LA CORTE DI ASSISE Letti gli atti del procedimento penale a carico di Baratto Antonio, nato a Napoli il 24 luglio 1957, imputato come in atti (n. 54 Corte Assise; n. 6950/R/95, p.m.; n. 3182/95-B, g.i.p.) Premesso che: a) contro il Baratto veniva emessa, in data 28 marzo 1995, ordinanza di custodia cautelare in carcere dal g.i.p. del tribunale di Napoli in ordine al delitto di omicidio di Semerari Aldo e reato connesso, avvenuti in Poggiomarino, "attorno alla fine del mese di marzo 1982" (cfr. capi v1 e z1 dell'ordinanza coercitiva: all. n. 1); b) il Baratto veniva tratto in arresto in territorio spagnolo in data 1 agosto 1997; c) Il tribunale del riesame di Napoli, sul presupposto che all'imputato non risultavano contestate ipotesi di reato rientranti nel novero di quelle di cui all'art. 51 comma 3-bis, c.p.p., ebbe ad affermare che il g.i.p. del tribunale di Napoli non era competente ad emettere la misura cautelare, non essendo lo stesso correttamente individuato ex art. 328, 1-bis, c.p.p. Piu' specificamente, con provvedimento reso in data 14 gennaio 1997, il tribunale di Napoli, sezione riesame provvedimenti restrittivi della liberta' personale e sequestri, in parziale accoglimento dell'appello proposto in data 24 settembre 1996 da Baratto Antonio, avverso l'ordinanza emessa in data 24 settembre 1996 da questa Corte, ebbe a dichiarare l'incompetenza funzionale e per territorio del g.i.p. del tribunale di Napoli, individuato a norma dell'art. 328, comma 1-bis, c.p.p., ad emettere l'ordinanza di custodia cautelare in data 28 marzo 1995 a carico del predetto Baratto, di guisa che gli atti vennero trasmessi a questa Corte ed al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli, sul presupposto della competenza di questa Corte procedente ad emettere misura cautelare a carico del medesimo Baratto (e non del tribunale di Torre Annunziata che sarebbe stato competente, secondo il predetto giudice del riesame, all'atto della richiesta della misura in parola). Il tribunale - nel decidere nel senso che "il giudice (...) che accerti l'incompetenza funzionale del g.i.p. individuato ex art. 328, comma 1-bis c.p.p., ad emettere ordinanza di custodia cautelare a carico di un imputato per titoli diversi da quelli indicati dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., non deve dichiarare l'immediata inefficacia della misura cautelare, atteso che l'ordinamento riconosce a detta misura anche in tale ipotesi, la limitata efficacia di cui all'art. 27 c.p.p." - si poneva il problema se gli atti dovessero essere trasmessi, per l'ulteriore corso, al g.i.p. del tribunale di Torre Annunziata, ritenuto funzionalmente - oltre che territorialmente - competente ad emettere la misura cautelare nella pregressa fase delle indagini preliminari, ovvero a questa Corte, "in ogni caso competente funzionalmente e per territorio alla attuale celebrazione del processo, approdato alla fase dibattimentale e, quindi, giudice ora competente a decidere anche sull'eventuale nuova richiesta cautelare del pubblico ministero entro il termine di venti giorni indicato nell'ultima parte dell'art. 27 c.p.p."; il tribunale del riesame optava per tale seconda soluzione, sul presupposto che "gli atti andrebbero trasmessi al tribunale di Torre Annunziata soltanto nell'ipotesi di contestuale declaratoria di nullita' dell'udienza preliminare celebrata dal g.i.p. individuato ex art. 328, comma 1-bis c.p.p.; ipotesi che - si aggiungeva - nel caso di specie non sussiste, non essendo stata devoluta (ne' poteva esserlo) alla cognizione (di esso tribunale) anche la violazione delle norme concernenti la competenza del g.i.p. che ha celebrato l'udienza preliminare a carico" del Baratto. Alla stregua di siffatte argomentazioni, il tribunale ordinava trasmettersi - per come gia' sopra si ricordava - gli atti sia a questa Corte che al procuratore della Repubblica di Napoli (cfr. provvedimento di cui all'allegato n. 2). d) in data 28 gennaio 1997, questa Corte, su richiesta del p.m. della Procura di Napoli, emetteva - ai sensi dell'art. 27 c.p.p. - ordinanza coercitiva nei confronti del Baratto (cfr. all. n. 3). O s s e r v a Nell'emettere l'ordinanza coercitiva appena ricordata, questa Corte - come inequivocabilmente si evince dal contenuto del provvedimento - ha debitamente proceduto ad un approfondito esame del fascicolo del p.m. e, quindi, di tutti gli atti di indagine preliminare, procedendo ad un'attenta ed approfondita disamina di merito degli indizi di colpevolezza emersi a carico del Baratto nel corso delle indagini preliminari con riferimento all'omicidio di Semerari Aldo, analizzando compiutamente le emergenze procedimentali, con particolare riferimento alle dichiarazioni rese da numerosi collaboratori di giustizia (in particolare: Ammaturo Umberto, Mercurio Pasquale, Mercurio Antonio). Orbene, appare incontestabile che, in considerazione di siffatta circostanza, imputabile alla peculiare situazione processuale richiamata in premessa, i giudici di questa Corte si vengono a trovare nella medesima posizione del g.i.p. che avendo applicato una misura cautelare nei confronti dell'indagato, non puo' partecipare al dibattimento nei confronti dello stesso, ai sensi della sentenza 15 settembre 1995, n. 432. In detta pronuncia, come e' noto, la Corte costituzionale ha posto l'accento sul fatto che le valutazioni che il g.i.p. deve compiere allorquando disponga una misura cautelare comportano la formulazione di un giudizio non di mera legittimita', bensi' di merito - sia pure prognostico ed allo stato degli atti - sulla colpevolezza dell'imputato, con la conseguenza che quando lo stesso giudice venga chiamato a partecipare al dibattimento contro lo stesso imputato per il medesimo fatto, deve ritenersi sussistente il medesimo pregiudizio che l'art. 34 c.p.p. tende ad impedire, ossia che la valutazione conclusiva sulla responsabilita' dell'imputato sia - o possa apparire - condizionata dalla c.d. forza di prevenzione e cioe' da quella naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso ovvero un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento. Orbene, appare evidente - come e' stato evidenziato dalla migliore dottrina - che alla radice della pronuncia in parola vi sia anche, e soprattutto, la convinzione che presumibile fonte del suddetto "pregiudizio" sia costituita dalla necessaria visione, da parte del giudice emittente la misura cautelare, di tutti gli atti di indagine preliminare, cioe' di quegli atti che il giudice del dibattimento non puo' e non deve conoscere (c.d. principio della verginita' conoscitiva del giudice, cardine del processo accusatorio non rientrando gran parte degli stessi nel novero di quelli indicati dall'art. 431 c.p.p. come quelli destinati al fascicolo per il dibattimento. In definitiva, il giudice (delle indagini preliminari come quello del riesame: a tale ultimo riguardo, cfr. sentenza della Corte costituzionale 1 ottobre 1997, n. 306) che procede alla verifica degli atti procedimentali legittimanti la richiesta di ordinanza coercitiva del p.m. procede ad una valutazione contenutistica della tesi accusatoria obiettivamente idonea a vulnerare la sua imparzialita' e indipendenza di giudizio. Non sfugge alla Corte che la Corte costituzionale, in altre pronunce, ha tentato di delimitare il campo delle incompatibilita', che altrimenti rischierebbe di aumentare a dismisura; in particolare, sembra emergere - anche alla stregua dei rilievi svolti da autorevole dottrina - l'affermazione del principio secondo cui l'incompatibilita' puo' avere rilevanza esclusivamente in relazione a fasi diverse di un medesimo procedimento. Tuttavia, un'attenta lettura di siffatte pronunce induce a ritenere che il principio appena enucleato va inteso nel senso che non puo' certamente ipotizzarsi che ogni decisione relativa alla liberta' personale dell'imputato vulneri, di per se', l'indipendenza di giudizio del giudice (altrimenti sarebbe necessaria l'istituzione di un giudice della liberta', separato da quello della cognizione, soluzione, peraltro, da taluno auspicata de jure condendo), ma che detta idoneita' a inficiare detta indipendenza (o anche solo l'apparenza di essa) appartenga ad ogni valutazione contenutistica e completa dell'ipotesi accusatoria che passi attraverso l'esame degli atti di indagine preliminare, in guisa da incidere sulla garanzia di un giudizio che deve essere fondato sugli elementi di valutazione e di prova assunti, nel contraddittorio delle parti, in dibattimento e non su conoscenze derivanti da atti diversi da quelli che fanno parte o possono entrare a far parte del bagaglio conoscitivo del giudice dibattimentale. Ad esempio, con la sentenza 24 ottobre 1995, n. 448, la Corte ha dichiarato non fondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 34 c.p.p., sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 76 Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice di appello che ha disatteso la richiesta di pena congiuntamente proposta, a norma dell'art. 599, comma 4 c.p.p., dall'imputato e dal p.m., non possa partecipare alla successiva decisione di merito sull'impugnazione. In tale pronuncia, la Corte costituzionale muove dal presupposto che la decisione sulla richiesta delle parti costituisce un giudizio eventuale ed anticipato, formulato in base alle prove sulle quali il giudice, investito del giudizio di merito, dovra' formare il proprio convincimento, espressamente e significativamente rilevando che non si e' in presenza, in tale ipotesi, come nel caso dell'accordo delle parti sulla pena nel giudizio di primo grado, di un'anticipazione di giudizio "effettuata sulla base della consultazione e della valutazione degli atti del fascicolo del pubbilco ministero". Ancora, nella sentenza 1 aprile 1997, n. 306 (con la quale e' stata dichiarata inammissibile la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 34 c.p.p., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio per l'applicazione di una misura di prevenzione personale il giudice che, come componente del tribunale del riesame, si sia pronunciato sull'ordinanza che dispone una misura cautelare, quando i presupposti sui quali si fonda la richiesta della misura di prevenzione siano gli stessi che sono stati oggetto di valutazione nella sede del riesame), la Corte ha ribadito che la ratio dell'istituto dell'incompatibilita' e' quello di preservare l'autonomia e la distinzione della funzione giudicante, in evidente relazione all'esigenza di garanzia dell'imparzialita' di quest'ultima, rispetto ad attivita' compiute in gradi e fasi anteriori del processo, puntualizzando, comunque, la necessita' obiettiva "del rispetto della logica del processo penale, delle sue scanzioni e delle differenze di ruoli che in esso i diversi soggetti sono chiamati a svolgere, infine argomentando che "il giudizio non si deve confondere, attraverso una sorta di unione personale, con altre attivita' che attengono al processo e che danno una loro diversa ragion d'essere e il cui compimento potrebbe costituire un pregiudizio rispetto al giudizio medesimo". Per concludere, tenuti presenti i principi enucleati dalla Corte costituzionale nella pronuncia citata (ed in altre analoghe relative al medesimo oggetto), puo' e deve ritenersi ammissibile la valutazione, incidenter tantum, da parte del giudice dibattimentale, dello status libertatis dell'imputato, con riferimento alla permanenza ovvero al superamento degli indizi di colpevolezza e/o delle esigenze cautelari poste a fondamento dell'ordinanza coercitiva, alla stregua delle acquisizioni probatorie alla stessa successive o di qualsivoglia mutamento fattuale che incida sui menzionati elementi, mentre non puo' non dubitarsi della compatibilita' alla funzione di giudice dibattimentale del giudice che - nella fattispecie, ai sensi dell'art. 27 c.p.p. - abbia (nella fattispecie, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, essendo stata la posizione del Baratto, in quanto detenuto in Spagna, stralciata dal procedimento penale a carico di Adinolfi Umberto ed altri) emesso l'ordinanza genetica della custodia cautelare, previo debito esame del fascicolo del p.m. e, con esso, di tutti gli elementi raccolti nella fase delle indagini preliminari dei quali lo stesso non dovrebbe avere legale conoscenza. Va evidenziato che i magistrati togati di questa Corte, sul presupposto della assoluta assimilazione della situazione nella specie concretizzatasi con quella del g.i.p. che abbia applicato misura cautelare nei confronti dell'imputato, avevano chiesto di essere autorizzati ad astenersi dalla cognizione del procedimento in parola, ma il Presidente del tribunale ha respinto detta istanza (cfr. allegati nn. 4 e 5: istanza e relativo provvedimento presidenziale). Pertanto, non puo' che dubitarsi della legittimita' dell'art. 34 c.p.p. - in riferimento al principio del giusto processo desumibile dagli artt. 3, primo comma, e 24 secondo comma, della Costituzione e, comunque, per assimilazione alla situazione del g.i.p. che ha emesso misura cautelare nei confronti dell'imputato poi tratto a giudizio (sentenza n. 432/1995 cit.) - nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al dibattimento il giudice che, negli atti preliminari dello stesso, abbia (nella fattispecie ai sensi dell'art. 27 c.p.p.) applicato misura cautelare nei confronti dell'imputato, previo debito esame del fascicolo del p.m. e, con esso, di tutti gli elementi raccolti nella fase delle indagini preliminari dei quali lo stesso non dovrebbe avere legale conoscenza.