del presente ricorso.
   Infatti, l'interpretazione data dalla normativa di  attuazione  del
 1992  all'art.  71  dello  statuto risulta completamente corretta, ed
 anzi la sola razionale,  mentre  quanto  alla  decorrenza  la  stessa
 normativa  e'  chiara  nel  porre  un punto fermo, quanto ai rapporti
 finanziari, al 1987, e disporre  invece  l'applicazione  delle  nuove
 disposizioni  dal  1988  in  poi.  Si noti che la decorrenza dal 1988
 invece che da un periodo precedente risulta nella  prospettiva  della
 normativa di attuazione, piuttosto che il fondamento specifico di una
 retroattivita',  una  limitazione  di quanto potrebbe derivare per il
 passato dalla corretta interpretazione dello statuto.
   Ne risulta ad  avviso  della  provincia  pienamente  confermato  il
 proprio  diritto  statutario alla piena attribuzione delle entrate in
 questione, e non dei soli nove decimi di esso, per il periodo  dal  1
 gennaio 1988 alla fine del 1992.