ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 14 e  105  del
 regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038 (Regolamento di procedura per i
 giudizi  innanzi alla Corte dei conti), promossi con cinque ordinanze
 emesse l'8 ottobre 1997, il 17 aprile, il 6 marzo e, quanto a due  di
 esse,   il   3   aprile   1998,   dalla   Corte  dei  conti,  Sezione
 giurisdizionale per la Regione Siciliana, rispettivamente iscritte ai
 nn. 367, 528, 656, 732 e 854 del registro ordinanze 1998 e pubblicate
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica nn. 22, 29, 39, 41 e 48,
 prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 24 febbraio 1999 il giudice
 relatore Massimo Vari.
   Ritenuto che la Sezione giurisdizionale della Corte dei  conti  per
 la  Regione  siciliana,  giudicando  in sede di rinvio da parte delle
 Sezioni centrali di appello, ha sollevato - con  piu'  ordinanze,  di
 analogo  contenuto,  emesse  in  data 8 ottobre 1997 (r.o. n. 367 del
 1998), 6 marzo 1998 (r.o. n. 656 del 1998), 3 aprile 1998  (r.o.  nn.
 732  ed  854  del  1998)  e  17  aprile 1998 (r.o. n. 528 del 1998) -
 questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  105  del  regio
 decreto  15  agosto  1933,  n.  1038  (Regolamento di procedura per i
 giudizi innanzi alla Corte dei conti);
     che, secondo talune delle ordinanze (r.o. nn. 367, 528, 656 e 732
 del 1998), il predetto art. 105, giusta l'interpretazione accolta dal
 c.d. "diritto vivente" - nel senso che la pronunzia  del  giudice  di
 appello  puo'  essere  limitata  alle  questioni pregiudiziali oppure
 investire in tutto o in parte il merito, a prescindere dall'esistenza
 di una questione pregiudiziale - si porrebbe in contrasto con  l'art.
 101,  secondo comma, della Costituzione, che garantisce la liberta' e
 l'indipendenza del giudice vincolando la sua attivita' soltanto  alla
 legge, in quanto la disposizione denunciata, nella interpretazione di
 cui  sopra,  consentendo  al giudice d'appello di trattare anche solo
 una parte del merito e, quindi, di rinviare gli atti  al  giudice  di
 primo  grado  per  la  definizione  del  giudizio,  determinerebbe un
 assoggettamento di quest'ultimo  alle  statuizioni  del  primo  tanto
 marcato  da  limitare  la  formazione  ed  espressione del suo libero
 convincimento per la definizione della causa;
     che, secondo l'ordinanza di cui al r.o. n. 732 del 1998,  sarebbe
 violato,   altresi',  il  principio  di  ragionevolezza,  poiche'  il
 riconoscimento in capo al giudice di appello del potere di  scegliere
 discrezionalmente   i  casi  in  cui  non  definire  la  controversia
 esporrebbe al rischio sia di un'infinita duplicazione del primo e del
 secondo grado di giudizio, sia dell'esame della  stessa  controversia
 piu' volte da parte di giudici dello stesso grado;
     che, inoltre, l'ordinanza di cui al r.o. n. 854 del 1998 denuncia
 la  disposizione  in  parola,  per  contrasto con l'art. 101, secondo
 comma, della Costituzione, sotto  profili  analoghi  a  quelli  sopra
 accennati,  con  specifico  riferimento  alla  sua  applicazione  nel
 contenzioso   pensionistico,    avuto    riguardo    alla    costante
 interpretazione  delle  Sezioni  centrali  di appello della Corte dei
 conti, secondo la quale la cognizione delle  Sezioni  stesse  sarebbe
 limitata  "al giudizio rescindente rimettendo la decisione nel merito
 al giudice di primo grado";
     che l'ordinanza  di  cui  al  r.o.  n.  656  del  1998  denuncia,
 altresi', in via subordinata, l'art. 14 del medesimo regio decreto n.
 1038 del 1933, e cioe' la disposizione che disciplina il c.d. "potere
 sindacatorio"   del   collegio   giudicante,   assumendo   che   tale
 disposizione si porrebbe in contrasto con gli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione,   nella   parte   in   cui  comporterebbe,  secondo  la
 consolidata giurisprudenza della Corte dei conti,  l'attribuzione  al
 giudice  di  una  potesta'  di  ricerca  autonoma e piena delle fonti
 materiali di prova, e non solo di integrazione degli elementi offerti
 dall'attore (e cioe' dal procuratore regionale);
     che, a tal proposito, il rimettente - nel far presente  che,  nel
 caso  al  suo  esame,  la Sezione centrale di appello ha annullato la
 sentenza di primo grado, avendo rilevato "l'assenza di  soddisfacenti
 elementi   di   prova   dei  fatti  a  fondamento  della  domanda"  e
 "condizionando la definizione del giudizio all'esperimento dei dovuti
 accertamenti  istruttori"  -  sostiene  che   la   sopra   menzionata
 giurisprudenza,   superando   il  diverso  orientamento  espresso  in
 passato, ha attribuito alla c.d.   sindacatorieta'  portata  tale  da
 consentire  al  giudice  di  determinare  autonomamente l'oggetto del
 giudizio,  individuare  i  soggetti  responsabili  ed  acquisire  gli
 elementi di prova a sostegno della domanda;
     che,   ad   avviso   del  giudice  a  quo,  tale  interpretazione
 consolidata darebbe luogo ad una  rilevante  modifica  della  realta'
 processuale,  in  contrasto  con  il  principio  di  imparzialita' ed
 indipendenza del giudice, oltre che con il principio di tutela  delle
 parti,  con violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, anche a
 causa  dell'ingiustificata  posizione   di   privilegio   processuale
 riconosciuta  al  P.M.,  tale  da esonerarlo dall'onere di provare la
 domanda;
     che nei giudizi di cui al r.o. nn. 367, 528, 656 e 732  del  1998
 e'   intervenuto   il   Presidente   del   Consiglio   dei  Ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
 concluso per l'infondatezza delle questioni.
   Considerato  che  i  giudizi,  attenendo  a  questioni  analoghe  o
 connesse, possono essere  riuniti  per  essere  decisi  con  un'unica
 pronunzia;
     che  la  questione  concernente  l'art.  105 del regio decreto 15
 agosto 1933, n. 1038, e' da reputare manifestamente inammissibile, in
 quanto detta disposizione - nel prevedere che il giudice  di  appello
 possa  limitarsi  a  conoscere  delle  questioni pregiudiziali ovvero
 estendere al merito il suo giudizio, quando su  quest'ultimo  si  sia
 pronunziata la sentenza di primo grado - definisce, come e' evidente,
 l'ambito  di  cognizione  affidato  al  medesimo  giudice,  trovando,
 percio', in detta sede la sua applicazione;
     che, per contro, come questa Corte ha gia' affermato, per potersi
 ravvisare il requisito della rilevanza in  concreto  della  questione
 proposta,  e'  necessario  che la norma impugnata sia applicabile nel
 giudizio a quo, e non, come nella specie,  in  una  fase  processuale
 precedente;
     che,  a  riprova  di  cio',  sta  la circostanza che la decisione
 assunta in quest'ultima fase non sarebbe certamente  resa  inefficace
 da  una  eventuale  pronunzia di incostituzionalita' riguardante, nei
 termini sollecitati dai rimettenti, il predetto art. 105;
     che, a ritenere il contrario, si consentirebbe al giudice  a  quo
 di  avvalersi  del  giudizio di costituzionalita' quale strumento per
 pervenire  alla  caducazione  di  una  decisione  cui   non   intende
 adeguarsi,  utilizzando, in definitiva, il sindacato incidentale come
 un surrettizio mezzo di impugnazione (da ultimo, sentenza n. 375  del
 1996);
     che,  del  pari,  manifestamente  inammissibile va considerata la
 questione di costituzionalita' dell'art.  14  del  regio  decreto  n.
 1038  del 1933, per difetto di motivazione in punto di rilevanza, non
 avendo il rimettente chiarito quale sia, nella fattispecie, l'ipotesi
 applicativa  di  tale  disposizione,  tra  quelle   reputate   contra
 Constitutionem  alla  quale  egli  e'  necessariamente  tenuto  a far
 ricorso; e cio' tanto piu'  che  l'esigenza  di  una  interpretazione
 esorbitante,  tale,  cioe',  da  postulare  un  esercizio  di  poteri
 istruttori con l'ampiezza di modalita'  censurate  dall'ordinanza  di
 rimessione,  non  sembra  in  alcun  modo  imposta  dalla sentenza di
 rinvio, al di la', come emerge anche dall'ordinanza  stessa,  di  una
 generica  prospettazione della necessita' dell'esperimento dei dovuti
 accertamenti istruttori.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.