ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  22,  terzo
 comma,  della  legge  28  febbraio  1985,  n. 47 (Norme in materia di
 controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni,  recupero  e
 sanatoria  delle  opere edilizie), promosso con ordinanza emessa il 7
 maggio 1997 dal pretore di Trani, sezione distaccata di  Andria,  nel
 procedimento penale a carico di Rendine Alessandro, iscritta al n. 18
 del  registro  ordinanze  1998  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 27 gennaio 1999 il giudice
 relatore Riccardo Chieppa.
   Ritenuto che il pretore di Trani, sezione distaccata di Andria, nel
 corso di un procedimento penale a carico di un soggetto  imputato  di
 violazione  della normativa urbanistica e di altri reati concorrenti,
 concernenti  la  violazione  della  normativa  sulle  costruzioni  in
 cemento armato (artt. 1, 2 e 13 della legge 5 novembre 1971, n. 1086)
 e  quella  sulle  costruzioni  in  zona sismica (artt. 3, 17, 18 e 20
 della legge 2 febbraio 1974, n. 64), ha sollevato, con ordinanza  del
 7  maggio  1997  (r.o.  n.  18  del  1998), questione di legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento  all'art.  3,  primo  comma,   della
 Costituzione,  dell'art.    22,  terzo comma, della legge 28 febbraio
 1985,  n.  47  (Norme  in   materia   di   controllo   dell'attivita'
 urbanistico-edilizia,  sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle opere
 edilizie), nella parte in cui  non  prevede  che  il  rilascio  della
 concessione  in  sanatoria  estingua, oltre alle violazioni di natura
 strettamente urbanistica, anche i reati sopra citati;
     che, ad avviso del giudice a  quo  tale  esclusione  dell'effetto
 estintivo  del  reato  attribuito alla concessione in sanatoria dalla
 norma impugnata, con riferimento a reati, quali quelli indicati,  che
 sono  puniti  in  misura  assai  piu' lieve di quella prevista per le
 costruzioni abusive, non  sarebbe  adeguatamente  giustificata  dalla
 diversita'   degli   interessi   da  tutelare  sottesi  alle  diverse
 normative, e si porrebbe, pertanto, in contrasto con l'art. 3,  primo
 comma,  della  Costituzione, in quanto la declaratoria di non doversi
 procedere sotto il profilo penale in relazione ai  reati  di  cui  si
 tratta non precluderebbe alle autorita' preposte alla vigilanza sulle
 costruzioni  eseguite  in  zona sismica e sulle opere in conglomerato
 cementizio,  ai sensi degli artt. 26 della legge n. 64 del 1974, e 18
 della legge n. 1086 del 1971, di operare  comunque  i  controlli  cui
 sono deputate;
     che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che
 ha concluso per la manifesta infondatezza della questione  sollevata,
 osservando che il rilascio di una concessione in sanatoria in materia
 urbanistica  non  puo'  elidere  ex  post  il disvalore giuridico che
 deriva dalla violazione delle altre disposizioni  richiamate,  atteso
 che  esse  tutelano oggettivita' giuridiche differenti e tra loro non
 assimilabili;
     che, sempre ad  avviso  dell'interveniente,  non  potrebbe  farsi
 discendere   la   illegittimita'   della   mancata   estensione  alle
 fattispecie  in  esame  del  meccanismo  di  estinzione  previsto  in
 relazione  alle  violazioni  in  materia  urbanistica dalla esiguita'
 della risposta sanzionatoria nei casi in questione, la quale  dipende
 esclusivamente  dalle  fattispecie  stesse  come  reati  di  pericolo
 astratto, in cui la sfera di intervento penale  e'  considerevolmente
 anticipata  in  considerazione  della  priorita'  del  bene tutelato.
 Infine, si osserva nella memoria, la comunicazione della sentenza  di
 condanna  all'ufficio tecnico della Regione ex art. 26 della legge n.
 64 del 1974, ovvero alla Prefettura ex art. 18 della  legge  n.  1086
 del  1971, non elide affatto il disvalore penale delle condotte poste
 in essere.
   Considerato    che  questa  Corte  ha  gia'  affermato  la   natura
 particolare  della  estinzione  dei  reati  urbanistici  prevista dal
 combinato disposto degli articoli 13 e 22  della  legge  28  febbraio
 1985 n.47, risolventesi in un accertamento dell'inesistenza del danno
 urbanistico,  e  cioe'  di  mancanza  ex  tunc  dell'antigiuridicita'
 sostanziale del fatto reato urbanistico (sentenza n. 370 del 1988);
     che la fattispecie penale estintiva di cui al capo I della  legge
 n.  47  del 1985 e' nettamente diversa dalla fattispecie estintiva di
 cui al capo IV della stessa legge (sentenza n. 370 del 1988);
     che la estinzione prevista dall'art. 38 della  legge  n.  47  del
 1985  non si accompagna necessariamente al rilascio della concessione
 in sanatoria ed e' di carattere del tutto eccezionale e limitata  nel
 tempo  di  commissione degli illeciti, allo scopo di sanare posizioni
 pregresse e risolvere, - in relazione anche a ragioni  contingenti  e
 straordinarie  di  natura  finanziaria  - (sentenza n. 427 del 1995),
 situazioni diffuse di abusivismo addebitabili anche a cronica inerzia
 o insufficienza dell'azione comunale di  programmazione  e  controllo
 dell'attivita' urbanistica ed edilizia;
     che  nel  capo  IV (condono-sanatoria) della predetta legge n. 47
 del 1985 e nelle corrispondenti disposizioni delle leggi 23  dicembre
 1994, n. 724 (art. 39, comma 17) e 23 dicembre 1996, n. 662 (art.  2,
 comma  50)  vi  e'  la  previsione ed una espressa considerazione dei
 profili  di  idoneita'  statica  e  di  adeguamento  antisismico  con
 richiamo  alle norme della legge 5 novembre 1971, n.1086 e alla legge
 2 febbraio 1974, n. 64 (articolo 35);
     che il combinato disposto degli articoli 13 e 22 della  legge  n.
 47 del 1985 e' disposizione di regime, destinata ad operare anche nel
 futuro  ed  in  via  permanente allo scopo di regolarizzare sul piano
 esclusivamente  urbanistico-edilizio  situazioni   di   irregolarita'
 meramente formale (di mancanza di titolo concessorio o autorizzatorio
 edilizio)   di  opere  compiute  ed  eseguite  in  persistente  piena
 conformita' con gli strumenti  urbanistici  approvati  o  in  itinere
 senza  alcuna  considerazione con i differenti profili attinenti alla
 sicurezza statica e alla prevenzione dei rischi sismici;
     che il legislatore gode di una scelta ampiamente discrezionale in
 ordine  alla  ampiezza  di  particolari  estinzioni   di   reato   in
 conseguenza  di  sanatorie  amministrative,  tanto piu' se riguardano
 reati  semplicemente  connessi  all'attivita'  da   sanare   (profilo
 urbanistico);
     che   appare  sicuramente  non  arbitraria  e  non  assolutamente
 irragionevole la scelta del legislatore di  limitare  la  particolare
 ipotesi  di  estinzione dei reati, a seguito della sanatoria mediante
 accertamento di conformita', ai soli reati contravvenzionali previsti
 dalle norme urbanistiche vigenti (art. 13 e 22 della legge n. 47  del
 1985);
     che  tale scelta e' stata condizionata dalle particolari esigenze
 di sicurezza generale, volte ad evitare che, in via permanente  anche
 per  il  futuro,  si  possa fare a meno delle specifiche procedure (e
 relativa tutela penale) attinenti alla idoneita' statica per le opere
 in cemento armato o a  struttura  metallica  e  alle  opere  in  zona
 sismica,  semplicemente  ricorrendo  all'accertamento  di conformita'
 avente valenza esclusivamente urbanistica;
     che, del resto, nel sistema penale non resta in radice esclusa la
 possibilita' per i soggetti interessati  di  avvalersi  dei  generali
 strumenti  di  composizione  dell'azione  penale,  ricorrendo  per le
 contravvenzioni concorrenti - ove  ne  sussistano  gli  estremi  e  a
 seconda delle diverse ipotesi - alla separata oblazione (articoli 162
 e  162-bis  del  codice  penale), previa eliminazione degli eventuali
 elementi impeditivi  (conseguenze  dannose  o  pericolose  del  reato
 eliminabili da parte del contravventore);
     che,  alla  stregua  delle anzidette argomentazioni, la questione
 deve essere dichiarata manifestamente infondata sotto ogni profilo.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87,  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi avanti
 alla Corte costituzionale.