IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1647  del  1993
 proposto  da  Benedetti  Torquato,  rappresentato  e difeso dall'avv.
 Bruno Brusciotti ed elettivamente  domiciliato  in  Ancona,  via  San
 Martino n. 23, presso lo studio dell'avv. Maurizio Fabiani;
   Contro  l'amministrazione  provinciale  di  Pesaro  ed  Urbino,  in
 persona del Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso  dall'avv.
 Franco   Buonassisi  ed  elettivamente  domiciliato  in  Ancona,  via
 Leopardi n.  2, presso lo studio  dell'avv.  Ferdinando  Zannini;  la
 commissione   di   disciplina   dell'amministrazione  provinciale  di
 Pesaro-Urbino, in persona del Presidente pro-tempore  non  costituito
 in giudizio; per l'annullamento della deliberazione 8 giugno 1993, n.
 679  della  Giunta  provinciale;  di  ogni  altro  atto  presupposto,
 conseguente e connesso;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
 provinciale di Pesaro ed Urbino;
   Viste  le  memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Relatore,  alla  pubblica  udienza  del  24   febbraio   1999,   il
 consigliere Luigi Ranalli;
   Uditi  l'avv.  Brusciotti per il ricorrente e l'avv. Buonassisi per
 l'amministrazione resistente;
   Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Il  sig.  Torquato  Benedetti,  ex  direttore   di   mensa   presso
 l'amministrazione   provinciale   di   Torino,   e'   stato   sospeso
 cautelativamente dal servizio, ma anticipatamente reintegrato a causa
 della "prevedibile lunga durata del procedimento penale"  pendente  a
 suo  carico  (deliberazioni 7 luglio 1980, n. 44, 21 ottobre 1980, n.
 90/773 e 23 dicembre 1980, n. 35 della Giunta provinciale di Torino).
   Dopo il trasferimento alla provincia di Pesaro (1 agosto 1984), con
 sentenza 21 marzo 1985 e' stato condannato dal  tribunale  di  Torino
 alla   pena   di   anni   due,   mesi   otto  e  giorni  quindici  ed
 all'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, per il reato di
 cui all'art.  317 c.p.: la sentenza e' stata confermata  dalla  Corte
 di  appello  di  Torino  e  dalla  Corte  di  cassazione, passando in
 giudicato il 5 luglio 1990.
   Il  presidente dell'amministrazione provinciale di Pesaro, con atto
 del 5 febbraio 1993, affermando nelle premesse che la  "notificazione
 di  tale  sentenza"  e'  stata  "effettuata  a mani del v. segretario
 generale di questa amministrazione in data 1 febbraio 1993",  gli  ha
 contestato i fatti penali, di non aver comunicato all'amministrazione
 il  relativo  procedimento,  la  condanna e l'affidamento in prova al
 servizio  sociale,  nonche'  di  aver  sottoposto  alla   firma   del
 Presidente  una  lettera  elogiativa, presumibilmente non predisposta
 dagli uffici competenti,  "tacendone  lo  scopo  di  utilizzarla  nel
 procedimento penale".
   Con  provvedimento  del 3 febbraio 1993 il Presidente lo ha sospeso
 cautelativamente dal servizio sino alla definizione del  procedimento
 disciplinare.
   Il   25   febbraio   1993   l'interessato  ha  inviato  le  proprie
 controdeduzioni, ma e' stato deferito alla Commissione di  disciplina
 con deliberazione di Giunta 2 marzo 1993, n. 233.
   Su  conforme  parere  espresso  il  6  maggio 1993 dalla suindicata
 commissione, la Giunta provinciale  di  Pesaro  con  deliberazione  8
 giugno  1993,  n.  679 gli ha inflitto la sanzione disciplinare della
 destituzione dal servizio con decorrenza 1 agosto  1993,  disponendo,
 nel contempo, di liquidargli il trattamento provvisorio di quiescenza
 con  effetto  dal 1 gennaio 1994, come previsto dall'art. 1 del d.-l.
 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14  novembre  1992,
 n. 438, tenendo conto di un'anzianita' utile di servizio di anni 38 e
 mesi  2,  determinata  con  esclusione  dei  periodi  di  sospensione
 cautelare dal 6 agosto 1980 al 31 dicembre 1980,  intervenuta  presso
 l'amministrazione  provinciale  di Torino e dal 6 febbraio 1993 al 31
 luglio 1993,  intervenuta  presso  l'amministrazione  provinciale  di
 Pesaro.
   Con  il ricorso in epigrafe indicato, il sig. Benedetti Torquato ha
 impugnato la deliberazione  n.  679/1993,  deducendo,  la  violazione
 dell'art.  9  della  legge  7 febbraio 1990, n. 19, dell'art. 110 del
 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, dell'art.  1  del  d.-l.  19  settembre
 1992,  n.  384,  degli artt. 36 e 97 della Cost., nonche' i motivi di
 eccesso di potere per illogicita', ingiustizia ed erroneita',  atteso
 che:
     il procedimento disciplinare, iniziato con la contestazione degli
 addebiti  del  5  febbraio  1993,  non  era  piu' proponibile essendo
 trascorso un periodo ben superiore ai 180  giorni  dal  passaggio  in
 giudicato    della   sentenza   di   condanna,   tenuto   conto   che
 l'amministrazione provinciale di Pesaro era a conoscenza del relativo
 procedimento sin dal 1985, allorche' la provincia di Torino invio' le
 deliberazioni di sospensione cautelare dal servizio;  in  ogni  caso,
 anche  ammesso  che  provincia  di  Pesaro non abbia avuto tempestiva
 notizia della definitiva sentenza  di  condanna,  tanto  e'  ad  essa
 imputabile,  essendo  suo  onere attivarsi, violandosi, altrimenti, i
 principi   di   imparzialita'   e    buon    andamento    dell'azione
 amministrativa;
     la sanzione inflitta e' illegittima anche perche' il procedimento
 disciplinare  si e' concluso oltre il termine perentorio di 90 giorni
 previsto dall'art. 9 della legge  n.  19/1990  e  dall'art.  110  del
 d.P.R.  n. 3/1957;
     la   decorrenza   del   trattamento   di   quiescenza   e'  stato
 illegittimamente fissato al  1  gennaio  1994,  dal  momento  che  la
 sospensione  prevista  dall'art.  1 del d.-l. n. 384/1992, convertito
 nella legge n. 438/1992, non puo' essere applicata a chi e' costretto
 a  lasciare  il  servizio  per  destituzione, violandosi, altrimenti,
 l'art. 36 Cost.;
     illegittimamente non sono stati considerati  utili  ai  fini  del
 trattamento  provvisorio  di  quiescenza  i  periodi  di  sospensione
 cautelare dal servizio, perche' quella disposta  dall'amministrazione
 provinciale  di  Torino e' stata revocata ed e', quindi, utile sia ai
 fini   giuridici    che    economici;    mentre    quella    disposta
 dall'amministrazione   provinciale   di  Pesaro  ha  evidente  natura
 cautelare, non sanzionatoria, tant'e' che la destituzione ha  effetto
 ex  nunc  e non e' possibile che, per lo stesso fatto, siano inflitte
 due sanzioni.
   La difesa della provincia di Pesaro, con l'atto di costituzione  in
 giudizio e successiva memoria - depositata, con l'adesione del legale
 del  ricorrente,  alla  pubblica  udienza  del  24 febbraio 1999 - ha
 chiesto che il ricorso sia respinto in quanto infondato, diffusamente
 controdeducendo ai singoli mezzi di gravame.
   Con memorie depositate il 30 maggio 1998 e  12  febbraio  1999,  il
 difensore del ricorrente ha insistito per l'accoglimento del ricorso,
 ulteriormente illustrando tesi e richieste.
   Questo  tribunale,  con  ordinanza  1  dicembre  1993,  n.  924, ha
 respinto l'istanza cautelare proposta ai sensi  dell'art.  21,  u.c.,
 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034; con sentenza 22 settembre 1998,
 n. 1053 ha disposto incombenti istruttori: tanto e' stato adempiuto.
                             D i r i t t o
   La  deliberazione  8 giugno 1993, n. 679, con cui l'amministrazione
 provinciale di Pesaro ed Urbino ha inflitto al ricorrente la sanzione
 disciplinare  della  destituzione   dal   servizio   a   seguito   di
 procedimento  disciplinare,  e'  stata impugnata per quattro distinti
 motivi:
     1) la violazione del termine di 180 giorni previsto dall'art.  9,
 secondo comma, della legge 7 febbraio 1990, n. 19, per  l'inizio  del
 procedimento disciplinare;
     2) la violazione del termine di 90 giorni per la sua conclusione,
 stabilito dalla stessa disposizione, nonche' dall'art. 110 del d.P.R.
 n. 3/57;
     3)  la  violazione  dell'art.  1  del d.-l. 19 settembre 1992, n.
 384, convertito nella legge 14 novembre  1992,  n.  438,  perche'  il
 termine  di  decorrenza del trattamento provvisorio di quiescenza non
 puo' essere fissato al 1 gennaio 1994, trattandosi di cessazione  dal
 servizio dovuto a destituzione;
     4)  l'illegittimita'  dell'esclusione  dal servizio utile ai fini
 del trattamento di quiescenza dei periodi di sospensione cautelare.
   Va premesso che  il  terzo  ed  il  quarto  motivo  comportano,  se
 fondati,  l'annullamento  solo  delle  rispettive statuizioni, mentre
 l'eventuale accoglimento di uno dei primi due comporta l'annullamento
 dell'intero  provvedimento,  con  conseguente  carenza  di  interesse
 all'esame degli altri due.
   Orbene,  ad  avviso del collegio, la dedotta violazione del termine
 entro il quale il procedimento disciplinare doveva  essere  iniziato,
 risulta infondato.
   Il secondo comma dell'art. 9 della legge n. 19/1990 fa decorrere il
 termine  di  180 giorni "dalla data in cui l'amministrazione ha avuto
 notizia della sentenza irrevocabile di condanna": non e'  sufficiente
 la  conoscenza della condanna, ma necessita anche la conoscenza della
 sua irrevocabilita', cioe' del passaggio in giudicato.
   Non  e'  contestato  che l'amministrazione provinciale di Pesaro ha
 avuto conoscenza della sentenza di condanna e del  suo  passaggio  in
 giudicato il 1 febbraio 1993, ma e' censurato il comportamento inerte
 della stessa amministrazione, che certamente non ignorava l'esistenza
 del procedimento penale.
   Premette  il  collegio  che l'art. 9, secondo comma, della legge n.
 19/1990, non  pone  a  carico  dell'amministrazione  alcun  onere  di
 attivazione   per   acquisire  tempestivamente  la  conoscenza  della
 irrevocabilita' della sentenza di condanna.
   Tuttavia, ammettendo che un siffatto onere  discenda  dal  generale
 principio  di  buona  amministrazione,  cui  fa riferimento l'art. 97
 della Cost., la sua violazione non e' ravvisabile per il  solo  fatto
 oggettivo  dell'inizio del procedimento disciplinare oltre il termine
 di  180  gg.  dal  giudicato,  ma  il  ritardo  deve   essere   anche
 ingiustificato,  circostanza  da  escludere nella fattispecie, atteso
 che la  sentenza  di  condanna  riguarda  fatti  avvenuti  quando  il
 ricorrente  era  in  servizio  presso altra amministrazione, cioe' la
 provincia di Torino, e il giudicato si e' formato molto tempo dopo il
 suo trasferimento alla provincia di Pesaro.
   In ogni caso, anche il ricorrente, se interessato ad una  sollecita
 definizione  della  propria  posizione,  avvalendosi  della  facolta'
 prevista dall'art. 97, terzo comma,  del  d.P.R.  n.  3/1957,  poteva
 tempestivamente    inviare    copia   della   sentenza   irrevocabile
 all'amministrazione provinciale di Pesaro.
   In  ordine  al  secondo  mezzo  di  gravame,  va  premesso  che  la
 destituzione  e'  stata  disposta con deliberazione 8 giugno 1993, n.
 679, mentre la contestazione degli addebiti e' stata effettuata il  5
 febbraio 1993.
   La  giurisprudenza  amministrativa e', ormai, decisamente orientata
 per la perentorieta' del temine di  90  gg.  stabilito  dall'art.  9,
 secondo  comma,  della  legge  n.  19/1990,  (Cons.  St.,  Ad. Pl., 3
 settembre 1997, n. 16).
   Da questa conclusione interpretativa il collegio non ha  motivo  di
 discostarsi  ed il ricorso dovrebbe essere accolto: tuttavia, poiche'
 il termine di che trattasi non consente all'amministrazione di  porre
 in   essere   gli   atti   endoprocedimentali  previsti  dalle  altre
 disposizioni del d.P.R. n. 3/1957, il collegio,  come  gia'  disposto
 dalla  richiamata giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Ad. Pl. 3
 settembre 1997, n. 16, nonche' Cons. St., sez. VI, 14 settembre 1998,
 n. 1244),  ritiene  di  dover  sollevare  d'ufficio,  in  quanto  non
 manifestamente  infondata,  la  questione  di  costituzionalita'  del
 secondo comma dell'art. 9 della legge n. 19/1990 nella parte  in  cui
 assegna   il  termine  di  novanta  giorni  per  la  conclusione  del
 procedimento disciplinare, attesa la sua evidente rilevanza  ai  fini
 della decisione del ricorso.
   Appare,  infatti, manifestamente illogico, in relazione all'art.  3
 della Cost., la scelta del legislatore di fissare  un  termine  cosi'
 contenuto   per  la  conclusione  del  procedimento,  abrogando,  per
 incompatibilita', la precedente normativa a  difesa  della  posizione
 dell'incolpato   e   diretta   all'accertamento   ed  alla  ponderata
 valutazione dei fatti  sulla  base  di  un  articolato  procedimento,
 caratterizzato,  appunto,  dalle  fasi  endoprocedimentali  di cui al
 d.P.R. n. 3/1957.
   Inoltre,  appare  violato  il  principio  di  buon andamento di cui
 all'art.  97 della Cost., poiche' la brevita' del  termine  puo',  in
 concreto,  non  consentire  l'adeguata  valutazione  dei fatti in una
 materia tanto  delicata,  tenuto  conto  che  l'amministrazione  deve
 necessariamente  contemperare  le  proprie  esigenze con la posizione
 dell'incolpato, la  cui  prosecuzione  dell'attivita'  lavorativa  e'
 tutelata dall'art.  4 della Costituzione.
   Va  disposta,  pertanto,  la  trasmissione  degli  atti  alla Corte
 costituzionale, con conseguente sospensione del presente giudizio  ai
 sensi  dell'art.    23  della  legge  11  marzo  1953,  n. 87, per la
 pronuncia sulla legittimita' costituzionale della norma suindicata.