ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale delle leggi della Regione
 Liguria,  riapprovata  il  30  settembre  1997,  recante  "Norme  per
 l'applicazione delle deroghe di cui all'art. 9 della direttiva CEE n.
 409/1979",  della  Regione  Umbria,  riapprovata il 17 novembre 1997,
 recante  "Disciplina  delle  deroghe  previste  dall'art.   9   della
 direttiva  CEE n. 409/1979 concernente la conservazione degli uccelli
 selvatici" e della Regione  Veneto,  riapprovata  il  5  marzo  1998,
 recante "Applicazione del regime di deroga previsto dall'art. 9 della
 direttiva  CEE  n. 409/1979", promossi con ricorsi del Presidente del
 Consiglio dei Ministri, notificati il 21 ottobre 1997, il 5  dicembre
 1997  e  il  25  marzo  1998, depositati in cancelleria il 30 ottobre
 1997, il 15 dicembre 1997 e il 31 marzo 1998, ed iscritti ai nn. 68 e
 78 del registro ricorsi 1997 e n. 22 del registro ricorsi 1998.
   Visti gli atti di costituzione delle Regioni Umbria e Veneto;
   Udito  nella  udienza  pubblica  del  9  dicembre  1998  il giudice
 relatore Fernanda Contri;
   Uditi l'avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri, per il ricorrente,
 e gli avvocati  Maurizio  Pedetta  per  la  Regione  Umbria  e  Ivone
 Cacciavillani e Luigi Manzi per la Regione Veneto.
                           Ritenuto in fatto
   1.   -   Con  ricorso  regolarmente  notificato  e  depositato,  il
 Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato in via  principale
 - lamentando la violazione dell'art. 18 della legge 11 febbraio 1992,
 n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per
 il  prelievo  venatorio),  in  relazione  all'art.  9 della direttiva
 79/409/CEE concernente la conservazione  degli  uccelli  selvatici  -
 questione  di  legittimita' costituzionale della delibera legislativa
 "Norme per l'applicazione delle  deroghe  di  cui  all'art.  9  della
 direttiva  CEE  n.  409/1979" approvata dal Consiglio regionale della
 Liguria nella seduta del 5 agosto 1997, rinviata dal Governo con atto
 del 5 settembre 1997 e riapprovata dal Consiglio regionale ligure,  a
 maggioranza assoluta, nella seduta del 30 settembre 1997.
   L'impugnata  delibera - che ad avviso del ricorrente recepisce "non
 del  tutto  fedelmente"  le  condizioni  e  le  modalita'  prescritte
 dall'art.    9  della  direttiva  79/409/CEE, il quale disciplina (le
 diverse ipotesi nelle quali puo' esercitarsi) il potere  degli  Stati
 membri  di  derogare alla disciplina di protezione della fauna di cui
 ai precedenti artt.   5-8 - era stata oggetto  di  rinvio  in  quanto
 eccedente la competenza regionale. In particolare, in sede di rinvio,
 il  Governo richiamava la giurisprudenza di questa Corte per ribadire
 che l'elenco delle specie cacciabili costituisce  norma  fondamentale
 di  riforma  economico-sociale  e  per  concludere  che  la  delibera
 rinviata viola l'art. 18 della legge 11 febbraio  1992,  n.  157,  in
 relazione all'art. 9 della direttiva 79/409/CEE.
   Nel  ricorso, il Presidente del Consiglio richiama innanzi tutto la
 sentenza della Corte costituzionale n. 272  del  1996  -  citata  nel
 rinvio  governativo  -  per  sottolineare  che "i divieti posti dalla
 direttiva in tema di specie cacciabili sono suscettibili di  modifica
 solo  nei  limiti del potere di variazione degli elenchi delle specie
 medesime, riservato allo Stato dall'art. 18, terzo comma, della legge
 n.  157  del  1992",  considerato  norma  fondamentale   di   riforma
 economico-sociale.
   Il  ricorrente  osserva  inoltre  che la Regione non puo' ritenersi
 legittimata  dal  decreto  legislativo  4   giugno   1997,   n.   143
 (Conferimento  alle  Regioni delle funzioni amministrative in materia
 di  agricoltura  e  pesca  e  riorganizzazione   dell'Amministrazione
 centrale),  richiamato  dall'art. 1, comma 2, dell'impugnata delibera
 legislativa,  dato  che  -  si  afferma  nell'atto  introduttivo  del
 presente  giudizio  - tale decreto legislativo mantiene espressamente
 (art.  2,  comma  2)  al  Ministero  per  le  politiche  agricole  le
 competenze in tema di specie cacciabili.
   Nel ricorso si aggiunge che l'introduzione nell'ordinamento interno
 delle  deroghe  di  cui  all'art.  9  della  menzionata direttiva non
 costituisce attuazione obbligatoria della  direttiva  stessa,  bensi'
 esercizio  di  una  facolta'  accordata allo Stato membro, e che tali
 deroghe  possono  essere  disposte  solo  per  esigenze  "connesse ad
 interessi   generali  di  indubbia  pertinenza  statale  (navigazione
 aerea, sicurezza pubblica, ricerca scientifica)".
   2. - Nel presente giudizio non si e' costituita la Regione Liguria.
   3.   -   Con  ricorso  regolarmente  notificato  e  depositato,  il
 Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato in via  principale
 -  per  contrasto  con  l'art.  18  della  legge  n. 157 del 1992, in
 relazione all'art.   9 della  direttiva  79/409/CEE  -  questione  di
 legittimita'  costituzionale  della  delibera legislativa "Disciplina
 delle deroghe previste dall'art.  9 della direttiva CEE  n.  409/1979
 concernente  la  conservazione degli uccelli selvatici" approvata dal
 Consiglio regionale dell'Umbria nella  seduta  del  7  ottobre  1997,
 rinviata  dal  Governo con atto del 23 ottobre 1997 e riapprovata dal
 predetto Consiglio regionale a maggioranza assoluta nella seduta  del
 17 novembre 1997.
   I  motivi del rinvio governativo muovono anche in questo caso dalla
 giurisprudenza costituzionale che  qualifica  l'elenco  delle  specie
 cacciabili  norma  fondamentale  di  riforma economico-sociale, ed il
 ricorso riproduce sostanzialmente le argomentazioni - gia' illustrate
 - svolte in sede  di  impugnazione  della  delibera  legislativa  del
 Consiglio regionale ligure.
   Anche  in  questo  secondo  e  distinto  ricorso, il Presidente del
 Consiglio richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 272  del
 1996  - citata nel rinvio governativo - ed osserva che la Regione non
 puo' ritenersi legittimata dal decreto legislativo 4 giugno 1997,  n.
 143,  richiamato  dall'art.  1  dell'impugnata  delibera,  dato che -
 rileva anche in questo caso l'Avvocatura dello Stato -  tale  decreto
 legislativo mantiene espressamente (art. 2, comma 2) al Ministero per
 le politiche agricole le competenze in tema di specie cacciabili.
   Nel     ricorso,    l'Avvocatura    deduce    che    l'introduzione
 nell'ordinamento interno  delle  deroghe  di  cui  all'art.  9  della
 menzionata  direttiva  non  costituisce attuazione obbligatoria della
 stessa, bensi' esercizio di una facolta' accordata allo Stato membro,
 e ribadisce  che  tali  deroghe  possono  essere  disposte  solo  per
 esigenze  "connesse  ad  interessi  generali  di  indubbia pertinenza
 statale".
   Il ricorrente lamenta altresi' "una totale carenza  della  delibera
 impugnata",  la'  dove  questa omette di stabilire "le indispensabili
 misure, anche procedurali, atte a garantire che  le  deroghe  vengano
 disposte  dalle  Province  solo  per  soddisfare  esigenze  effettive
 inerenti agli interessi generali tassativamente indicati dall'art.  9
 della direttiva".
   4.  -  Si e' costituita la Regione Umbria per chiedere la reiezione
 del ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
   La Regione osserva che le censure formulate dal  Governo  sarebbero
 fondate  se  la normativa regionale impugnata riguardasse gli elenchi
 delle specie cacciabili e la  loro  variazione.  Senonche'  -  deduce
 l'ente  territoriale resistente - la legge censurata si limiterebbe a
 disciplinare l'esercizio, in sede regionale, di un potere  di  deroga
 concreto  e  puntuale,  "senza  porre  minimamente  in discussione la
 potesta' di definire e variare in  via  generale  gli  elenchi  delle
 specie  cacciabili in ambito nazionale". La legge n. 157 del 1992, in
 altri termini, non precluderebbe  alle  regioni  di  disciplinare  le
 deroghe  di  cui all'art. 9 della direttiva comunitaria per motivi di
 salute e sicurezza pubblica, per  evitare  danni  alle  colture,  per
 consentire  la  cattura  selettiva di uccelli in piccole quantita', e
 cosi' via,  enumerando le varie ipotesi  nelle  quali  e'  consentito
 esercitare il potere di deroga di cui si tratta.
   La  difesa  dell'ente territoriale resistente ritiene la competenza
 regionale in tema di deroghe ex art.  9  della  direttiva  79/409/CEE
 chiaramente  desumibile,  oltre  che  dagli  artt.  117  e  118 della
 Costituzione, dalla normativa statale di attuazione  dell'ordinamento
 regionale, ed in particolare dall'art. 99 del d.P.R. n. 616 del 1977,
 nonche',  da  ultimo,  dall'art. 1 del decreto legislativo n. 143 del
 1997, che conferisce  alle  regioni  le  funzioni  amministrative  in
 materia  di  caccia  prima  esercitate  dal soppresso Ministero delle
 risorse agricole, alimentari e forestali, riservando  -  all'art.  2,
 comma  2  -  al  Ministero per le politiche agricole (istituito dallo
 stesso art. 2) compiti di  disciplina  generale  e  di  coordinamento
 nazionale  esclusivamente  in  materia di specie cacciabili, ai sensi
 dell'art. 18, comma 3, della  legge  n.  157  del  1992.  La  Regione
 sottolinea altresi' che un siffatto assetto delle competenze rispetto
 alle   deroghe   di  cui  all'art.    9  della  menzionata  direttiva
 comunitaria risultava gia' delineato dalle  circolari  del  Ministero
 dell'agricoltura del 29 gennaio 1993 e del 15 luglio 1994.
   Secondo  la  difesa  della Regione, peraltro, non puo' dirsi che la
 legge n. 157 del 1992 - pur dichiarando espressamente, all'art. 1, di
 recepire l'intera direttiva 79/409/CEE - abbia dato  attuazione  alla
 direttiva  comunitaria  per  quel che concerne il regime di deroga di
 cui all'art. 9. In particolare, nulla avrebbe a  che  fare  con  tale
 regime  la  disciplina introdotta dell'art. 18 della legge n. 157 del
 1992, che si limiterebbe "a stabilire in via  generale  ed  astratta,
 con  riferimento  all'intero  territorio  nazionale,  l'elenco  delle
 specie  cacciabili  e,  altresi',  a  prevedere  la  possibilita'  di
 rivedere  tale  elenco  sempre  in  via  generale  ed  astratta,  con
 d.P.C.M., per adeguare l'ordinamento interno  a  quello  comunitario,
 ristabilendo  quella  che in proposito puo' ben definirsi la regola",
 suscettibile di essere derogata, a norma dell'art. 9 della  direttiva
 -  considerato  disposizione  precisa  ed  incondizionata, e pertanto
 "autoapplicativa" - in ipotesi circoscritte nello spazio e nel tempo,
 cio' che, ad avviso della  resistente,    troverebbe  conferma  nella
 giurisprudenza  comunitaria  e amministrativa richiamata nell'atto di
 costituzione.
   La Regione, insistendo nel rimarcare che  la  deroga  in  questione
 "resta ben distinta dalla definizione delle specie cacciabili e dalla
 variazione   dei  relativi  elenchi",  aggiunge  che  riconoscere  la
 potesta' di deroga ex art. 9 della direttiva n. 79/409/CEE allo Stato
 contrasta non solo con il "diritto positivo", che riserva allo  Stato
 soltanto l'individuazione in via generale delle specie cacciabili, ma
 anche  con  le  stesse  finalita' dell'istituto, come delineato dalla
 direttiva comunitaria e precisato dalla giurisprudenza della Corte di
 giustizia, trattandosi "con ogni  evidenza  ...  di  accertamenti  da
 compiere  e  di  una  potesta'  da esercitare per ambiti definiti nel
 tempo, nello spazio e nelle modalita'".
   La difesa della Regione richiama infine la giurisprudenza di questa
 Corte che, in materia di caccia, "ha avuto  modo  di  riconoscere  la
 potesta'  delle  Regioni  di  adottare, nel rispetto del principio di
 leale collaborazione, i provvedimenti  piu'  adeguati  rispetto  alle
 varie realta' locali", e nega altresi' che, a sostegno della tesi del
 ricorrente,  si  possa  fare  appello  alla sentenza n. 272 del 1996,
 nella quale questa Corte "non esclude affatto" - secondo  la  lettura
 propostane,  anche  alla  luce  di  una  successiva decisione del TAR
 dell'Umbria -  "la  legittimazione  delle  Regioni  a  esercitare  la
 potesta'  di  deroga  ex art. 9 della direttiva", sebbene confermi la
 precedente  giurisprudenza  costituzionale,  con   riferimento   alla
 competenza   statale   in  materia  di  individuazione  delle  specie
 cacciabili.
   Quanto al rilievo governativo concernente  l'omessa  previsione  di
 misure,  anche di natura procedurale, atte a garantire che le deroghe
 siano disposte solo per soddisfare gli interessi  indicati  dall'art.
 9  della direttiva, si tratterebbe di una censura - deduce la Regione
 - "del tutto apodittica e indimostrata".
   5. - In prossimita' dell'udienza, la Regione Umbria  ha  depositato
 una  memoria  illustrativa per dedurre l'inammissibilita' del ricorso
 proposto dal Presidente del Consiglio e  per  svolgere  ulteriormente
 argomenti a  sostegno dell'infondatezza dello stesso gia' dedotti con
 l'atto di costituzione.
   Sotto   il   primo   profilo,   la  Regione  rileva,  con  riguardo
 all'asserita  eccedenza  dalla  competenza   regionale,   "l'assoluta
 genericita'  sia  dell'atto di rinvio sia del ricorso tramite i quali
 il Governo si e' limitato, in  pratica,  ad  asserire  la  violazione
 delle  competenze  e  il  carattere  di norma fondamentale di riforma
 economico-sociale dell'art. 18 della legge n. 157, senza  specificare
 in  alcun modo con quali statuizioni, dove e come, la legge regionale
 impugnata avrebbe violato la Costituzione e i  principi  legislativi"
 indicati  nel ricorso. Con riguardo alla censura concernente l'omessa
 previsione di misure atte a garantire che le deroghe  siano  disposte
 solo   per  soddisfare  gli  interessi  indicati  dall'art.  9  della
 direttiva, nella memoria se  ne  deduce  l'inammissibilita'  perche',
 oltre  che    "apoditticamente enunciato", tale motivo di ricorso non
 troverebbe alcuna corrispondenza nell'atto di rinvio.
   Agli  argomenti,  gia'   illustrati,   proposti   per   argomentare
 l'infondatezza della questione prospettata dal ricorrente, la Regione
 -  che insiste nel richiamare le gia' citate circolari ministeriali -
 aggiunge un richiamo al principio di sussidiarieta' -  sancito  dalla
 legge  15  marzo  1997,  n.  59,  all'art. 4, comma 3, lettera a) "da
 ritenere  senz'altro  insito  nella  Costituzione,  quanto  meno  con
 riguardo  alle  materie  elencate  nell'articolo 117" - in virtu' del
 quale, "a livello centrale debbono e possono esercitarsi soltanto  le
 funzioni  non  esercitabili  a  livello regionale e locale". A questo
 riguardo, la difesa della Regione afferma che riservare allo Stato il
 potere - non gia' di stabilire in via generale ed astratta le  specie
 cacciabili  e di variarne l'elenco (ex art. 18 della legge n. 157 del
 1992) - bensi'  di  derogare  puntualmente,  per  i  motivi  indicati
 dall'art.  9  della direttiva 79/409/CEE, ai divieti stabiliti in via
 generale, sottraendolo alle regioni, "sarebbe espressione di  puro  e
 semplice  centralismo,  senza  alcuna base nella Costituzione e nelle
 leggi attualmente vigenti".
   6. - In prossimita' dell'udienza, la Regione Umbria  ha  depositato
 una  ulteriore  memoria  ad  integrazione  di quanto gia' dedotto con
 l'atto di costituzione.
   La  difesa  della  Regione  menziona  innanzi tutto, nella memoria,
 l'art. 69, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 31 marzo 1998,
 n. 112, che, in attuazione del capo I della legge n. 59 del 1997, nel
 disporre  un  nuovo  conferimento  di  funzioni  amministrative  alle
 Regioni,  indica,  tra  i  "compiti di rilievo nazionale", per quanto
 riguarda la materia venatoria, solo quelli relativi  alle  variazioni
 dell'elenco  delle  specie cacciabili ai sensi dell'art. 18, comma 3,
 della legge 11 febbraio 1992, n. 157.
   La Regione Umbria allega inoltre tre mozioni approvate  dal  Senato
 per   impegnare   il  Governo  a  riconoscere  la  competenza,  anche
 legislativa, delle  Regioni  in  materia  di  prelievo  venatorio  in
 deroga, ai sensi della direttiva 79/409/CEE.
   7.   -   Con  ricorso  regolarmente  notificato  e  depositato,  il
 Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato in via  principale
 - in riferimento all'art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, in
 relazione  all'art.    9  della  direttiva  79/409/CEE concernente la
 conservazione degli uccelli selvatici  -  questione  di  legittimita'
 costituzionale della delibera legislativa "Applicazione del regime di
 deroga  previsto  dall'art.    9  della  direttiva  CEE  n. 409/1979"
 approvata dal Consiglio regionale della Regione Veneto  nella  seduta
 del  5  novembre  1997,  rinviata dal Governo con atto del 1 dicembre
 1997 e riapprovata dal Consiglio  regionale  a  maggioranza  assoluta
 nella seduta del 5 marzo 1998.
   L'impugnata  delibera  autorizza  la  caccia ad una serie di specie
 sottratte dalla direttiva comunitaria al prelievo venatorio, al  fine
 di  evitare  danni  alle  produzioni agricole, ed autorizza la Giunta
 regionale a disporre   ulteriori deroghe a norma  dell'art.  9  della
 stessa direttiva 79/409/CEE.
   Ad  avviso del ricorrente, che rinvia alla sentenza n. 272 del 1996
 di questa Corte, gia' invocata negli altri due  ricorsi,  "i  divieti
 posti  dalla direttiva in tema di specie cacciabili sono suscettibili
 di modifica solo nei limiti del potere di  variazione  degli  elenchi
 delle  specie  medesime,  riservato  allo  Stato  dall'art. 18, terzo
 comma, della legge n. 157 del 1992".
   Anche in questo caso il ricorrente osserva come non possa valere in
 contrario la circostanza che  la  Regione  -  come  si  desume  dalla
 delibera impugnata - abbia ritenuto di essere legittimata dal decreto
 legislativo 4 giugno 1997, n. 143, dato che - si sottolinea nell'atto
 introduttivo  del  presente  giudizio - questo provvedimento mantiene
 espressamente (art.  2,  comma  2)  al  Ministero  per  le  politiche
 agricole le competenze in tema di specie  cacciabili.
   Nel  ricorso  si  osserva  infine  che  le  deroghe  previste dalla
 direttiva  "possono  essere  disposte  solo  per  esigenze  effettive
 accertate  caso  per  caso,  con  provvedimenti puntuali e non in via
 generale ed astratta per atto  normativo".
   8. - Si e' costituita la Regione Veneto per chiedere il rigetto del
 ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
   La Regione deduce innanzitutto che le variazioni dell'elenco  delle
 specie cacciabili di cui all'art. 18, comma 3, della legge n. 157 del
 1992,  che il Presidente del Consiglio dei Ministri puo' disporre "in
 conformita' alle vigenti direttive comunitarie  ed  alle  convenzioni
 internazionali",  non sono assimilabili alle deroghe consentite dalla
 direttiva 79/409/CEE. Le prime, osserva la Regione, "costituiscono lo
 strumento ordinario  di  adeguamento  degli  elenchi  nazionali  alla
 normativa  comunitaria  ed internazionale, e concorrono a definire il
 novero delle specie di animali selvatici per le quali  e'  -  in  via
 normale  -  ammesso il prelievo venatorio nel territorio dello Stato;
 le seconde, invece, sono  provvedimenti  di  carattere  eventuale  ed
 eccezionale  attraverso  i  quali  viene  consentita  la  caccia  (in
 presenza di specifiche condizioni, in tempi e modi predeterminati) ad
 uccelli che non risultano inseriti negli elenchi delle specie ammesse
 al prelievo venatorio".
   Ad  avviso  della  Regione  Veneto,  poiche'  il  potere   previsto
 dall'art.    9  della direttiva non viene disciplinato dalla legge n.
 157 del 1992, "si deve ritenere che la potesta' legislativa regionale
 non incontri  nella  fonte  nazionale,  in  tema  di  deroghe,  alcun
 principio  vincolante,  potendo  essa  determinarsi  liberamente  nel
 rispetto dalla sola normativa comunitaria".
   La spettanza alla Regione  sia  del  potere  di  deroga  sia  della
 competenza  a disciplinare con legge tale potere troverebbe conferma,
 osserva la resistente, nel decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143,
 che conserva al Ministero per le politiche agricole esclusivamente la
 disciplina generale ed il coordinamento nazionale in tema di specie
  cacciabili ai sensi dell'art. 18, comma 3, della legge  11  febbraio
 1992, n. 157.
   Anche  la  normativa  comunitaria,  aggiunge la Regione resistente,
 ridimensionerebbe le attribuzioni statali. L'art. 4, comma  3,  della
 direttiva 79/409/CEE, assegna infatti alla Commissione le funzioni di
 coordinamento  e di controllo dell'attuazione della normativa in tema
 di tutela delle specie selvatiche. In  tale  contesto  normativo,  si
 legge  nell'atto di costituzione, "non pare corretto sostenere che la
 tutela dell'avifauna risponda  in  via  principale  ad  un  interesse
 unitario  dello  Stato",  al  quale  comunque  rimane  il  potere  di
 indirizzo e coordinamento previsto dall'art. 9, comma 5, della  legge
 n.  86  del  1989,  confermato  dall'art.  2  del gia' citato decreto
 legislativo n. 143 del 1997, "laddove sia necessario  assicurare,  in
 via  amministrativa,  il  soddisfacimento  di  specifiche esigenze di
 interesse generale".
   9. - In prossimita' dell'udienza, la Regione Veneto  ha  depositato
 una  memoria  per  sviluppare ulteriormente argomenti gia' addotti in
 sede di costituzione, a sostegno della  richiesta  di  reiezione  del
 ricorso proposto dal  Presidente del Consiglio.
   Per  escludere  la  riconducibilita'  del potere di deroga all'art.
 18, comma 3, della legge n. 157 del  1992,  la  Regione  richiama  la
 giurisprudenza  della Corte di giustizia delle Comunita' europee, che
 ammette l'esercizio del potere di deroga  allo  scopo  di  soddisfare
 esigenze   particolari   in   aree,  per  lo  piu',  territorialmente
 circoscritte.  Nella memoria, la difesa della Regione ribadisce che i
 provvedimenti di variazione degli  elenchi  delle  specie  cacciabili
 "hanno  necessariamente  un  ambito di operativita' nazionale" e "non
 apportano circoscritte eccezioni ai divieti in materia  di  esercizio
 venatorio,  ma  introducono  un  nuovo  e diverso regime ''generale''
 della  caccia,  poiche'  la  modifica  degli  elenchi  delle   specie
 cacciabili  si  traduce  inevitabilmente  in  una modificazione dello
 stesso oggetto della protezione ''ordinaria'' che lo Stato riserva al
 patrimonio faunistico".
   La Regione resistente aggiunge infine che il decreto legislativo n.
 143 del 1997 ed il d.P.C.M. 27 settembre 1997 - gia' citati nell'atto
 di  costituzione  -  attesterebbero in modo univoco la spettanza alle
 regioni delle funzioni amministrative in  tema  di  deroghe  a  norma
 dell'art. 9 della direttiva 79/409/CEE.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Con  tre  distinti  ricorsi del Presidente del Consiglio dei
 Ministri, il Governo ha sollevato  in  via  principale  questione  di
 legittimita'   costituzionale  di  altrettante  delibere  legislative
 regionali.  I dubbi di costituzionalita'  investono  la  legge  della
 Regione  Liguria  recante  "Norme  per  l'applicazione  delle deroghe
 previste dall'art.  9 della direttiva CEE n.  409/1979",  riapprovata
 il   30  settembre  1997;  la  legge  della  Regione  Umbria  recante
 "Disciplina delle deroghe previste dall'art. 9 della direttiva CEE n.
 409/1979  concernente  la  conservazione  degli  uccelli  selvatici",
 riapprovata  il  17  novembre  1997;  la  legge  della Regione Veneto
 recante "Applicazione del regime di deroga previsto dall'art. 9 della
 direttiva CEE n. 409/1979", riapprovata il 5 marzo 1998.
   Le questioni di  legittimita'  costituzionale  delle  tre  delibere
 legislative,  riapprovate,  a  se'guito  di  rinvio  governativo, dai
 consigli  regionali  a  maggioranza  assoluta   nell'identico   testo
 rinviato,  vengono  sollevate  per  contrasto  con  l'art.  117 della
 Costituzione, in riferimento all'art.  18  della  legge  11  febbraio
 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma
 e per il prelievo venatorio), in relazione all'art. 9 della direttiva
 79/409/CEE,    giacche'   le   disposizioni   assunte   a   parametro
 riserverebbero allo Stato la disciplina del potere di deroga previsto
 dall'art. 9 della direttiva, come si desumerebbe anche dalla sentenza
 della Corte costituzionale n. 272  del  1996,  secondo  la  quale  "i
 divieti  posti  dalla  direttiva  in  tema  di specie cacciabili sono
 suscettibili di modifica solo nei limiti  del  potere  di  variazione
 degli  elenchi  delle specie medesime, riservato allo Stato dall'art.
 18, terzo comma, della legge n. 157 del 1992".
   Cio' troverebbe conferma nel decreto legislativo 4 giugno 1997,  n.
 143  (Conferimento  alle  Regioni  delle  funzioni  amministrative in
 materia    di    agricoltura    e    pesca     e     riorganizzazione
 dell'Amministrazione  centrale),  che  all'art.  1  trasferisce  alle
 Regioni  le  funzioni  amministrative  in  materia  di  caccia  prima
 esercitate dal soppresso Ministero delle risorse agricole, alimentari
 e  forestali,  ma - all'art. 2, comma 2 - riserva al Ministero per le
 politiche agricole (istituito dallo  stesso  art.  2)  i  compiti  di
 disciplina generale e di coordinamento nazionale in materia di specie
 cacciabili  ai  sensi  dell'art.  18, comma 3, della legge n. 157 del
 1992. Ad avviso del ricorrente, inoltre, le deroghe di cui si  tratta
 possono  essere  disposte  solo  per  esigenze "connesse ad interessi
 generali di indubbia pertinenza statale (navigazione aerea, sicurezza
 pubblica, ricerca scientifica)".
   Una ulteriore doglianza (prospettata nei confronti  della  delibera
 legislativa  della  Regione  Umbria  con  il  ricorso n. 78 del 1997)
 riguarda l'omessa previsione, da parte del legislatore regionale,  di
 "indispensabili  misure,  anche  procedurali, atte a garantire che le
 deroghe vengano disposte dalle Province solo per soddisfare  esigenze
 effettive  inerenti  agli  interessi generali tassativamente indicati
 dall'art. 9 della direttiva".
   2.  -  I  ricorsi  del  Presidente del Consiglio dei Ministri hanno
 tutti ad oggetto delibere legislative regionali in tema di deroghe ex
 art. 9 della direttiva 79/409/CEE,  e  prospettano  censure  in  gran
 parte  comuni.  I  relativi giudizi possono pertanto essere riuniti e
 decisi con unica sentenza.
   3. - Le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  promosse  dal
 Governo con i ricorsi in epigrafe sono fondate.
   4.  -  Le  delibere  legislative impugnate contengono discipline in
 larga misura omogenee: la legge della Regione Liguria recante  "Norme
 per l'applicazione delle deroghe previste dall'art. 9 della direttiva
 CEE  n.  409/1979",  riapprovata il 30 settembre 1997, disciplina nel
 territorio della Regione il prelievo in deroga, ai sensi dell'art.  9
 della direttiva, riproducendo integralmente  il  contenuto  normativo
 dello  stesso  art.  9,  e  prevedendo,  ai  fini  dell'adozione  del
 provvedimento di deroga, il previo parere dell'Istituto nazionale per
 la fauna selvatica, competente, fra l'altro, a  stabilire  il  numero
 complessivo  dei  capi prelevabili per le singole specie (art. 3, I);
 la legge della  Regione  Umbria  recante  "Disciplina  delle  deroghe
 previste  dall'art.  9 della direttiva CEE n. 409/1979 concernente la
 conservazione degli uccelli selvatici", riapprovata  il  17  novembre
 1997, disciplina il prelievo in deroga in parte riproducendo in parte
 richiamando  le  disposizioni  della  direttiva,  ed  affidando  alle
 Province,  sentito  l'Istituto  nazionale  per  la  fauna  selvatica,
 "l'approvazione  del provvedimento di deroga"; la legge della Regione
 Veneto recante "Applicazione del regime di deroga previsto  dall'art.
 9  della  direttiva  CEE n.   409/1979", riapprovata il 5 marzo 1998,
 stabilisce che, "al fine  di  prevenire  e  contenere  i  danni  alle
 produzioni   agricole",  e'  consentito  un  limitato  (non  piu'  di
 venticinque capi al giorno, da parte di ciascun cacciatore)  prelievo
 in  deroga  di  talune specie di uccelli (art. 1). La stessa delibera
 legislativa prevede che "la Giunta regionale -  previo  parere  delle
 Province,   o   su  richiesta  delle  medesime  -  puo'  autorizzare,
 disciplinandole, ulteriori  deroghe  ai  sensi  dell'art.    9  della
 direttiva 79/409/CEE" (art. 1, comma 2).
   5.  -  La giurisprudenza di questa Corte ha in piu' di un'occasione
 chiarito che la competenza statale in tema di specie  cacciabili  non
 si  esaurisce  nella  individuazione  di  tali specie e nel potere di
 variazione dei relativi elenchi, a norma dell'art. 18, comma 3, della
 legge n. 157 del 1992.
   Nel  ribadire  il  carattere  di  norma  fondamentale  di   riforma
 economico-sociale  proprio delle disposizioni legislative statali che
 individuano  le  specie  cacciabili,  riconosciuto  da  una  costante
 giurisprudenza (sentenze nn. 272 del 1996, 35 del 1995, 577 del 1990,
 1002  del 1988), questa Corte ha ancora di recente precisato che tale
 carattere compete anche alle "norme strettamente connesse con  quelle
 che individuano le specie ammesse al prelievo venatorio" (sentenza n.
 323 del 1998).
   Sussiste  infatti  un  interesse  unitario,  non frazionabile, alla
 uniforme disciplina dei vari aspetti inerenti  al  nucleo  minimo  di
 salvaguardia  della fauna selvatica: dall'individuazione delle specie
 cacciabili alla variazione dei  relativi  elenchi;  dalla  disciplina
 delle   modalita'  di  caccia,  nei  limiti  in  cui  prevede  misure
 indispensabili per assicurare  la  sopravvivenza  e  la  riproduzione
 delle  specie  selvatiche,  alla  delimitazione dei periodi venatori,
 alla disciplina delle deroghe, ex art. 9 della direttiva  79/409/CEE,
 al generale regime di protezione.
   Un'interpretazione   della   direttiva   79/409/CEE  nell'esclusiva
 prospettiva di un'eccezionale autorizzazione di  attivita'  venatorie
 altrimenti vietate sarebbe tuttavia parziale e fuorviante.
   L'art.  9  della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione
 degli uccelli selvatici, prevede che gli Stati membri -  "sempre  che
 non  vi  siano altre soluzioni soddisfacenti" - possono derogare alle
 misure  di  protezione  disposte  dalla  medesima  direttiva  per  le
 seguenti  ragioni:  a)  nell'interesse della salute e della sicurezza
 pubblica; nell'interesse della sicurezza aerea; per  prevenire  gravi
 danni  alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque;
 per la protezione della flora e della fauna; b) ai fini della ricerca
 e dell'insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonche'
 per l'allevamento connesso a tali operazioni; c)  per  consentire  in
 condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la
 detenzione  o  altri  impieghi  misurati  di  determinati  uccelli in
 piccole quantita'.
   Si tratta di un potere di deroga esercitabile  in  via  eccezionale
 per  consentire  non  tanto  la  caccia,  quanto,  piuttosto, piu' in
 generale,  l'abbattimento  o  la   cattura   di   uccelli   selvatici
 appartenenti  alle  specie  protette  dalla  direttiva medesima, alle
 condizioni ed ai fini di interesse generale indicati dall'art. 9.1, e
 secondo le procedure e le modalita' di cui al punto  2  dello  stesso
 art. 9.
   Gli  interessi a garanzia dei quali l'art. 9 consente di adottare i
 provvedimenti di deroga - alcuni dei  quali  di  indubbia  pertinenza
 statale:   sicurezza  aerea,  sicurezza  pubblica  -  possono  essere
 soddisfatti  anche   attraverso   misure   diverse   dall'eccezionale
 autorizzazione al prelievo venatorio di specie altrimenti protette.
   In  materia  di  protezione  della  fauna selvatica, d'altro canto,
 l'ordinamento prevede  un  ruolo  non  marginale  delle  Regioni  che
 ulteriormente  dimostra  l'erroneita'  di un totale esaurimento della
 tematica di cui si tratta nella prospettiva venatoria.
   L'art. 19, comma 2, della legge n. 157 del  1992,  prevede  infatti
 che  le  Regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico,
 per la tutela del  suolo,  per  motivi  sanitari,  per  la  selezione
 biologica,  per  la  tutela  del patrimonio storico artistico, per la
 tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono  al
 controllo  delle  specie  di fauna selvatica anche nelle zone vietate
 alla  caccia.    La  disposizione  specifica  che   tale   controllo,
 esercitato   selettivamente,   viene   praticato  di  norma  mediante
 l'utilizzo di metodi ecologici,  su  parere  dell'Istituto  nazionale
 della fauna selvatica. Qualora l'Istituto verifichi l'inefficacia dei
 predetti metodi, le Regioni possono autorizzare piani di abbattimento
 destinati  ad essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle
 amministrazioni  provinciali.    Queste  ultime   potranno   altresi'
 avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano
 i   piani   medesimi,  purche'  muniti  di  licenza  per  l'esercizio
 venatorio, nonche' delle guardie forestali e delle  guardie  comunali
 munite di licenza per l'esercizio venatorio.
   Le  deroghe  al  regime  di  protezione  introdotto dalla direttiva
 79/409/CEE  configurano  -  come  sottolineano   anche   le   Regioni
 resistenti - un potere eterogeneo rispetto alla competenza attribuita
 al  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri in materia di variazione
 degli elenchi delle specie cacciabili ai sensi dell'art. 18, comma 3,
 della  legge  n.  157  del  1992.  Quest'ultima  disposizione prevede
 l'adozione, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di
 provvedimenti diretti a modificare in modo tendenzialmente stabile  -
 nei  limiti  imposti  o  consentiti  dalla normativa internazionale e
 comunitaria (da ultimo, v. la sentenza n. 277 del 1998) - gli elenchi
 delle specie cacciabili. Si  tratta  di  provvedimenti  in  linea  di
 principio  destinati  a  spiegare  efficacia  su  tutto il territorio
 nazionale e volti piuttosto a restringere, anche "tenendo conto della
 consistenza delle singole specie sul  territorio",  il  novero  delle
 specie  che alla stregua della normativa internazionale e comunitaria
 possono essere ammesse  al  prelievo  venatorio.  Diversamente  dalle
 deroghe  ex  art.  9  della direttiva 79/409/CEE, i decreti emanati a
 norma dell'art. 18, comma 3, della legge n.  157  del  1992  appaiono
 inidonei a consentire in via eccezionale o derogatoria l'abbattimento
 o la cattura delle specie protette dalla direttiva, alle condizioni e
 per le finalita' da quest'ultima  indicate.
   Nondimeno,  non  puo'  essere  condiviso  l'assunto  delle  Regioni
 resistenti, che basano la propria rivendicazione di  competenza  -  a
 disciplinare  legislativamente il potere di deroga in questione, e ad
 esercitarlo in via amministrativa -  sulla  non  assimilabilita'  del
 potere  di  deroga  di  cui all'art. 9 della direttiva comunitaria al
 potere di variazione degli elenchi delle specie  cacciabili  e  sulla
 natura solo formale del recepimento, da parte del legislatore statale
 (con  l'art.  1,  comma  4, della legge n. 157 del 1992), dell'art. 9
 della direttiva 79/409/CEE, interpretato come autoapplicativo.
   Occorre ancora ribadire che l'art.  9  della  direttiva  79/409/CEE
 contiene  una  disciplina  volta  (piu'  che  a  regolare l'attivita'
 venatoria) a consentire deroghe al regime di protezione  della  fauna
 selvatica  previsto  dalla medesima direttiva, per la salvaguardia di
 interessi  generali.  L'esercizio  di  tale  potere  di  deroga  puo'
 incidere  sul nucleo minimo di protezione della fauna selvatica e non
 puo'  quindi  prescindere  da  una  previa  disciplina  di  carattere
 nazionale,   secondo   i   principi   costantemente   accolti   dalla
 giurisprudenza di questa Corte.
   La disciplina del potere di  deroga  -  che  secondo  la  Corte  di
 giustizia  delle  Comunita'  europee  (sentenza  15 marzo 1990, causa
 C-339/1987) deve tradursi in norme nazionali precise ("i  criteri  in
 base  ai  quali  gli Stati membri possono derogare ai divieti sanciti
 dalla direttiva devono essere riprodotti  in  disposizioni  nazionali
 precise")  -  puo',  e  non  gia'  deve, trattandosi di una facolta',
 trovare attuazione nel nostro ordinamento, come  chiarisce  anche  la
 sentenza di questa Corte, pronunciata in pari data, che ha definito i
 conflitti  nn.   56 e 61 del 1997 e nn. 2, 3 e 5 del 1998, attraverso
 una normativa nazionale di recepimento  -  non  rintracciabile  nella
 legge  n.  157  del  1992 - idonea a garantire su tutto il territorio
 nazionale un uniforme e adeguato livello di salvaguardia.
   In questo senso  deve  interpretarsi  anche  l'art.  69,  comma  1,
 lettera   b)   del   decreto   legislativo  31  marzo  1998,  n.  112
 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello  Stato  alle
 regioni  ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15
 marzo 1997, n. 59), che annovera tra i compiti di  rilievo  nazionale
 per  la  tutela dell'ambiente, ai sensi dell'art. 1, comma 4, lettera
 c), della legge 15 marzo 1997, n. 59 - accanto a quelli relativi alle
 variazioni  degli  elenchi delle specie cacciabili - quelli attinenti
 alla "tutela ... della fauna e della flora specificamente protette da
 accordi e convenzioni e dalla normativa comunitaria".
   Rimane assorbita ogni ulteriore censura.